Sette milioni di italiani perderanno tutto, se non facciamo qualcosa
In due giorni sull’Emilia Romagna è caduta la pioggia che normalmente cade in tre mesi, con buona pace dei cosiddetti “negazionismi del clima”, di quei laureati all’università della strada che non si sono vaccinati durante una pandemia che ha ucciso milioni di persone in tutto il mondo e in queste ore ci “spiegano” che i temporali ci sono sempre stati che gli eventi di questi giorni sono normali, anzi dimostrano che non c’è nessuna emergenza siccità.
Idiozie a parte, il bilancio provvisorio è di 13 vittime, oltre 13mila sfollati, 21 corsi d’acqua esondati. Spaventose immagini che arrivano dalle zone colpite dall’alluvione, che mostrano città completamente allagate, strade che vengono giù come castelli di sabbia, salvataggi di persone rimaste intrappolate nelle loro auto o nelle loro abitazioni, aziende agricole distrutte, il rudere di ciò che resta del piccolo ponte della Motta, che collegava la località Motta-Budrio con San Martino in Argine lungo la Strada Provinciale 6.
Il pozzo senza fondo
Osservando quelle scene apocalittiche, riesce davvero difficile pensare ai soldi che rischiano di essere buttati per progettare e forse realizzare chissà quando il famigerato ponte sullo Stretto di Messina, un salasso per lo Stato quantificato in 13,5 miliardi di euro nell’ultimo allegato infrastrutture al DEF. La grande opera di cui si parla da decenni e che da decenni è solo un pozzo senza fondo in cui vengono sperperati contributi degli italiani onesti (quelli che pagano le tasse e poi magari finiscono sotto l’acqua), probabilmente è destinata a rimanere un plastico nel magazzino degli studi di Porta a Porta, un giocattolo da esporre ogni ventidue anni per celebrare il Berlusconi o il Salvini di turno.
In realtà, le infrastrutture che servono all’Italia sono altre, ma di queste si parla solo in occasione di eventi catastrofici che sbattono in faccia al Paese la fragilità del suo territorio. I dati dell’ultimo rapporto dell’ISPRA sul dissesto idrogeologico parlano chiaro: quasi il 94% dei comuni italiani è a rischio dissesto o soggetto ad erosione costiera; oltre 8 milioni di persone abitano nelle aree ad alta pericolosità; oltre 540 mila famiglie e 1,3 milioni di abitanti vivono in zone a rischio frane; 3 milioni di famiglie e quasi 7 milioni di abitanti risiedono in aree a rischio alluvione.
La regione con i valori più elevati di popolazione che vive nelle aree a rischio frane e alluvioni è proprio l’Emilia-Romagna, con quasi 3 milioni di residenti a rischio, seguono Toscana, Campania, Veneto, Lombardia e Liguria. A rendere ancora più devastante il bilancio di questi eventi è l’abuso di consumo di suolo: la stessa ISPRA ci dice nel Belpaese, o in quello che ne resta, il cemento ricopre circa due metri quadri di suolo al secondo.
Invasi, argini, dighe: le vere priorità
Il Ministro per la Protezione civile ed ex presidente della Regione Sicilia, Nello Musumeci, ha annunciato in queste ore l’ennesimo piano per contrastare il dissesto idrogeologico, un piano che dovrebbe vedere la luce nella prima metà del prossimo anno: un timing che di fatto condanna già da ora milioni di persone a subire gli effetti devastanti di eventi climatici che certo non aspetteranno i tempi della politica: all’Italia non serve piantare a terra la “prima pietra” di un un futuro ponte di 3.666 metri di lunghezza, ammesso che l’opera sia davvero realizzabile, ma che le strade, le ferrovie e le aree urbane siano sicure sia sulla sponda di Scilla che su quella di Cariddi.
Per farlo bisogna dotare le pubbliche amministrazioni di uffici tecnici efficienti che riescano a trasformare in progetti le risorse già destinate alla manutenzione del territorio, ma soprattutto servono nuovi e urgenti investimenti. Soldi, tanti soldi, che vanno trovati in fretta: anche attingendo a quelle risorse del PNRR che, come prevedibile, nel nostro “fantastico” Paese rischiano di essere sperperate per realizzare musei della grappa e presepi viventi (no, non è una battuta…). Le vere priorità sono nuove dighe, nuovi sistemi di canalizzazione, bacini di contenimento, invasi, adeguamento degli argini di fiumi e torrenti a rischio esondazione. Estremamente urgente anche la messa in sicurezza degli edifici residenziali e quelli destinati ad attività industriali e commerciali: sul rapporto ISPRA si legge che su un totale di oltre 14 milioni di edifici, quelli ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata superano i 565mila; poco più di 1,5 milioni quelli che ricadono in aree inondabili; 740mila gli aggregati strutturali a rischio frane; 84mila le industrie e i servizi ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata, con oltre con 220mila addetti esposti a rischio; sono 640mila, invece, i lavoratori esposti al pericolo di inondazione.
Numeri purtroppo destinati a crescere, perché - spiegano gli esperti di clima - gli eventi catastrofici legati ai cambiamenti climatici saranno sempre più frequenti: la cosiddetta “tropicalizzazione dell’Italia”, ovvero l’aumento medio delle temperature nell’area mediterranea, porterà a lunghi periodi di siccità che si alterneranno a nubifragi che in pochi giorni precipiteranno sul suolo quantità di acqua che normalmente cadevano in un periodo di mesi. È quello che vediamo oggi in Emilia-Romagna, è quello che vedremo domani nel resto del Paese. Anche in Calabria e in Sicilia, che prima di essere collegate da un faraonico ponte avranno bisogno di non finire sott’acqua.