rotate-mobile
Venerdì, 29 Marzo 2024
Dentro la notizia

La bomba a orologeria africana

Chi segue l'Africa è consapevole che Khartum è solo il nuovo epicentro di una crisi molto più profonda dove dinamiche regionali si intrecciano con giochi di potere globali come ci spiega Marco Malvestuto, analista dell'agenzia Nova

Con il conflitto in Sudan l'Africa ha ritrovato le prime pagine dei giornali non solo come luogo di partenza delle migliaia di migranti che attraversano il Mediterraneo: come da Kabul nel 2021 maxi aerei cargo hanno trasportato fuori dal paese personale civile e militare occidentale mentre la capitale sudanese ma anche i principali centri di potere sono preda di bande armate.

Chi segue l'Africa è consapevole che Khartum è solo il nuovo epicentro di una crisi molto più profonda dove dinamiche regionali si intrecciano con giochi di potere globali. Diciamolo fin da subito chiaramente: l'Africa è una bomba a orologeria di cui l'Italia - e l'Europa tutta - si è colpevolmente disinteressata, appesantita dall’onta del passato coloniale che ha fatto da volano agli interessi contingenti di Cina prima e Russia poi.

Dei 54 paesi che compongono il continente africano si contano solo pochi paesi che possono vantare una certa stabilità economica e politica mentre aumentano le crisi umanitarie innescate da cambiamenti climatici e i continui passaggi di potere caldeggiati da Mosca. In questo contesto di alta instabilità l'intero continente corre verso un prepotente sviluppo demografico che porterà un paese come la Nigeria a contendere a Cina e India lo scettro di paese più popoloso del mondo.

"Occorre puntare su paesi come Zambia, Kenya e Angola per trovare uno scenario positivo e caldeggiare uno stabile percorso democratico" analizza a Today.it Marco Malvestuto, responsabile del desk Africa per l'agenzia Nova. "Nonostante le proposte di 'non dimenticare l'Africa' all'atto pratico le risorse stanziate per l'aiuto allo sviluppo sono addirittura calate (inferiori al 0,3% del Pil) mentre siamo lontani dallo sviluppare azioni di partenariato".

Percentuale del Pil destinato per aiuto allo sviluppo-2

Il vuoto lasciato dall'Occidente è stato rapidamente colmato dalla Cina che da vent'anni spadroneggia in Africa portando avanti progetti infrastrutturali e investimenti, accalappiando i vari Stati nella trappola del debito. "La Cina fornisce progetti per tutto, da strade a dighe, impiega la propria forza lavoro e finanzia i progetti stessi. Così i singoli Stati si trovano a dover cedere – non avendo il denaro per rientrare dei prestiti – lo sfruttamento delle proprie miniere" spiega ancora Malvestuto. È così ovunque, dalla costa Atlantica all'Oceano indiano.

Ma la Cina non è l'unica superpotenza ad aver approfittato di un vero e proprio ritiro dell'Occidente: Francia – ma anche l'Italia – avevano forze armate nel continente africano, ma ad esempio in Mali è in atto un ritiro che ha lasciato spazio a Mosca. La Russia presentandosi come forza amica in grado di andar oltre l'orizzonte post coloniale ha pesantemente infiltrato le proprie forze in Mali così come in molti altri paesi africani. E un po' come in Crimea lo fa usando la propria arma più insidiosa: il gruppo Wagner cui Mosca ha affidato il gioco sporco di armare e addestrare le fazioni ribelli capaci di destabilizzare i governi – spesso fragili – al potere. D'altronde in Africa non è difficile trovare gruppi armati e conflitti interetnici mai sopiti.

"Se il Sudan ha trovato posto nelle prime pagine per la guerra civile scoppiata tra le forze armate ufficiali e il gruppo paramilitare Rsf (in odore di Cremlino) la Russia ha iniziato dal 2016 a infiltrare in Sahel i miliziani del gruppo Wagner offrendo sicurezza contro la minaccia jihadista – spiega Malvestuto - nella Repubblica Centrafricana assicurano la sicurezza del presidente Touadera, in cambio dello sfruttamento delle riserve minerarie. In Malì il secondo colpo di stato del 2020 è stato coordinato da militari filorussi che hanno costretto le forze armate di peacekeeping francesi e italiane ad andarsene. Anche in Burkina Faso operano attività di propaganda e sono fautori del colpo di stato del 2022. Così un'opera di destabilizzazione è in corso in Mauritania e in Chad dove Mosca cerca di rovesciare il governo addestrando i ribelli".

"Il Niger è l’ultimo bastione, sempre più isolato, rimasto in orbita francese" spiega ancora Malvestuto. "In Mozambico c'è il gruppo islamista che fa base a Cabo Delgado, in Congo il mai sopito conflitto etnico con il Ruanda".

E nel Corno d'Africa ribollono i conflitti regionali: Etiopia e Eritrea - pur rivali storiche - in questo momento sono alleate per ragioni tattiche per schiacciare i ribelli tigrini, l'etnia espressione dell'élite che per decenni ha dominato l'Etiopia in conflitto con l'Eritrea. A supporto del Tigray l'Egitto di Al Sisi che vede come il male assoluto la maxi diga che Etiopia sta costruendo per sopperire alla sete di acqua e energia minacciando di contro l'autonomia idrica de Il Cairo: "Per questo motivo le relazioni tra Egitto ed Etiopia sono pessime" ricorda ancora Malvestuto che non dimentica il conflitto Somalo che dal 1991 vede succedersi milizie – islamiste e non – impegnate per il controllo di Mogadiscio: "Dopo il conflitto civile scoppiato nel 1991 il Paese fatica a ritrovare stabilità a causa di una miriade di elementi di tensioni interni, uno su tutti la residua presenza dei miliziani jihadisti di al Shabaab" sottolinea.

Il quadro caotico – è anche solo difficile immaginare come sopravvivere in questi Paesi - è oltremodo preoccupante se si pensa che solo in Sudan sono ospitati 800mila profughi provenienti dai vicini paesi in conflitto e che ora si sono rimessi in marcia.

sudan cartina ispi

"Solo negli ultimi due giorni si sono messe in viaggio oltre 10mila persone" sottolinea Malvestuto. Dove andranno? Molti tornati nei paesi di origine dove difficilmente troveranno la pace, anzi: i rischi per tutta la regione del Corno d’Africa, già destabilizzata da altri conflitti, sono concreti. I profughi non necessariamente prenderanno la via del Mediterraneo attraversato giornalmente oramai da centinaia di migranti economici da Guinea e Costa d'Avorio, paesi in cui lo sviluppo demografico non è accompagnato dallo sviluppo economico, a cui si teme possano aggiungersi chi dalla Tunisia cercherà una vita migliore lontano da una preoccupate crisi economica.

Così la Tunisia ricatta l'Italia e l'Occidente 

Lo abbiamo visto: non c'è quasi un solo paese che non presenti almeno una dinamica di crisi. "Servono risorse mirate, istruzione e infrastrutture, ma anche sicurezza e opere di peace building – raccomanda Malvestuto, giornalista dell'agenzia Nova – la Russia ha un grosso vantaggio nel non avere un passato coloniale in Africa e può presentarsi con un'opera di propaganda quale "portatrice degli interessi dei paesi africani per liberarli dal gioco del franco Cfa". "Una vecchia bufala ottima per la causa, e ovviamente sappiamo che non è così".

Nel frattempo le mire di Mosca guardano a Port Sudan come nuova base navale sul Mar Rosso. "Gli Stati Uniti d'America hanno capito la posta in palio e il presidente Biden ha più volte rilanciato l'iniziativa statunitense in Africa 'troppo spesso dimenticata'. È chiaro l'intento di controbilanciare l'influenza russo-cinese nel continente dopo la ritirata dell'Occidente". Sempre che non sia troppo tardi.

Come l'Ue e l'Italia hanno finanziato la guerra in Sudan

Sullo stesso argomento

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Today è in caricamento