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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Ho viaggiato nell'Ecuador paralizzato dalle proteste

Da 17 giorni il paese sudamericano sta insorgendo contro il governo del presidente conservatore Guillermo Lasso. Gli spostamenti sono molto difficili perché gli autobus sono fermi e molte strade vengono bloccate con montagne di pietre e alberi abbattuti

"Scendere e portare giù i bagagli". Questa la laconica indicazione della nostra guida mentre il nostro furgoncino era fermo davanti a una montagnetta di pietre che i contadini della zona avevano creato proprio per non far passare nessuno. Per alleggerire il peso facilitando il transito, tutti abbiamo obbedito senza esitazioni, compresa l'unica passeggera un po' in là con gli anni, che, anche a piedi, ha avuto qualche difficoltà ad attraversare il blocco. Quando sono iniziate le proteste che ormai da due settimane stanno paralizzando - e incendiando (letteralmente e non) - l'Ecuador, mi trovavo in uno sperduto ecolodge all'interno della foresta amazzonica, dove Internet e la tv erano inesistenti. Le notizie, però, anche se sparse e assolutamente frammentarie, mi arrivavano comunque sia dalla guida del nostro gruppo sia dalla cuoca della struttura, una signora tanto loquace quanto abile nella sua professione.

Proteste in Ecuador - Foto Eleonora Dragotto

Come ho potuto appurare una volta tornata 'alla civiltà', leggendo il quotidiano 'El Universo' e guardando il seguitissimo telegiornale 'Televistazo', il 13 giugno la Conaie, ovvero la Confederazione delle Nazionalità indigene dell'Ecuador, aveva indetto uno sciopero nazionale per protestare contro le politiche del presidente conservatore Guillermo Lasso, ritenuto colpevole di favorire solo le classi più agiate e di non aver preso misure adeguate per contrastare la disoccupazione e la povertà causate dalla pandemia. Le comunità indigene, che avevano già condotto un altro lungo sciopero nazionale nel 2019, in Ecuador sono una minoranza non tanto esigua, pari a circa il 25% della popolazione, e con un peso politico non indifferente. Tra le rivendicazioni della Conaie, diretta dal leader Leonidas Iza, oltre a quelle di abbassare il prezzo della benzina e di erogare sussidi adeguati per i più poveri, anche l'introduzione delle lingue native nei programmi didattici delle scuole.

(Il Tweet di Conaie del 28 giugno)

Non posso negare che le prime avvisaglie di quello che stava per succedere ci fossero state fin dai primissimi giorni del mio viaggio. Mentre stavo visitando Quito con il classico tour a piedi a offerta libera, la nostra guida, Miriam, indicando il Palazzo di Carondelet, sede del governo e residenza ufficiale del presidente della Repubblica dell'Ecuador, ci aveva detto: "Qui vive e lavora il presidente. Quanto a vivere, non ci sono dubbi... Ma lavorare, per la verità, davvero poco, viste le condizioni in cui versa il Paese, con una disoccupazione a livelli record e aiuti del tutto insufficienti per chi ha perso il lavoro a causa del covid". Che questo malcontento generale, acuito dall'inflazione e dall'aumento della criminalità in alcune zone, potesse tradursi in una protesta molto accesa, l'aveva profetizzato anche un giovane tassista (improvvisato) di Quilotoa, zona dove le comunità indigene sono molto presenti: "Sarà veramente difficile spostarsi e non si sa ancora quanto tempo durerà la mobilitazione. Andremo avanti finché le nostre richieste non saranno esaudite o fino a quando non si dimette il presidente". 

(Proteste vicino a Pifo, provincia de Pichincha)

Ma tornando alla scena 'epifanica' del viaggio sul furgoncino, dopo qualche altro su e giù per spostare rami e alberi abbattuti per sbarrare la strada (e il sommesso pianto di un bambino americano spaventato dal tangibile nervosismo degli adulti), siamo arrivati nel villaggio di Pacayacu. Qui, una volta aggirato il blocco della via principale, ci siamo trovati davanti a un gruppo di motociclisti che aderivano alla protesta e che avevano tutta l'aria di essere particolarmente infastiditi (uno di loro in realtà sembrava proprio furioso) per il troppo facile escamotage del nostro conducente. Ci si sono messi davanti con le loro moto rifiutando di farci passare per un po', finché la nostra guida li ha convinti che eravamo solo turisti che stavano lasciando il Paese. Alla fine siamo arrivati a destinazione nella per nulla incantevole cittadina petrolifera di Lago Agrio, non lontano dal confine con la Colombia. Ma da lì ce la siamo dovuta cavare senza l'aiuto della nostra preziosa guida, Fabricio, e, per fortuna, anche senza la presenza di Diego, leader di un altro gruppo di turisti affetto da logorrea, che ha passato l'intero viaggio a parlare con toni apocalittici, sia in spagnolo sia in inglese (affinché proprio tutti potessero ascoltarlo), di un possibile 'golpe' (ipotesi totalmente infondata).

(Il Tweet del Municipio di Quito del 28 giugno)

In assenza di autobus (i treni sono praticamente inesistenti), io e il mio compagno siamo dovuti ricorrere all'autostop, che per fortuna è molto utilizzato nel Paese e quindi non rappresenta di per sé un problema, non fosse per il fatto che molte strade erano, appunto, inaccessibili. Tra molti rallentamenti, piogge torrenziali e una piccola frana, comunque, siamo riusciti a muoverci, facendo anche incontri che ricorderemo a lungo, tra i quali quello di una 'curandera' (una specie di guaritrice) che ci ha dato il suo biglietto da visita nel quale promette 'lavori garantiti' contro 'l'espanto' (una specie di malocchio); quello di un sedicente antropologo che sostiene di essere amico intimo di due potenti sciamani; e quello dell'anziana alla guida di un van che affermava di assumere ayahuasca (il celebre decotto psichedelico) - ogni giorno da due mesi - per prevenire il covid.

Mentre noi cercavamo di risalire il Paese in direzione Quito, le proteste proseguivano anche in modo violento. Alle partecipatissime manifestazioni nella capitale si chiedeva di ridurre il prezzo della benzina e di alcuni alimenti, come la farina, oltre che di investire nel Welfare e nell'istruzione pubblica. La popolazione, però, denunciava anche saccheggi indiscriminati da parte di alcuni partecipanti alle proteste, oltre che la mancanza di alcuni beni di prima necessità per colpa dei blocchi imposti in alcune zone, tanto che alcune province avevano provveduto alla distribuzione di cibo e medicine con aerei colombiani e brasiliani. A Puyo, in particolare, nella zona ovest, nei giorni scorsi sono stati registrati assalti ai commissariati di polizia ed è in questa città che un manifestante è morto in circostanze ancora da chiarire.

(Autista Uber costretto a fermarsi e auto in contromano in autostrada per le proteste vicino a Pifo, provincia de Pichincha)

A Quito, dove chiunque ci aveva raccomandato di non andare, ma che noi abbiamo voluto salutare lo stesso un'ultima volta, abbiamo ritrovato una città deserta, con quasi tutti i negozi chiusi e le persone che correvano per strada nel timore che i cortei, e le possibili violenze, potessero raggiungerli. Abbiamo visto donne e famiglie arrivare in auto da chissà dove (e con chissà quali disagi) per andare in strada a protestare pacificamente, mentre altri giravano con spranghe di ferro e passamontagna. A Pifo, non lontano dalla capitale, abbiamo assistito al terrore generale dei negozianti che, uno dopo l'altro, nel timore (poi rivelatosi vano) di subire un saccheggio hanno improvvisamente tirato giù le saracinesche perché in lontananza si scorgeva il fumo di alcuni dei tanti pneumatici dati alle fiamme dai manifestanti. Abbiamo lasciato il Paese - dove si paventava anche la chiusura degli aeroporti - diviso, esausto, arrabbiato e confuso, senza sapere se ad aspettarlo vi fosse o meno qualche forma di redenzione.

(I negozianti chiudono le saracinesche spaventati da eventuali saccheggi a Pifo, provincia de Pichincha)

A due settimane dall'inizio delle proteste, oggi 29 giugno lo sciopero prosegue, così come, negli ultimi giorni, anche il dialogo tra Conaie e Governo. Nel frattempo il presidente Lasso ha detto che il prezzo della benzina verrà decurtato di 10 centesimi al gallone, contro i 40 chiesti dai manifestanti. Rispetto ai 10 punti inizialmente indicati dalla Conaie come essenziali per la fine del 'paro indefinito' (lo sciopero a oltranza), al momento il leader Leonidas Iza ha indicato come condizione per far cessare le proteste due soli temi, oltre a quello del prezzo del carburante, anche la deroga di due leggi che consentono lo sfruttamento petrolifero e minerario. "Vi daremo un'esperienza sudamericana a 360°", aveva detto, sarcastica, una mamma statunitense ai due figli mentre viaggiavamo sul pulmino cercando di proseguire nonostante i blocchi. Chi vive in occidente difficilmente sarà testimone di una protesta in grado di paralizzare un'intera nazione. Una rivolta popolare il cui prezzo da pagare è molto alto - al 27 giugno i morti erano cinque e i feriti quasi 500 -, ma la speranza è che una volta finita, oltre che avere un presidente diverso, l'Ecuador possa diventare un Paese più giusto e socialmente equo.

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