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Venerdì, 22 Settembre 2023
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“Com’è partecipare alla sperimentazione sul vaccino”: il racconto della giornalista che si è offerta volontaria

Il racconto in prima persona di Leila Macor, corrispondente da Miami per Afp: ecco perché lo ha fatto

Tra i 30mila volontari per il vaccino per Covid-19 di Moderna c’è anche la giornalista dell’Afp Leila Macor. In un lungo articolo in prima persona, Macor ha raccontato come è arrivata a questa decisione e cosa è successo dopo.

Lo scorso 27 luglio Pfizer e Moderna hanno iniziato la fase 3 della sperimentazione dei loro vaccini. Tre settimane prima, il padre di Leila Macor è morto di Covid in Cile, “da solo, come molti hanno fatto durante la pandemia”. Macor è corrispondente di Afp da Miami, in quel periodo una delle zone più colpite dal virus, e da giornalista era stata incaricata di scrivere sull’argomento. “Ma con il virus in circolazione la mia vita è irrevocabilmente cambiata. Avevo perso mio padre, soffro di asma, che può portare a serie complicazioni in caso di contagio”. Macor si è trovata a vivere un momento di grande riflessione, che l’ha portata a fare una scelta. “L’idea di agire concretamente per aiutare in qualche modo a tenere sotto controllo questa terribile emergenza medica mi ha dato un senso di pace - scrive - Ne ho parlato con la mia famiglie e gli amici, che mi hanno aiutato a decidere che qualsiasi possibile effetto collaterale della sperimentazione non sarebbe stato peggiore dell’ammalarmi di Covid-19”.

La giornalista di Afp che ha partecipato alla sperimentazione del vaccino di Moderna

Dopo aver scritto un articolo proprio sulla sperimentazione del vaccino, Macor ha deciso quindi di proporsi come volontaria in un centro di sperimentazione clinica in un sobborgo di Miami, dove a giorni alterni si lavora a test per Pfizer e Moderna. “Sono dozzine i laboratori che stanno reclutando volontari in tutti gli Stati Uniti. Chiunque può farlo, purché svolga lavori considerati ad alto rischio: medici, tassisti, commessi di negozi di alimentari… e giornalisti. Ho preso appuntamento per un martedì di metà agosto. Era il giorno dei test di Moderna”.

Gli operatori del centro le hanno spiegato cosa avrebbe dovuto fare e cosa sarebbe potuto accadere, compresi i possibili effetti collaterali (dolore dopo l’iniezione, febbre brividi). I 30mila partecipanti alla sperimentazione vengono divisi in due gruppi: una metà riceve il vaccino vero e proprio, in due dosi, un’altra invece riceve un placebo, una sostanza innocua e priva di principi attivi. Curiosa e preoccupata al tempo stesso, oltre che per deformazione professionale, Macor ha iniziato a fare qualche domanda all’infermiera che la stava preparando, la quale alla fine con tono serio le ha risposto: “I placebo sono importanti quanto il vaccino. La sperimentazione necessita di un gruppo di controllo. Stai aiutando l’umanità in ogni caso”. Quella risposta, racconta Macor, l’ha aiutata a focalizzarsi ancora di più sull’obiettivo finale di quello che stava facendo, ossia “aiutare tutti a superare questa pandemia”, piuttosto che sulle sue paure o sulla sua condizione. 

"Racconto di due dosi"

Dopo averle prelevato diverse fiale di sangue e averle fatto fare un test di gravidanza (sottolineando l’importanza di usare metodi contraccettivi durante il trial, considerato che i potenziali effetti sul feto sono ancora sconosciuti), l’infermiera le ha fatto l’iniezione (vaccino o placebo? Ovviamente non si sa, nessuno dei volontari lo sa). “L’iniezione non mi ha fatto male. Mi hanno portato in una sala d’attesa, dove sono rimaste per un’ora e mezza in osservazione per precauzione. C’erano anche altri tre o quattro volontari che aspettavano con me, chini sui loro telefonini”, ricorda. A un certo punto l’attenzione di Macor viene attirata da un’infermiera che indossa un mantello come Superman. “Qui siamo tutti eroi, ragazza”, è la risposta che ottiene. Lei stessa ha ricevuto una serie di gadget (adesivi, una maglietta, una mascherina), con scritto “Guerriro del covid” e “Supereroe del Covid”.

Dopo aver scaricato un app tramite la quale monitorare la temperatura ed eventuali sintomi, Macor ha lasciato il centro. “Una volta casa, il braccio ha iniziato a farmi male. Mi sono chiesta: Avrò avuto davvero il vaccino? Tre giorni di ricerche su internet su ‘sito di iniezione del vaccino’, ‘dolore muscolare’ e altri termini non mi hanno portato da nessuna parte”. A metà settembre Macor è stata riconvocata per la seconda dose. “Mi ha fatto molto più male, e per un po’ di tempo - ricorda la giornalista - Sul sito dell'inizione è comparso un bozzo rosso e duro. Ancora non so se ho avuto il vaccino o il placebo. Mi hanno che me lo dirà Moderna. Prima o poi”.

“Ho capito alla fine che prendere parte alla sperimentazione è stato parte del processo di elaborazione del mio dolore, per la morte di mio padre e per aver visto il mondo stravolgersi. È stato un piccolo gesto, ma anche l’unico modo che. Ho trovato per convincermi che stiamo reagendo”. 

Leila Macor è nata in Venezuela. Nel 2005 ha iniziato ha collaborare con l’Agence France-Presse, come corrispondente in spagnolo dell’area di Miami, dove vive una delle più grandi comunità ispaniche degli Stati Uniti.

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