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Sabato, 20 Aprile 2024
misure di contenimento / Stati Uniti d'America

Cos'è (e a cosa serve) la prima strategia Usa per il Pacifico

Washington fornirà oltre 810 milioni di dollari nell’arco del prossimo decennio per sostenere lo sviluppo economico delle isole del Pacifico: il cambiamento climatico è in cima all'agenda. Ma resta alta l'attenzione sull'assertività della Cina

Gli Stati Uniti cercano di proteggere il loro cortile di casa nell'Indo-Pacifico dall’assertività cinese. Giocando in casa, il presidente statunitense Joe Biden ha ospitato i leader dei Paesi insulari del Pacifico per ricucire un rapporto a rischio rottura, dopo un decennio di disattenzione da parte dell’amministrazione statunitense. Con il mantra in testa dell’"Indo-Pacifico libero e aperto", il presidente Biden ha deciso di mettere mano al portafogli per ingraziarsi i Paesi del quadrante che da tempo lamentano un disimpegno della Casa Bianca soprattutto sui temi che loro hanno a cuore, il cambiamento climatico. 

Bazooka di finanziamenti

Tra strette di mano e photo opportunity, Biden ha annunciato il lancio della prima strategia per il Pacifico al termine del primo Us-Pacific Summit, che ha visto la partecipazione di 12 leader dei paesi dell'area (Fiji, Isole Marshall, Micronesia, Palau, Papua Nuova Guinea, Samoa, Isole Salomone, Tonga, Tuvalu, Isole Cook, Polinesia francese e Nuova Caledonia). 

Secondo il documento finale del summit, Washington fornirà oltre 810 milioni di dollari nell’arco del prossimo decennio per sostenere lo sviluppo economico delle isole del Pacifico in settori come la lotta contro il cambiamento climatico, l’industria ittica e il sistema sanitario locale. 

I leader presenti hanno approvato il documento finale di 11 punti in cui la lotta al cambiamento climatico è indicata come massima priorità: una grossa fetta dei finanziamenti elargiti da Washington, ossia 130 milioni di dollari, sarà infatti destinata al contrasto al climate change

Tra i firmatari ci sono anche le Isole Salomone, che di recente hanno alimentato le preoccupazioni di Usa e Australia dopo la firma di un accordo securitario con la Cina. 

Cosa c'è dietro il patto di sicurezza tra Cina e Isole Salomone

Non si tratta di un risultato scontato, dal momento che Honiara aveva minacciato fino all’ultimo momento di non partecipare al summit, alimentando i timori di un avvicinamento netto alla Cina. I precedenti, infatti, non sono incoraggianti per Washington e Canberra. Lo scorso mese, le Isole Salomone hanno imposto il divieto di accesso ai propri porti alla marina statunitense e britannica, in quello che è stato letto come un ulteriore segnale di avvicinamento a Pechino dopo l’accordo di sicurezza tra i due paesi firmato lo scorso aprile.

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Un muro per la Cina

Eppure Washington ha a cuore altre priorità: ridurre l’assertività della Cina nel quadrante regionale, dove fare ritorno con un ruolo da protagonista. Ruolo che conquista con l’apertura di nuove ambasciate - che passano da sei a nove - e la nomina di Frankie Reed come primo inviato statunitense al Pacific Islands Forum, l'organizzazione internazionale che ha come obiettivi l'accrescimento della cooperazione tra i Paesi del Pacifico.

Durante l’Us-Summit, l’amministrazione Biden ha dato il via anche al riconoscimento dello status di territorio auto-amministrati alle isole Cook e Niue. Il provvedimento consentirà agli Stati Uniti di aumentare la propria presenza diplomatica nei due Stati, che rappresentano nel Pacifico meridionale un’importante zona economica nonostante una popolazione complessiva di 20mila abitanti. 

E’ proprio la creazione di alleanze in tema securitario ed economico con i Paesi del Pacifico a dare prova delle reali intenzioni statunitensi. Dall’Indo-Pacifico per il lancio di una nuova Cornice economica regionale (Ipef), iniziativa a cui hanno aderito 14 Paesi che rappresentano assieme circa il 40% del prodotto interno lordo globale, al Quad, il quadrilatero che ospita Giappone, India e Australia, gli Stati Uniti stanno tessendo una tela sempre più stretta per impedire l’accesso alla Cina. 

Ipef: cos'è il piano economico voluto dagli Usa per contrastare la Cina

Come sottolineato dall'analista Zack Cooper su Twitter, la strategia guarda principalmente agli interessi dei Paesi del Pacifico, ponendo le necessità statunitensi in secondo piano. Cooper ha poi sottolineato come nel documento rilasciato dalla Casa Bianca, la Cina sia citata una sola volta. “Sono sempre più visibili le conseguenze della pressione e della coercizione economica da parte della Repubblica popolare cinese, che rischia di minare la pace, la prosperità e la sicurezza della regione e, per estensione, degli Stati Uniti”, si legge nel documento della Casa Bianca. “Queste sfide richiedono un rinnovato impegno degli Stati Uniti in tutta la regione delle Isole del Pacifico”. Il gigante asiatico resta quindi un'importante fonte di ispirazione per la strategia statunitense nell’Indo-Pacifico. 

La tutela dell’ambiente

I Paesi del Pacifico ottengono dagli Stati Uniti quello che hanno rifiutato dalla Cina, quando lo scorso maggio dieci nazioni insulari hanno bocciato una proposta di Pechino basata sulla creazione di una zona di libero scambio, e il rafforzamento della cooperazione in tema di pesca e sicurezza. 

La Cina siglerà nuovi patti di sicurezza con altri Paesi del Pacifico

Gli Usa accolgono le istanze dei leader del Pacifico, che da tempo riconoscono nel cambiamento climatico una minaccia alla sicurezza nazionale. I 12 capi di Stati e governo presenti al summit sono preoccupati molto di più di ottenere aiuti per contrastare il cambiamento climatico che non dall’espansionismo di Pechino.

Gli allarmi sono stati lanciati durante diversi consessi internazionali. Dal Palazzo di Vetro di New York, il premier di Tuvalu ha descritto l’innalzamento del livello del mare come la causa della distruzione dei campi agricoli e delle infrastrutture dell’isola, spingendo la popolazione (oltre 11mila persone) a lasciare il Paese. Le sue parole hanno ripreso quanto espresso qualche mese prima al summit dello Shangri-la Dialogue dal ministro della Difesa delle Fiji, che aveva affermato “le mitragliatrici, i jet, le navi e i battaglioni non sono il nostro principale problema di sicurezza (…) ma la minaccia esistenziale è il cambiamento climatico”. 

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Consapevole delle preoccupazioni dei suoi ospiti all’Us-Pacific Summit, il padrone di casa ha calcato la mano sul pericolo rappresentato dal cambiamento climatico. Il cambiamento climatico è una "minaccia esistenziale per le isole del Pacifico", ha dichiarato il presidente americano. Garantire una sicurezza ambientale permette quindi di preservare una sicurezza dell’Indo-Pacifico. Facendo seguito a un'iniziativa della scorsa settimana a margine dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il segretario di Stato Usa Blinken ha promesso un finanziamento di 4,8 milioni di dollari per rafforzare le "economie blu": oceani più puliti con una pesca più sostenibile. 

L’esito del primo summit conferma una cosa. La rivalità tra Cina e Usa può rivelarsi molto vantaggiosa per coloro che sono stati trascurati a lungo, scrive Bill Bishop, maggiore esperto degli affari cinesi. Il riferimento, ovviamente, va ai Paesi del Pacifico. 

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