rotate-mobile
Venerdì, 29 Marzo 2024

Marco Giuliani

Collaboratore

Quando Marchionne disse che "l’auto elettrica non è il futuro" aveva ragione?

Recentemente sono tornate d’attualità alcune vecchie dichiarazioni di Sergio Marchionne sul tema dell’auto elettrica. Si tratta di frasi estrapolate da un discorso dell’ex amministratore delegato di FCA scomparso a luglio 2018, tenuto in occasione della lectio magistralis al Polo Meccatronica di Rovereto, quando nel 2017 gli fu conferita la laurea ad honorem in Ingegneria industriale dall'università di Trento.

All'epoca Marchionne disse: "L'auto elettrica è un progetto su cui FCA lavora, ma non è la soluzione per il futuro. Stiamo lavorando su tutte le forme di auto elettrica, ma non possiamo ignorare alcuni elementi importanti". Primo tra tutti come viene prodotta l'energia: "Prima di pensare che i veicoli elettrici siano la soluzione, dobbiamo considerare tutto il ciclo di vita di queste vetture, infatti le emissioni di un'auto elettrica, quando l'energia è prodotta da combustibili fossili, sono equivalenti a quelli di un altro tipo di auto". Per questo il manager definì le auto elettriche "un'arma a doppio taglio".

Il riferimento di Marchionne era alla cosiddetta carbon footprint, ossia all'impronta di carbonio (parametro che consente di determinare in termini di CO2 l'impatto ambientale delle attività umane sul cambiamento climatico) delle auto elettriche, argomento che ancora oggi fa discutere. Perché se da un lato i veicoli elettrici non inquinano direttamente quando circolano, le emissioni esistono e come durante il processo di costruzione, per non parlare del significativo impatto a livello ambientale legato all'estrazione di minerali e terre rare per costruire le batterie.

Dopo la morte di Marchionne, ad ogni modo, il settore automotive a livello globale (inclusa FCA, nel frattempo trasformatasi nel colosso Stellantis) si è mosso in direzione opposta alle previsioni del manager italo-canadese, intraprendendo con decisione la strada della transizione energetica, con una svolta verso l’elettrico che ha significato quasi per tutte le case automobilistiche esistenti l’ampliamento della gamma a modelli elettrificati (siano essi 100% elettrici, ibridi o ibridi plug-in) e l’investimento di ingenti capitali in ricerca e sviluppo e nella creazione di nuove infrastrutture produttive dedicate all’elettrico.

Parallelamente, in molti stati, inclusi quelli dell’Unione europea, si è scelto di perseguire l’obiettivo della decarbonizzazione, ossia la progressiva dismissione dei combustibili fossili responsabili della produzione di enormi quantità di CO2, con provvedimenti forti come lo stop alla vendita di nuovi veicoli con motori termici alimentati a benzina e diesel a partire dal 2035, puntando tutto sull’elettrico.

Il contesto, però, da allora è mutato ulteriormente, in particolar modo da quando alla fine di febbraio 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina dando inizio a un tragico conflitto tutt’ora in corso, che oltre a mietere migliaia di vittime innocenti ha avuto conseguenze pesantissime sull’economia globale. Tra gli effetti principali c’è stato il rincaro dei costi energetici, con il prezzo del gas che è schizzato alle stelle, facendo innalzare di conseguenza il prezzo dell’elettricità (che ancora oggi viene ottenuta in larga parte bruciando gas). Di conseguenza sono aumentati anche i prezzi dell’energia elettrica per ricaricare le auto elettriche, andando così a minare uno dei principali motivi oltre la sostenibilità ambientale, per cui gli automobilisti erano invogliati a comprare una vettura elettrica, ovvero il risparmio economico al momento del rifornimento rispetto ai carburanti tradizionali. Si stima che solo in Italia, ricaricare una vettura elettrica a ottobre 2022, rispetto allo stesso mese del 2021, costi fino al 161% in più.

Se ai costi fuori controllo dell’energia si aggiungono altre dinamiche come i costi ancora elevati delle auto elettriche in commercio che non gli consentono di penetrare in un mercato già in difficoltà come quello automobilistico, le perplessità dei consumatori su batterie e autonomia e una rete di ricarica ancora disomogenea (per distribuzione e tipologia), sorge inevitabilmente più di un dubbio sul fatto che l’auto elettrica possa essere considerata la soluzione per la mobilità del futuro. In un contesto delicato come quello attuale, in cui tira una forte aria di recessione, ma in cui al tempo stesso non si può volgere lo sguardo dall’altra parte in merito alle sfide imposte dal cambiamento climatico causato in particolar modo dai gas serra, puntare tutte le fiches sull’elettrico potrebbe non essere la mossa migliore.

Una potenziale soluzione potrebbe essere investire con maggiore decisione sui carburanti alternativi, biologici e sintetici, che funzionerebbero senza troppe difficoltà con i “vecchi” motori termici. Ciò non vuol dire che l’elettrico vada scartato in toto, ma che potrebbe essere più conveniente un approccio olistico. Elettrico e termico, non devono essere messi in contrapposizione, in quanto potrebbero essere complementari.

A tal proposito, viene in mente una frase di Michael Steiner, capo dell'R&D di Porsche il quale qualche tempo fa dichiarò: “Il problema non è il motore a combustione interna, ma cosa ci bruci”. Eliminando gran parte della CO2 dai carburanti, infatti, si potrebbero ottenere benefici immediati sull'intero parco auto circolante con un impatto paragonabile a quello dell'elettrico.

Oggi, ad esempio, Eni produce biocarburanti, a base di oli vegetali idrogenati (all’olio vegetale ricavato dai rifiuti viene aggiunto idrogeno per eliminare l'ossigeno, che sporca il motore), grazie a cui la riduzione delle emissioni di CO2 oscilla tra il 60 e l'80%. Se si decidesse di puntare con decisione sui carburanti alternativi, il settore della raffinazione dovrebbe riconvertirsi, abbandonando gradualmente i combustibili fossili. Riuscire a trasformare i rifiuti in materia prima, inoltre, costituirebbe un’ulteriore vittoria.

Oltre ai biocarburanti, esistono anche i carburanti sintetici detti synfuel, ottenuti combinando idrogeno e anidride carbonica catturata dall'ambiente. Il problema principale, attualmente, consiste nel fatto che i volumi produttivi dei carburanti alternativi sono ancora bassi e affinché crescano sono necessari investimenti importanti, che avrebbero inevitabilmente un peso sui costi per l'utente finale.

Perché l'idrogeno non è ancora il combustibile del futuro

E l’idrogeno? Quella che da molti è considerata la tecnologia risolutiva (con un kg di idrogeno si possono percorrere fino a 100 km, con 7 kg si raggiungono autonomie da diesel) presenta ancora delle importanti difficoltà di stoccaggio e dunque pone enormi sfide dal punto di vista logistico, tuttavia, molte case automobilistiche stanno lavorando proficuamente sul fuel cell.

Le strade da intraprendere per diminuire la dipendenza dai combustibili fossili, come abbiamo visto, sono molteplici. Ciò che servirebbe a livello globale è un approccio che badi a considerare le varie forme di propulsione non in contrapposizione ma in maniera complementare. Salvare i motori termici (nella cui produzione l’industria automotive europea e quella giapponese non hanno rivali) dal termine del 2035 consentirebbe non solo di dare agli automobilisti la possibilità di scegliere tra diverse alimentazioni ma eviterebbe anche i dolorosi tagli di centinaia di migliaia di lavoratori che lavorano nell’indotto che sembrano invece difficili da scongiurare puntando tutto sull’elettrico.

Si parla di

Quando Marchionne disse che "l’auto elettrica non è il futuro" aveva ragione?

Today è in caricamento