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Giovedì, 25 Aprile 2024
Le conseguenze / Corea del Sud

Perché se scioperano i camionisti in Corea del Sud non è una buona notizia nemmeno per noi

Da più di sette giorni oltre 7.500 di camionisti sudcoreani hanno incrociato le braccia. Ma se lo sciopero dovesse continuare ancora per giorni rischia di avere effetti a catena in tutto il mondo.

Da più di sette giorni oltre 7.500 di camionisti della Corea del Sud hanno incrociato le braccia e hanno spento i motori dei loro autocarri. Una decisione che ha conseguenze sulle catene di approvvigionamento globale, che già pagano l’alto prezzo dei lunghi lockdown cinesi, del Covid e della guerra in Ucraina.

Dalle auto ai chip per i semiconduttori, dagli smartphone ai prodotti petrolchimici fino all'acciaio e al cemento: i camionisti hanno bloccato il trasporto di tutti questi prodotti. C’è un numero che riflette il peso della scelta degli autotrasportatori: le esportazioni della Corea del Sud hanno registrato un calo nei primi 10 giorni di giugno del 12 per cento, rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, per un totale di 15,07 miliardi di dollari di prodotti.

Le conseguenze economiche e i settori interessati

Gli autotrasportatori sono intenzionati ad andare avanti. Ma se lo sciopero dovesse continuare ancora per giorni rischia di avere effetti a catena in tutto il mondo. A pagarne le spese della contestazione è la catena di approvvigionamento dei settori del cemento, petrolchimico, acciaio, auto e componenti IT. I colossi delle industrie nazionali sono stati costretti a correre ai ripari, interrompendo l’attività produttiva in alcuni stabilimenti a causa di un eccesso di prodotti finiti, che non riescono a essere immessi nel mercato.

Il settore automotive è uno dei più colpiti. La produzione nel più grande complesso industriale della casa automobilistica di Hyundai Motor nella città meridionale di Ulsan è scesa a circa il 60 per cento lo scorso 10 giugno, per la carenza dei componenti che non circolano nel paese a causa dello sciopero degli autotrasportatori. L’interruzione dell’attività produttiva comporta costi enormi per il colosso automobilistico sudcoreano: gli stabilimenti Hyundai di Ulsan, che solitamente producono circa 6mila veicoli al giorno, hanno visto una produzione ridotta di oltre il 60 per cento con una perdita in termini economici di 254 milioni di dollari.
La contestazione ha portato anche a una riduzione del 50 per cento delle spedizioni giornaliere di Hankook Tire & Technology Co Ltd, fornitore di importanti case automobilistiche come Volkswagen e Mercedes-Benz Group.

Rischia anche la catena di distribuzione dei microchip, dal momento che la Corea del Sud è uno dei principali fornitori di semiconduttori al mondo. Le minacce degli autotrasportatori non sono rassicuranti: i camionisti hanno in programma di fermare le spedizioni a Ulsan di solfato di alta qualità, un materiale chiave utilizzato per la produzione di semiconduttori. La decisione rischia di bloccare l’industria dei microchip, colpendo anzitutto i giganti dell’elettronica Samsung, Lg e SK Hynix. 

Anche il colosso siderurgico POSCO ha già interrotto la produzione in alcuni dei suoi stabilimenti nel paese, per via di un eccesso di prodotti finiti che non sono stati spediti a causa dello sciopero. Già nei giorni scorsi POSCO ha constatato quanto lo sciopero abbia influito sulle spedizioni dei suoi stabilimenti, ridotta di circa un terzo, ovvero 35.000 tonnellate al giorno. Il big siderurgico ha in programma di aumentare la spedizione su rotaie per ridurre la dipendenza dal trasporto dei camionisti.

E poi c’è l’interruzione del traffico di container al porto di Busan, il settimo porto per container più grande del mondo che rappresenta l’80 per cento del traffico nazionale. La contestazione dei camionisti ha ridotto di due terzi il traffico di container rispetto ai livelli normali. I siti di stoccaggio sono ormai colmi ma le autorità governative stanno pensando ad alternative per individuare nuovi siti di immagazzinamento.
Il governo è costretto ad adottare misure di emergenza, tra cui la consegna di 100 camion merci dai militari e 21 veicoli da altre agenzie del governo locale per trasportare i prodotti nei principali porti.

Perché lo sciopero

Gli autotrasportatori sudcoreani sono scesi in strada per protestare contro l’impennata dei prezzi del gasolio, ma anche chiedere un innalzamento dei salari per fronteggiare le conseguenze dell’inflazione economica, la peggiore degli ultimi 14 anni. La protesta dei camionisti è un banco di prova per l’amministrazione di Yoon Suk-yeol, che si è insediato al governo solo il mese scorso. Il presidente conservatore punta il dito contro le sigle sindacali sudcoreane, esortandole a risolvere la questione con i camionisti e porre così fine agli scioperi. Ma per quanto il premier Yoon tenti di stare alla larga dalla disputa sindacale, le richieste dei camionisti travolgeranno inevitabilmente il governo.

Gli autotrasportatori hanno presentato al governo di Seul una richiesta specifica: la proroga del cosiddetto "Sistema di tariffe di trasporto sicuro" che scade il 31 dicembre di quest’anno. La misura, introdotta dall’ex presidente democratico Moon Jae-in nel 2020, in piena pandemia, garantisce tariffe minime per i camionisti. Gli autotrasportatori, soffocati dal rialzo dei prezzi del carburante, chiedono anche un ampliamento della misura economica, dal momento che quest’ultima si applica attualmente solo ai lavoratori che trasportano container e prodotti in cemento.      

La Cargo Truckers Solidarity Union, la sigla sindacale degli autotrasportatori sudcoreani, sta valutando diverse opzioni per promuovere le sue istanze, tra cui fermare il trasporto del carbone, utile a generare elettricità, e costringere alla chiusura dei complessi petrolchimici bloccando le loro spedizioni in entrata e in uscita.

Lo scontro diventa quindi politico. I democratici accusano i conservatori di bloccare il disegno di legge. Il governo Yoon ha le mani legati: cedere alle richieste dei camionisti comporterebbe l’estensione di nuove istanze da parte di altre categorie lavorative. Tuttavia, il presidente conservatore preferisce delegare ai sindacati la soluzione del problema ed evitare così di essere coinvolto in una disputa che potrebbe minare il consenso popolare. Una scelta che si riflette anche e soprattutto sulla supply chain globale.

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