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Giovedì, 25 Aprile 2024

Fernando D'Aniello

Collaboratore

Rivoluzione verde, una sfida dall'esito incerto

Probabilmente il prossimo quattro luglio capiremo meglio se e come il governo guidato da Olaf Scholz sarà in grado di dare alla Germania la prospettiva di cui ha bisogno, segnando così una fase nuova nella politica tedesca. Per il governo tedesco la fase iniziale non è stata semplice: prima il Covid, poi la guerra, con gli attacchi, spesso insensati, che provengono da più parti, sulla poca determinazione del cancelliere federale nel contrastare Vladimir Putin. Invece proprio qui la svolta è reale: tra le armi inviate all’Ucraina e i cento miliardi per l’esercito tedesco, Scholz ha davvero iniziato a rivoluzionare la politica tedesca sulla sicurezza. E non valgono le obiezioni che le armi sono poche come pure i cento miliardi: presto il resto d’Europa scoprirà che la Germania non è più solo una potenza economica e dovrà, inevitabilmente, farci i conti. D’altro canto, va anche ammesso che la strategia di comunicazione del governo è stata sin qui a dir poco fallimentare.

Il quattro luglio, però, il Cancelliere si gioca una carta importante, alla quale sta lavorando da molto tempo. Vale a dire l’Alleanza per la trasformazione (Allianz für Transformation), il progetto a cui Olaf Scholz tiene di più e che ha inserito nel programma di coalizione con i Verdi e i Liberali. Dopo un incontro preliminare delle settimane scorse, si dovrebbe iniziare a fare sul serio: si tratta di un tavolo con Governo, imprese e sindacati per gestire insieme non solo le difficoltà di questa fase ma soprattutto il grande progetto di transizione ecologica. Qualcuno ha parlato di corporativismo ma per ora è una definizione prematura, che non tiene conto della necessità di un coordinamento tra governo e parti sociali perché la svolta verde parta con il piede giusto.

Il piano di Scholz è rendere verde l’industria tedesca, fare in modo cioè che l’intero ciclo produttivo possa essere realizzata con fonti rinnovabili o comunque non fossili. Un compito titanico che preoccupa e non poco i lavoratori. La rivoluzione verde, infatti, è una sfida il cui esito è incerto: passare all’auto elettrica significa rinunciare a una serie di componenti che oggi danno lavoro a migliaia di persone. Il passaggio da fonti fossili a quelle rinnovabili è complicato, adesso messo ulteriormente sotto pressione dalla decisione di rinunciare al gas russo. L’infrastruttura per fonti alternative è ancora da realizzare e un passo falso in questa direzione rischia di mettere in discussione l’intero modello industriale tedesco, che è poi straordinariamente connesso a quello italiano, l’altro grande manifatturiero del continente. Tant’è che Yasmin Fahimi, neoeletta segretaria del DGB, la confederazione che raccoglie i sindacati tedeschi, lo ha detto chiaramente: “Sarebbe un errore palese rinunciare alla produzione industriale in Germania, solo per venire a capo del bilancio climatico”.

L’obiettivo del tavolo, come si leggeva anche nel patto di coalizione tra i tre partiti di governo, è quello di vincere la sfida ecologica e tecnologica senza al contempo perdere la propria capacità produttiva e, di conseguenza, posti di lavoro.

L’idea è quella di individuare una strategia comune per definire modalità e tempi della trasformazione: servono (molte) risorse per andare incontro alle richieste delle imprese (per far fronte ai costi crescenti, ad esempio, delle emissioni di anidride carbonica) e per mettere a disposizione fonti energetiche a basso prezzo (il gas naturale per una fase e i nuovi impianti all’idrogeno). Ma servono anche nuove norme per l’immigrazione di forza lavoro e, soprattutto, per la loro formazione. E, ovviamente, occorre evitare che la strategia di trasformazione, venduta esclusivamente come “verde” ma dai contorni ancora poco chiari, produca la messa in discussione della filiera manifatturiera tedesca, come temono soprattutto i sindacati.

Trovare una quadra tra questi obiettivi non sarà facile. Per i sindacati stessi è un compito complicato, soprattutto per le enormi differenze tra i settori: il recente aumento salariale di 6,5% strappato dai lavoratori dell’acciaio è qualcosa di complicato nel settore dei servizi, dove ancora problematica è la diffusione del contratto di categoria e, quindi, dove il livello dei salari è rimasto basso.

Su questo, però, Scholz non può permettersi di sbagliare: se riuscirà a impostare correttamente l’azione del governo e delle parti sociali, eviterà conflitti sociali e un’ulteriore polarizzazione della società tedesca. I rischi di un corporativismo ci sono, inutile negarli: l’ipotesi è che ci sia un blocco su un progetto di trasformazione tutto ideologico e lontano dalle necessità vere del paese e della trasformazione tecnologica in corso. Ma qui toccherà alle imprese e ai sindacati definire con intelligenza un proprio spazio di intervento e autonomia dalle proposte del governo. È su questo che si gioca il bilancio complessivo del cancellierato di Scholz. E presto vedremo davvero cosa può succedere: il primo ostacolo sarà trovare una quadra nella coalizione, con i Librali certamente poco orientati a favorire questa impostazione troppo dirigista. I conflitti nella coalizione “semaforo” sin qui sono stati ampiamente visibili e anche problematici: un loro superamento non è affatto scontato.

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