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Giovedì, 25 Aprile 2024
Caso marò

Marò, l'India continua a "scherzarci su": altro rinvio

L'udienza prevista per questa mattina è stata rinviata al 10 febbraio. Il giudice indiano pone limiti: "Non aspetterò oltre". E l'Italia alza la voce: "Troppe indecisioni, marò tornino"

ROMA - Pena di morte sì, pena di morte no. Continua l'incredibile serie di rinvii e di decisioni non prese dei pm indiani sul caso marò, i due fucilieri italiani detenuti in India e accusati della morte di due pescatori nelle acque del Kerala nel febbraio 2012. Come da abitudine, ormai, l'ultima novità che arriva da New Delhi è l'ennesimo rinvio. L'udienza fissata per le sei italiane è stata infatti subito rimandata al 10 febbraio. La vera notizia, però, è che il giudice della Corte Suprema Bs Chauhan ha posto alla pubblica accusa un limite non estendibile di una settimana per presentare una soluzione sulle modalità di incriminazione di Latorre e Girone. 

"Vi concedo ancora una settimana - ha sottolineato il giudice - non sono disposto ad attendere oltre". Il 10 febbraio, quindi, si saprà se i pm indiani decideranno di procedere contro i marò invocando la legge anti pirateria, che prevede la pena di morte. Intanto, non si distendono i rapporti fra le due diplomazie, sempre più tesi. 

L'ultima mossa è del governo italiano che, con istanza ufficiale, ha chiesto che i due marò vengano rimandati in Italia. "Abbiamo chiesto alla Corte che, di fronte all'indecisione della pubblica accusa, i marò siano autorizzati a tornare in Italia", ha detto l'inviato del governo Staffan De Mistura. "E questa richiesta - ha insistito - la ripeteremo con forza anche lunedì prossimo indipendentemente dall'esito dell'udienza. La Pubblica accusa non può più giocare con i tempi. Abbiamo ricordato tramite il nostro avvocato che ci sono stati 25 rinvii giudiziari senza un pezzo di carta. Prima l'unica linea rossa era il non utilizzo del Sua Act. Ora lo sono diventati anche i ritardi".

De Mistura questa mattina, per la prima volta, era presente in aula accompagnato dall'ambasciatore d'Italia Daniele Mancini. "Per simboleggiare e marcare anche fisicamente la determinazione dell'Italia manifestata anche in modo più che lampante dal Capo dello Stato", ha spiegato.  

L'Italia, quindi, prosegue sulla sua linea: contesta la lentezza con cui è stato condotto il procedimento, visto che il fermo dei militari italiani risale a quasi due anni fa, e giudica inconcepibile l'idea di un ricorso al Sua Act, la legge antiterrorismo e antipirateria indiana. Applicare la Sua Act significherebbe, in pratica, equiparare l'Italia a uno Stato terrorista. Forse, sarebbe davvero troppo. 

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