rotate-mobile
Venerdì, 29 Marzo 2024
Mondo Israele

Gli Usa lasciano l'Unesco dopo l'ingresso della Palestina (e Israele prepara una nuova guerra) 

Mentre Hamas e Fatah stringono un accordo per un nuovo governo di unità nazionale nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, Gerusalemme prepara i piani per affrontare Hezbollah (e l'Iran) in Libano e Siria. E Trump fa la sua prima mossa contro Teheran

Dopo gli Stati Uniti anche Israele esce dall'Unesco come rappresaglia per l'ingresso della Palestina (formalmente l'Anp di Abu Mazen) nell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura.

"Il capo del governo" Benjamin Netanyahu "ha dato disposizione al ministero degli Esteri di preparare l'uscita di Israele dall'Unesco parallelamente agli Stati Uniti", si legge nella nota.

La scintilla che ha fatto detonare il tutto risale addirittura a due anni fa quando il Comitato dell'Unesco ha approvato con 24 voti a favore (tra cui Russia, Cina e Paesi arabi proponenti), 6 contrari (Usa, Gran Bretagna, Lituania, Olanda, Germania, Estonia) e 26 astensioni (tra cui Italia e Grecia) un documento sulla Città Santa di Gerusalemme in cui i luoghi sacri vengono inseriti dall'Unesco nei patrimoni storici da proteggere usando solo il termine arabo 'Al Haram al Sharif' (in italiano 'Spianata delle Moschee') mentre lo stesso luogo è denominato 'Monte del Tempio' dagli ebrei.

Inoltre la risoluzione Unesco, il cui titolo è 'Palestina occupata', indica Israele come "un potere occupante", e condanna "le crescenti aggressioni di Israele, in particolare degli estremisti di destra", disapprova "le restrizioni imposte da Israele all'accesso ai luoghi sacri", si rammarica "per il rifiuto di Israele di concedere i visti agli esperti dell'Unesco", si duole "per i danni causati dalle Forze armate israeliane", deplora il progetto israeliano di costruire due linee tranviarie nella città vecchia di Gerusalemme e un 'visitor center' a sud della Spianata. La risoluzione riafferma altresì che la porta di Mughrabi è "parte integrante della moschea Al Aqsa e della Spianata delle Moschee", che le tombe dei patriarchi a Hebron e quella di Rachele a Betlemme sono "parte integrante della Palestina".

Il numero uno dell'Unesco Irina Bokova ha espresso "profondo rammarico" per l'annuncio degli "Stati Uniti di lasciare" l'agenzia onusiana per la cultura e l'educazione dopo le critiche per le risoluzioni che Washington ritiene contro Israele.

Va ricordato come gli Stati Uniti avevano già smesso di finanziare l'Unesco dopo la decisione di includere la Palestina come membro nel 2011, pur decidendo di mantenere il proprio ufficio nel quartier generale di Parigi per cercare di continuare ad avere un peso politico sulle decisioni.

Dopo 10 anni di guerra civile la Palestina torna unita

Le tensioni in seno alle Nazioni Unite avvengono proprio nel giorno in cui il movimento islamista Hamas e il rivale Fatah hanno annunciato di avere perfezionato un accordo sui termini concreti per la riconciliazione, dopo un decennio di scontri devastanti segnati dalla divisione in aree di influenza dei territori palestinesi fin dal 2007 quando il territorio della striscia di Gaza era stato occupato da Hamas dopo un sanguinoso conflitto proprio con le autorità dell'Anp gestite da Fatah. 

Secondo l'accordo l'Autorità Nazionale Palestinese assumerà il controllo totale di Gaza al più tardi il primo dicembre 2017 introducendo un piano per rilanciare l'economia della Striscia di Gaza. Contestualmente 3mila poliziotti dell'Anp verranno disolocati a Gaza. Uno dei primi provvedimenti di Ramallah sarà la rimozione della sanzioni imposte a Gaza per forzare Hamas a negoziare la riconciliazione ora ottenuta. 

La riconciliazione nazionale rappresenta una grande possibilità per i quasi due milioni di abitanti della Striscia di Gaza di avere migliori condizioni di vita. Per dieci anni sono rimasti bloccati tra Israele ed Egitto, subendo tre guerre e patendo la fame, la disoccupazione e la mancanza spesso di acqua ed elettricità. Inoltre la divisione interna dei palestinesi è considerata uno dei principali ostacoli alla risoluzione del conflitto con Israele e quindi al riconoscimento internazionale dello Stato palestinese.

Tuttavia quella che in apparenza è un passo verso la pacificazione del Medio Oriente pone Israele in una difficile condizione di accerchiamento. Tanto da far asserire al premier israeliano, Benjamin Netanyahu che la riconciliazione tra Hamas e Fatah rende più difficile raggiungere l'obiettivo della pace".

"Hamas deve deporre le armi e riconoscere Israele dopo l'accordo firmato con Fatah per l'unità palestinese" ha dichiarato il portavoce del governo israeliano nel primo commento dopo la firma dell'intesa.

"Qualsiasi riconciliazione tra (l'Autorità palestinese) e Hamas deve includere un impegno al rispetto degli accordi internazionali e delle condizioni del Quartetto, prima di tutto il riconoscimento di Israele e il disarmo di Hamas", ha dichiarato riferendosi al format diplomatico sul processo di pace in Medio Oriente che include le Nazioni Unite, gli Stati Uniti, l'Unione europea e la Russia.

Tel Aviv: "Hamas deve deporre le armi"

A porre Hamas  in un vicolo cieco è il momento di profonda crisi in cui il movimento sunnita islamista si è trovato rinchiuso dopo il blocco economico imposto dall'Egitto di Al Sisi ai danni della Striscia e la crisi diplomatica dei Paesi del Golfo con il Qatar, uno dei principali sponsor del movimento palestinese e nell’attuale condizione di isolamento troverà non poche difficoltà a proseguire tale strategia di supporto.

Da Tel Aviv sono arrivate anche delle chiare condizioni affinché un tavolo di dialogo potesse essere aperto: "Disarmo completo di Hamas e rottura definitiva dei rapporti con l’Iran". Queste le condizioni sine qua non dettate da Netanyahu. Sembrava che Hamas potesse accettare le richieste israeliane e invece già la scorsa settimana è arrivata la doccia fredda.

Israele prepara la guerra contro Hezbollah

Centrale per orientarsi nell'intricato risiko Mediorientale il ruolo sempre maggiore dell'Iran. Teheran, di fatto, ha vinto la sua guerra in Siria, rappresentando così una minaccia per lo Stato ebraico, o almeno così è vista da Tel Aviv a sentire l'ex generale dell'esercito israeliano Yossi Kuperwasser dalle pagine del Jerusalem Post.

“L’Iran vuole quasi certamente trasformare la Siria in una base militare iraniana. Per cui, invece di minacciare Israele da 1.300 chilometri, le forze iraniane potrebbero arrivare ai confini di Israele. Ciò comporterebbe un cambiamento drammatico nella natura della minaccia che Israele dovrà affrontare”.

Il rischio concreto che Libano e Siria diventino un unico fronte di guerra come ha più volte detto il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman, il quale ha anche sottolineato che lo Stato ebraico sta valutando l’ipotesi di un attacco.

“A nord – ha detto Lieberman – abbiamo un unico fronte composto da Libano, Siria, da Hezbollah, dal regime Bashar al Assad e da tutti coloro che lo aiutano”. Secondo il ministro della Difesa israeliano, l’esercito libanese “ha perduto la propria indipendenza ed è diventato parte integrante di Hezbollah, da dove partono effettivamente gli ordini”.

Per i dati in possesso all’intelligence israeliano, il Partito di Dio dispone, di oltre 100mila razzi e missili che possono colpire praticamente tutto il territorio di  Israele. Secondo Lieberman esiste il rischio concreto di un confronto che “si sviluppi sui fronti nord e sud. Non credo ci potrà essere una guerra su un solo fronte. Questa è la nostra ipotesi di base ed è quella su cui il nostro esercito si prepara”.

Come riporta La Stampa, proprio in questi giorni, gli Usa hanno messo nuove taglie contro Talal Hamiyah, il capo delle operazioni estere del Partito di Dio, e Fuad Shukr, un comandante militare.

La minaccia nuclerare dell'Iran

Nel frattempo gli Stati Uniti mettono sotto pressione l'Iran e il trattato sul nucleare siglato sotto la presidenza Obama. Il consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, H.R. McMaster, avrebbe comunicato al Congresso che il presidente Donald Trump ha preso una decisione finale sull'accordo nucleare con l'Iran, di cui non certificherà il rispetto da parte di Teheran. Lo riporta la Nbc. Da giorni, i media statunitensi affermano che Trump non ha intenzione di certificare l'accordo, ma l'annuncio formale non è ancora stato dato. Secondo Politico, lo staff di Trump vorrebbe però evitare la reintroduzione delle sanzioni.

La legge obbliga il presidente degli Stati Uniti a comunicare al Congresso, ogni 90 giorni, se l'Iran rispetta l'accordo e se l'abolizione delle sanzioni sia nell'interesse nazionale degli Stati Uniti; finora, il presidente ha certificato il rispetto dell'intesa ad aprile e luglio. La legge conferisce al Congresso, in caso di "non certificazione" del presidente, un tempo di 60 giorni per decidere se reintrodurre o meno le sanzioni. Anche ieri, intervistato da Fox News, Trump ha ripetuto che si tratta del "peggior accordo mai firmato" dal governo di Washington.

Il nucleare iraniano approda al Parlamento italiano

E' il parlamentare del Partito Democratico, Lucio Malan, questore del Senato a portare il caso del nuclare iraniano fin dentro il Parlamento italiano. In una interrogazione rivolta al ministro degli Esteri Angelino Alfano, il senatore Pd chiede al Governo italiano come intenda continuare a promuovere le relazioni commerciali con l'Iran, con importanti scambi anche di investimenti "in un Paese che rischia di tornare a subire più gravi sanzioni a livello internazionale" considerando le dichiarazioni dei leader iraniani.

In diverse occasioni negli ultimi anni sono state riportate dalla stampa dichiarazioni del leader e Presidente della Repubblica islamica dell'Iran, Hassan Rouhani, e della Guida suprema dell'Iran Ali Khamenei, del consigliere speciale per la politica estera di Khamenei, Ali Akbar Velayati.

Rouhani: "Israele è una vecchia ferita del mondo Islamico da rimuovere".  Ali Khamenei: "La razza europea è una razza barbara. Loro vestono giacca e cravatta e si profumano di acqua di colonia ma, in fondo, hanno la stessa barbara natura nota dalla storia. (maggio 2013, su "memritv.org");  E ancora Ali Khamenei: "Il mio credo - il nostro credo, è che la Cisgiordania debba essere armata come Gaza. Coloro che amano il destino dei Palestinesi, se possono fare qualcosa, devono fare questo. Le persone lì debbono essere armate" (luglio 2014, su "al-monitor.com").  Ali Khamenei: "Voglio dire all'entità sionista: primo, voi non vedrete i prossimi 25 anni; secondo, sino a quel momento la lotta eroica e la jihad non vi darà un momento di serenità" (settembre 2015, su "twitter"). 

Papa Francesco: "Odio e guerra minano convivenza"

Sul tema delle tensioni in Medio Oriente torna a parlare anche Papa Francesco in un messaggio in occasione del centesimo anniversario del Pontificio Istituto Orientale.

"I tempi in cui viviamo e le sfide che la guerra e l'odio portano alle radici stesse della pacifica convivenza nelle martoriate terre d'Oriente, vedono l'Istituto ancora una volta, proprio come cento anni fa, al centro di un crocevia provvidenziale. Mantenendo intatta l'attenzione e l'applicazione alla ricerca tradizionale, invito tutti a offrire a quelle Chiese e all'intera comunità ecclesiale la capacità di ascolto della vita e di riflessione teologica per aiutare a sostenerne l'esistenza e il cammino".

Per la ricorrenza Jorge Mario Bergoglio ha dapprima visitato l'istituto guidato dai gesuiti e ha poi celebrato messa nella vicina basilica di Santa Maria maggiore.

Nel testo consegnato al cardinale Sandri, ancora, il Papa sottolinea che "con il crollo dei regimi totalitari e delle varie dittature, che in alcuni paesi ha purtroppo creato condizioni favorevoli al dilagare del terrorismo internazionale, i cristiani delle Chiese orientali stanno sperimentando il dramma delle persecuzioni e una diaspora sempre più preoccupante. Su queste situazioni nessuno può chiudere gli occhi".

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Gli Usa lasciano l'Unesco dopo l'ingresso della Palestina (e Israele prepara una nuova guerra) 

Today è in caricamento