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Venerdì, 19 Aprile 2024
L'analisi / Germania

Berlino come Roma: perché anche la Germania rielegge il "suo" Mattarella

L'Assemblea federale è convocata per domenica 13 febbraio a Berlino. Accordo politico raggiunto da tempo sulla rielezione

Ricordo che qualche anno fa, in occasione di un incontro pubblico, il Presidente federale Frank-Walter Steinmeier, di solito molto cauto nelle sue dichiarazioni – un ex ministro degli esteri che conosce bene i rituali della diplomazia – ebbe a dirsi soddisfatto del suo «primo» mandato. Con qualche collega ci scambiammo immediatamente sguardi sorpresi: vuole forse dire che è già pronto per un secondo? La cosa si concluse lì, senza ulteriori discussioni, un po’ perché era una semplice battuta, carpita nel mezzo di una discussione informale, ma soprattutto perché di lì a poco sarebbe arrivata la pandemia a travolgere la politica mondiale.

Va anche ricordato che, a differenza del caso italiano, la rielezione del Presidente federale non è affatto problematica e ci sono già stati diversi casi. Si tratta di un’istituzione dotata di molti meno poteri e prerogative rispetto alla figura del nostro Presidente della Repubblica.

Ebbene qualche mese fa Steinmeier esplicitò la disponibilità per un secondo mandato ma la dichiarazione fu accolta con freddezza. Innanzitutto, perché la fine del suo mandato quasi coincideva con le elezioni per il nuovo Bundestag dello scorso settembre. Non era possibile immaginare quale maggioranza sarebbe uscita dalle urne. Steinmeier, della SPD, era stato eletto su proposta della Grande coalizione, cioè dall’accordo tra conservatori e socialdemocratici al governo tra il 2013 e il 2021. Ma se la CDU avesse vinto le elezioni di settembre e magari formato un governo con liberali e verdi era pensabile che il capo dello Stato andasse a una forza di opposizione come la socialdemocrazia? La democrazia è innanzitutto rappresentanza: ne sa qualcosa il decano della politica tedesca Wolfgang Schäuble che non è stato rieletto alla guida del Parlamento proprio perché il suo partito, la CDU, ha perso le elezioni.

E domenica 13 febbraio la rielezione di Steinmeier quale Presidente federale avviene in condizioni politiche diversissime da quella in cui maturò la sua prima elezione del 2017. Si tratta, infatti, di un accordo politico nella nuova maggioranza “semaforo” al governo a Berlino, che permette di evitare eccessive (e pericolose) frizioni tra i partner di governo e consegna alla socialdemocrazia, grande (e inaspettata) vincitrice di questa fase, le tre principali cariche dello Stato: il Presidente federale, il Cancelliere, la Presidente del Bundestag, Bärbel Bas.

Se il percorso è stato tortuoso ed è inevitabilmente passato per le strettoie delle elezioni che lo scorso settembre hanno premiato la socialdemocrazia, la rielezione di Steinmeier, votato anche dai conservatori che non sono riusciti a trovare una candidatura alternativa evidenziando così ancora la confusione che regna nella CDU dopo la batosta elettorale di settembre, è una buona notizia per la Repubblica federale. Intanto perché è tra i politici tedeschi quello che meglio di tutti ha interpretato in questi anni difficili il bisogno di ascolto di gran parte della popolazione. Steinmeier ha viaggiato tantissimo, ha promosso ovunque tavoli di discussione con i cittadini, invitando le altre istituzioni a fare altrettanto. Ha capito quanto sia cambiata la società tedesca negli ultimi decenni, si è fatto carico dei “nuovi” tedeschi con un passato migrante, ha condannato duramente la destra più radicale.

In secondo luogo, perché proprio la Presidenza federale è stata l’istituzione tedesca che più di ogni altra negli ultimi anni, all’ombra del lunghissimo cancellierato Merkel, è stata segnata dall’instabilità. Due Presidenti Horst Kohler e Christian Wulff sono stati costretti a dimissioni anticipate: il primo perché aveva affermato che in Afghanistan i soldati tedeschi e in generale gli occidentali, più che esportare la democrazia, difendevano interessi nazionali. Né più né meno quello che Biden avrebbe ammesso nell’agosto nel 2021. Ma allora, correva l’anno 2010, quell’ammissione era tabu. L’altro, Wulff, incappò in un incidente con il quotidiano Bild, sul quale aveva fatto pressioni per evitare le pubblicazioni di alcune notizie personali relative a una indagine in corso. Il pastore Joachim Gauck, eletto nel 2012 e primo Presidente dalla ex Germania Est, non volle essere eletto per un secondo mandato.

Si arrivò così a Steinmeier che pochi mesi dopo la sua elezione fu chiamato a un intervento davvero particolare. Nel settembre del 2017 dopo elezioni federali, Merkel voleva definire una nuova coalizione con Verdi e Liberali. Dopo due mesi di trattative questi ultimi si sfilarono facendo fallire il progetto. Si temette di dover tornare alle elezioni, ma Steinmeier convinse i compagni di partito a riproporre la coalizione con Merkel che la SPD nel corso della campagna elettorale aveva detto di non voler ripetere. Una mossa, però, che è riuscita più per l’appartenenza di Steinmeier stesso alla socialdemocrazia, che ha dunque toccato le corde giuste nel suo partito per farsi ascoltare, che alle prerogative costituzionali del Presidente federale.

Quanto accadde conferma anche le convinzioni di Steinmeier, certamente non un innovatore (nel 2017 non provò nemmeno a coinvolgere anche i Grünen nel governo ma confermò come unica soluzione la Grande coalizione), ma un tranquillo “traghettatore”, fedelmente convinto della necessità della presenza della socialdemocrazia al Governo del paese. Con la sua rielezione si rafforza soprattutto Olaf Scholz e la sua idea di politica come amministrazione quasi tecnica, gestita da validi funzionari. Una sorta di avanti adagio nella direzione intrapresa negli ultimi anni. Se basterà e se avrà successo lo scopriremo solo nei prossimi anni.

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