rotate-mobile
Venerdì, 29 Marzo 2024

Le due battute di Zelensky che stanno cambiando la guerra

Ormai è sempre più chiaro - dai documenti emersi e dalle analisi degli esperti - quali erano i piani di Putin per l'Ucraina: finte esercitazioni per ammassare truppe, poi il casus belli del Donbass (vi ricordate la sceneggiata mal orchestrata dell'evacuazione di Doneck e Lugansk?), prendere Kiev in un paio di giorni, "denazificare" l'Ucraina decapitandone i vertici (o con la fuga di Zelens'kyj o con l'eliminazione fisica grazie alle milizie cecene), istituire un governo fantoccio (l'ex presidente Janukovyč, cacciato dalle rivolte di Euromaidan e in esilio a Mosca, era pronto a Minsk per rientrare in scena). Invece Zelens'kyj non è fuggito e gli ucraini invece di arrendersi, o addirittura accogliere i russi come 'liberatori', hanno opposto una strenua resistenza che ha colto impreparato l'esercito russo: grosse perdite, le brigate cecene annientate, difficoltà ad avanzare e nessun grande centro urbano ancora conquistato. Ma Zelens'kyj e l'Ucraina non hanno solo sorpreso Putin ma probabilmente anche l'amministrazione USA. E' plausibile che gli Stati Uniti pensavano che quanto progettato da Putin potesse funzionare e quindi si erano offerti di salvare Zelens'kyj e la famiglia con un piano di evacuazione. Ma ormai è già passata alla storia la battuta di Zelenskyj che il giorno dopo l'invasione ha liquidato il piano USA: "Non ho bisogno di un 'passaggio' ma di munizioni". Non si sa se l'abbia detta davvero, ma l'effetto mediatico è stato immediato: l'eroico Davide che affronta Golia.

La diretta: tutte le notizie sul conflitto

Biden e gli Usa tirati dentro con la forza

Ora mettiamoci nei panni di Biden e ragioniamo per scenari. Per il presidente da poco eletto avere un teatro di guerra così violento in Europa era l'ultimo dei suoi pensieri - e dei desideri. Gli Stati Uniti venivano da quattro anni di neo-isolazionismo trumpiano e Biden sperava di riportare gli Stati Uniti attivi nella politica internazionale, ma non contro la Russia. La Russia ormai conta sempre meno sullo scenario globale, il suo PIL vale l'1,6% del PIL mondiale e non è un caso che nel vertice NATO di giugno 2021 a Bruxelles, che ha visto il ritorno degli Stati Uniti sulla scena, le priorità americane sono state riassunte nelle 3 'C': Cina, cyberattacks e cambiamento climatico. Checché ne dica la propaganda di Putin - e le sue quinte colonne in Italia - includere l'Ucraina nella Nato era forse l'ultimo dei pensieri per Biden (e poi la Nato si è 'allargata' all'est l'ultima volta 18 anni fa, nel 2004, con i paesi baltici, Romania, Bulgaria e Slovacchia). Il 'fronte' era altrove. Quindi anche a Biden e agli Usa avrebbe 'fatto comodo' una rapida capitolazione di Kiev: avrebbero sì protestato duramente, messo qualche ulteriore sanzione alla Russia, appoggiato il governo in esilio e armato un'eventuale resistenza ucraina. Ma se poi il governo fantoccio avesse funzionato per gli Stati Uniti sarebbe stata come una nuova Bielorussia. E anche su questo disimpegno degli Usa dall'Europa che probabilmente ha contato Putin nell'elaborare il suo piano. Pensava che sì gli Stati Uniti avrebbero fatto la voce grossa ma poi più di tanto non avrebbero alzato la posta, avendo altre priorità, soprattutto di fronte al fatto compiuto di un nuovo governo ucraino, per quanto fantoccio.

Il miracolo di Putin di riunire l'Europa

E l'Europa? Figuriamoci, da sempre divisa e titubante non avrebbe mai reagito senza gli Stati Uniti. Inoltre - nei pensieri di Putin - l'Europa non avrebbe avuto il coraggio di applicare sanzioni davvero pesanti, potendo contare sul fatto che l'Europa, che dipende dal gas russo, ha più bisogno della Russia rispetto a quanto la Russia abbia bisogno dell'Europa. E invece anche qui le cose sono andate molto diversamente. Innanzitutto l'invasione russa ha scatenato una fortissima ondata emotiva nella popolazione europea, con manifestazioni spontanee di piazza di decine di migliaia di persone, soprattutto nelle capitali dell'est. È comprensibile, da quelle parti vedere i carrarmati russi ricorda subito Ungheria '56, Praga '68, Polonia '80… Ma il fronte europeo delle sanzioni era inizialmente diviso fra la linea dura dei paesi dell'est e quella più morbida. In particolare Germania e Italia erano contrarie a comprendere nelle sanzioni l'esclusione delle banche russe dal sistema di pagamento interbancario swift. Fra i grandi paesi europei Germania e Italia sono infatti i paesi maggiormente legati economicamente alla Russia: da una parte sono i principali paesi importatori di gas russo, da cui dipendono, e dell'altra sono quelli per cui l'export di beni in Russia conta di più. Ma anche qui c'è stata una battuta di Zelens'kyj che potrebbe aver cambiato il corso degli eventi. Il 25 febbraio Draghi nel riferire alla Camera sull'invasione in Ucraina ha detto che aveva un appuntamento telefonico con Zelens'kyj per le 10 ma che non è riuscito a parlargli, poco dopo il presidente ucraino gli risponde su Twitter che "alle 10 c'erano combattimenti nei dintorni di Kiev e che la prossima volta cercherà di cambiare l'agenda di guerra per poter parlare con Draghi". L'effetto emotivo è fortissimo, tutti si sono resi conto che la guerra è vera e che non si può lasciare soli gli ucraini al proprio destino.

Uniti nelle sanzioni

Dal giorno dopo c'è un cambio di rotta: Draghi finalmente riesce a parlare con Zelens'kyj e gli assicura l'appoggio italiano, anche sul tema dello Swift, anche la Germania si allinea, e poi c'è una vera 'escalation' di sanzioni e misure contro la Russia di Putin, quasi una gara a chi vara quella più forte. Diversi paesi chiudono lo spazio aereo agli aerei russi, poi si aggiungono anche Italia e Germania e a quel punto tutta la UE. Anche la sempre neutrale Svizzera vara le sanzioni della Ue pur non facendone parte e chiude lo spazio aereo ai vettori russi: questo è più simbolico, dato che è totalmente circondata da paesi dell'Ue. Per la prima volta nella sua storia l'Unione Europea è apparsa davvero unita e decisa in politica estera, con anche i paesi euroscettici come Polonia e Ungheria che hanno fatto fronte comune e trovato nell'Ue una voce unica, quella della Commissione Europea di von der Leyen. Anche qui gli Stati Uniti fanno fatica a stare dietro all'iniziativa europea, dopo che anche il Canada chiude lo spazio aereo si aggiungono gli Usa. L'Aeroflot, la compagnia di bandiera russa, a quel punto è costretta a sospendere tutti i voli internazionali. Alle sanzioni degli stati si aggiungono quelle delle aziende private: da Apple a Ikea diverse grandi corporation annunciano che cesseranno le operazioni un Russia. Un po' perché con le sanzioni diventa sempre più difficile operare, un po' per una questione di immagine. Da ultimo anche Visa e Mastercard annunciano che cessano le loro operazioni in Russia.

Putin impantanato e con le spalle al muro

Ora Putin è con le spalle al muro ma non sembra volersi fermare. Il suo esercito sta facendo una pessima figura dal punto di vista militare - impantanato nel fango e con una logistica fallimentare subisce continue imboscate e perdite, ha quindi iniziato a fare quello che sa fare meglio -: bombardare a tappeto facendo vittime civili, come a Grozny e Aleppo. Nonostante il dialogo di Macron e delle sue lunghe telefonate, dei tentativi di mediazione di Erdogan e del premier israeliano Bennett, che è addirittura volato a Mosca in segreto, Putin non sembra voler fermare l'invasione e cercare una via d'uscita ma anzi continua a ripetere ossessivamente a tutti che l'unica condizione perché si fermi è la "resa dell'Ucraina".

La Cina e l'interesse allo stop della guerra

Forse l'unico che potrebbe far ragionare Putin è Xi Jinping. Dai tempi della dottrina del gatto di Deng Xiaoping (citando Mao: "non è importante che il gatto sia nero o bianco, l'importante è che mangi il topo"), la Cina è molto più pragmatica che ideologica e se all'inizio del conflitto era più favorevole alla Russia man mano che l'escalation aumentava si è spostata, arrivando a dichiarare che l'integrità territoriale dell'Ucraina non va messa in discussione e astenendosi nel voto all'assemblea generale dell'Onu che ha condannato la Russia. Questo perché la Cina, che sono vent'anni che cresce a ritmi vertiginosi, ha solo da guadagnare da un mondo stabile e in pace e la Russia nello scenario globale, sebbene possa fornirle gas e sostituire le merci occidentali con quelle cinesi, le interessa molto meno degli Stati Uniti e dell'Europa, che sono mercati molto più attraenti e i principali destinatari del suo export. Non è escluso che Xi Jinping possa perdere la pazienza e dire a Putin di 'darsi una calmata' - la sua parola conterebbe molto -, ma il problema è capire quanto Putin sia fuori controllo, da sé stesso innanzitutto. Ad ogni modo oggi arrivano voci dalla Russia che si stanno preparando alla mobilitazione generale, arruolando nuovi soldati fra gli immigrati dell'Asia centrale, e nel frattempo la Duma ha approvato al volo una nuova legge che commina 15 anni di carcere a chi diffonde 'notizie false' sulla guerra. A questo si aggiunge il comunicato della sera del 6 marzo del Ministero degli esteri russo che dice che l'esercito russo ha trovato dei documenti ucraini che invitano a "cancellare le tracce del programma batteriologico-militare finanziato dal dipartimento della difesa americano" e poco dopo hanno accusato i "militanti del battaglione Azov e i servizi segreti ucraini" di aver sabotato il reattore nucleare sperimentale del politecnico di Kharkiv per poter accusare i russi di averlo bombardato (notare il furbo riferimento al "battaglione Azov" - che con Kharkiv c'entra poco - per far scattare le molle dei filorussi in Occidente). Questi sono tutti segnali della volontà da parte russa di allargare il conflitto, di aumentare l'intensità inserendo ad arte nuove variabili come la minaccia batteriologica e nucleare.

Quali possono essere gli scenari e le soluzioni

Come uscirne ora? Se Putin fosse razionale potrebbe trovare una via d'uscita dichiarando di aver raggiunto l'obiettivo di aver demilitarizzato l'Ucraina e ritirandosi, tenendo Lugansk e Doneck, oltre ovviamente la Crimea - sarebbe una menzogna spudorata, ma controllando l'informazione interna potrebbe farla sembrare vera alla popolazione russa. Alcuni commentatori, facendo il paragone con l'Iraq di Saddam del 1990, hanno fatto notare che Saddam nonostante fosse stato ricacciato indietro dal Kuwait è riuscito a rimanere in sella per altri 13 anni fino al 2003 e quindi Putin potrebbe fare lo stesso. Ma il mondo di oggi non è quello del 1990, è molto più interconnesso e la Russia di Putin, a differenza dell'Iraq di Saddam, ambiva a tornare una potenza mondiale riconosciuta e rispettata dalla comunità internazionale, mentre ora è totalmente isolata, e lo sarà comunque vada. Putin ha quindi varcato il Rubicone e per come ha impostato tutta la narrazione di questa guerra l'unica soluzione che sembra possibile è quella della resa o della distruzione totale dell'Ucraina. Davvero lo scenario ceceno sembra prospettarsi all'orizzonte. Ma l'Ucraina è un paese di 600.000 chilometri quadrati e 40 milioni di abitanti, 35 volte più grande della Cecenia e 20 volte più popolosa, non sarà facile controllarla. Allo stesso modo dopo le distruzioni inflitte non sarà facile trovare un pupazzo fedele a Mosca: quale ucraino sarà mai accettato dalla popolazione, anche quella russofila, dopo tutti questi morti e tutte queste distruzioni? Sarà impossibile trovare un modello simile a quello che è il regime di Kadyrov per la Cecenia. Infatti nell'intervista del portavoce di Putin Peskov alla Reuters del 7 marzo per la prima volta sono elencate delle "condizioni" all'Ucraina più verosimilmente accettabili: incorporare la neutralità nella propria Costituzione, modificandola, riconoscere la Crimea come territorio russo e riconoscere le 'repubbliche' separatiste di Doneck e Lugansk come stati indipendenti. E interrompere le ostilità da parte ucraina (!). Condizioni davvero difficili da digerire per Kiev, ma paradossalmente se per ipotesi l'Ucraina accettasse, per la Russia rappresenterebbe comunque uno smacco, perché sarebbe come riavvolgere il nastro al 23 febbraio riconoscendo in pratica la situazione di fatto esistente già allora, senza nessun vero vantaggio strategico. Ma al costo di migliaia di morti, distruzioni e con sanzioni e isolamento internazionale della Russia per molti anni a venire. Un'altra soluzione potrebbe essere quella di un cambio di regime interno al Cremlino, ma a differenza dell'epoca sovietica, dove il potere era in un certo modo collegiale, qui sembra che sia davvero quasi tutto nelle mani di Putin che come i classici dittatori si isola, si circonda di yesmen e ha atteggiamenti paranoici. Probabilmente gli mancano informazioni reali e aggiornate di quello che sta succedendo sul campo, con i suoi fedelissimi che hanno il terrore di rappresentargli la realtà dei fatti. Un ruolo potrebbero averlo gli oligarchi. Se a Putin non interessano più di tanto le sanzioni, confidando nella capacità della Russia di essere autarchica, i multimiliardari russi che si sono arricchiti negli anni grazie alla connivenza con il regime le sanzioni le temono molto di più. Abbiamo visto gli yacht da milioni di euro sequestrati nei porti europei e i valori delle azioni delle società russe ridotte a zero sulle piazze finanziarie internazionali. Avranno loro la capacità e la possibilità di fermare Putin? Tornando all'inizio, è facile capire che sarebbe stato tanto molto più facile per gli Stati Uniti se Zelens'kyj avesse accettato quel 'passaggio', perché oggi l'escalation continua e nessuno è in grado di prevedere dove porterà.

Si parla di

Le due battute di Zelensky che stanno cambiando la guerra

Today è in caricamento