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Venerdì, 19 Aprile 2024
Il dilemma / Cina

Perché guardare anche allo Xinjiang per capire il rapporto tra Cina e Usa

Due funzionari del consolato americano in Cina hanno affermato che gli Usa usano la questione dello Xinjiang per screditare pubblicamente il gigante asiatico. Le indiscrezioni rischiano di far nascere un caso diplomatico piuttosto arzigogolato con ripercussioni sui mercati globali

Delle volte un post sui social nertwork può rischiare di compromettere - ulteriormente – un rapporto diplomatico. È il caso di un recente post pubblicato su Buyidao, un account WeChat associato al tabloid cinese Global Times, che riporta la voce di due diplomatici statunitensi in Cina, Sheila Carey e Andrew Chira, secondo cui Washington non crede all’esistenza della violazione dei diritti umani in Xinjiang.

Per i due funzionari di piccolo calibro del consolato americano di Guangdong, la Casa Bianca avrebbe usato la questione delle violazioni dei diritti umani ai danni delle minoranze islamiche nella regione nordoccidentale cinese solo per creare tensione interna nell’etnia uigura e per danneggiare la figura diplomatica della Cina. Le tesi dei due funzionari americani contraddicono quindi le stime dell’Onu, secondo cui nello Xinjiang almeno un milione di uiguri, kazaki e uzbeki sono internati in centinaia di strutture detentive con lo scopo di combattere il terrorismo religioso di matrice islamica.

Popolazione Xinjiang (bbc)-2

Lo strumento per rinforzare la propaganda cinese

Sorgono comunque dubbi sull’attendibilità di un post pubblicato sui social media che cita fonti anonime. Il post di Buyidao è stato poi ripubblicato da diversi utenti su Weibo, compresi quelli di proprietà della Lega della Gioventù Comunista, e dai “Wolf worrior” della diplomazia cinese.

La viralità di queste dichiarazioni ha rinforzato la narrativa del Partito comunista, che nega l’esistenza di un sistema di detenzione arbitraria, sterilizzazioni di massa e lavoro forzato degli uiguri, nonostante le ultime rivelazioni degli “Xinjiang Police Files”. Le autorità cinesi sostengono che i “centri di rieducazione volontaria” siano chiusi dal 2019, ma proliferano ancora le testimonianze di parenti dei reclusi nelle prigioni e nelle fabbriche dello Xinjiang.

Cosa dicono i "Xinjiang police files" sulla detenzione degli uiguri in Cina

Le accuse di violazione dei diritti umani sono trasversali: l’ultima indagine della testata statunitense Associated Press ha riportato come nella contea di Shufu/Konasheher, nel sud della regione, si registri il più alto tasso di incarcerazioni al mondo: una persona su 25 viene arrestata per reati introdotti per silenziare i dissidenti politici.
Le rivelazione tuttavia non scuotano il Zhongnanhai, la sede del governo della Cina. Dai media cinesi ai funzionari del governo di Pechino, il giudizio è unanime: se la dichiarazione dei due funzionari fosse vera, gli Stati Uniti avrebbero diffuso la “più grande menzogna del secolo” sullo Xinjiang e sulla Cina.

I rischi economici

La Cina adotta uno schema di difesa per proteggersi da diversi provvedimenti di carattere economico. Il governo centrale, dopo una lunga parentesi temporale in cui sono state adottate misure coercitive, mira ora a rafforzare la tenuta economica della regione.

In quest’ottica va visto il passaggio del timone del governo locale da Chen Quanguo a Ma Xingrui, ex governatore della dinamica provincia meridionale del Guangdong, che vuole puntare sullo “sviluppo di industrie ad alta intensità di manodopera”. Pechino vuole accelerare la spinta economica della regione, usando la forza lavoro uigura nel settore del tessile così come del fotovoltaico.

Lo Xinjiang è quindi al centro della relazione tra Usa e Cina, dove Washington – che ha usato la parola "genocidio" per descrivere quanto accade nella regione - ha anteposto la tutela dei diritti umani al rapporto economico con il gigante asiatico.

Dal prossimo 21 giugno entrerà in vigore una legge statunitense sulla prevenzione del lavoro forzato che bloccherà negli Usa le importazioni dallo Xinjiang: da questo schema viene esclusa la produzione di quelle aziende che dimostrano come i loro dipendenti non siano vittime di lavoro forzato. Un’impresa ardua. Secondo gli Stati Uniti, il nuovo governatore Ma vorrebbe estendere il metodo lavorativo dello Xinjiang nelle altre regioni cinesi con il pretesto di combattere la povertà nazionale.

Draghi usa il golden power e blocca gli affari cinesi

La Casa Bianca, quindi, si troverebbe ad affrontare una condizione ben più ampia delle sue iniziali aspettative: le merci e i lavoratori provenienti dallo Xinjiang fluiscono infatti nelle altre regioni cinesi, interrompendo così quel processo di individuazione dei passaggi della catena produttiva.

Gli Stati Uniti potrebbero introdurre nel breve termine diverse sanzioni e provvedimenti economici per frenare la misura coercitiva nello Xinjiang, con ripercussioni sulla finanza internazionale. Lo Xinjiang, centro di passaggio delle rotte della Belt and Road Initiative, rappresenta così un dilemma con diramazioni globali.

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