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Martedì, 16 Aprile 2024

La polemica

Fabrizio Gatti

Direttore editoriale per gli approfondimenti

Perché rischiamo di cantare l'inno di Mameli alle assemblee di condominio

Comincio dalla fine di questo articolo: o cambiamo il testo al nostro inno nazionale, o Giorgia Meloni e Ignazio La Russa dovrebbero cambiare nome al loro partito. Ora che il vento del melonismo soffia su tutto, in una sorta di contagio nazionalista, capita sempre più spesso che concerti, spettacoli, conferenze abbiano inizio con le note di Michele Novaro e le parole di Goffredo Mameli: “Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta...”. Non accade soltanto al Festival di Sanremo. L'ho sperimentato di recente, in un paese della Lombardia.

Sul palco del teatro c'era una piccola orchestra, pronta a eseguire il suo repertorio. All'improvviso il presentatore, un consigliere comunale del partito di Elly Schlein, ha chiesto a tutti di alzarsi in piedi perché sarebbe stato suonato l'inno nazionale. E tutto il teatro si è messo a cantare, come se fossimo all'Olimpico di Berlino per la finale dei Mondiali 2006. Più che un momento solenne, il clima sembrava proprio quello: un po' come quando, verso la fine del concerto, Vasco Rossi intona l'inno della sua generazione: “Voglio una vita maleducata...”. E lo stadio lo segue in coro.

Fratelli d'Italia appartiene a tutti gli italiani

Anch'io mi sono alzato, ma ho preferito ascoltare in silenzio. Per due ragioni. La prima è che sono stonato e la musica di un'orchestra merita rispetto. La seconda è soltanto un'opinione personale: l'inno nazionale gridato così, ovunque, al di fuori dei momenti istituzionali e sportivi, risuona come un'ipocrita esibizione. Sarebbe bastato chiedere ai presenti, soprattutto quelli che cantavano sull'attenti: ma sareste davvero pronti alla morte, se l'Italia vi chiamasse? Sareste disposti a mescolare il vostro sangue con il sangue polacco perché lo beva “col Cosacco, ma il cor le bruciò”? Un'immagine che di questi tempi, con la Russia tornata sanguinaria e imperialista, non è più solo una citazione storica.

Vasco Rossi durante un concerto (foto LaPresse)

È di certo più rassicurante la gioia europea della Nona sinfonia di Beethoven: “Abbracciatevi, moltitudini! Un bacio al mondo intero...”. Il coraggioso patriottismo celebrato da Fratelli d'Italia (l'inno, il cui titolo ufficiale è “Il canto degli italiani”), giorno dopo giorno, viene invece rimescolato al nazionalismo retorico di Fratelli d'Italia (il partito). Avanti di questo passo, finiremo con il doverci chiedere “Dov'è la Vittoria?” prima di ogni manifestazione pubblica, tutte le mattine a scuola. E, forse, perfino alle assemblee di condominio: il presidente, accertata l’identità e la legittimazione dei presenti, li invita ad alzarsi in piedi e pam parapam...

Scherzi a parte, l'argomento riguarda il galateo politico: può un partito, soprattutto ora che esprime la maggioranza di governo, impossessarsi dell'inno di tutti gli italiani? Silvio Berlusconi, dando il nome a Forza Italia, si era limitato a sfruttare un'esortazione sportiva. La premier Meloni, il presidente del Senato La Russa e il ministro della Difesa, Guido Crosetto, fondatori di Fratelli d'Italia, hanno messo le mani sul titolo popolare e sul testo stabilito da una legge dello Stato. Cosa avrebbero detto loro, se la scopiazzatura fosse stata fatta da Pd e 5Stelle

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