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Venerdì, 19 Aprile 2024

Il commento

Matteo Scarlino

Direttore responsabile RomaToday

Meloni e il rigore a porta vuota in uno stadio deserto

Un rigore a porta vuota, segnato in uno stadio semivuoto per il quale alcuni compagni di squadra neanche esultano. Confermando tutti i pronostici della vigilia Francesco Rocca diventa il nuovo presidente del Lazio, regione in cui ha votato solo il 37% degli aventi diritto. Poco più di un elettore su tre ha sancito l'autentico trionfo di Fratelli d'Italia, lista pigliatutto nel centrodestra, con oltre il 33% dei consensi, con Lega e Forza Italia a raccogliere le briciole.

Sconfitta prevista, ma diversa rispetto alle attese per il centrosinistra all'interno del quale il Partito democratico conferma e anzi migliora le sue consuete percentuali. Malissimo il Terzo polo, con Azione sbiadito ricordo di quella Lista Calenda capace di diventare primo partito a Roma alle comunali 2021. Il 5% è invece una triste soglia che non viene neanche raggiunto. Ma se Sparta piange, Atene non ride. Sì, perché il partito di Giuseppe Conte, quello che aspirava a diventare il faro della sinistra, viene pesantemente ridimensionato, con l'ex Premier che abbandona la sua candidata, lasciandola sola a commentare una sconfitta elettorale che ha, nonostante il tentativo di imboscarsi, un solo padrone. 

Sono i dati lasciati sul campo dalle regionali del Lazio che, in attesa di conoscere la nuova composizione del consiglio, in queste ore già stanno ridisegnando rapporti di forza, spingendo a riflessioni sulla costruzione del futuro governo del Lazio.

Lo stadio deserto

Andreste mai a vedere una partita di cui conoscete già il risultato, in cui i calciatori sono più impegnati in giocate singole fini a se stesse che non ad offrire uno spettacolo con delle idee di gioco per le quali valga la pena pagare il biglietto e applaudire? Il tutto dopo una deludente finale di Champions League che ha visto prevalere nettamente la squadra che per cinque anni non era mai scesa in campo? Di fronte ad un quadro del genere, uno stadio (di un un freddo inverno nella settimana delle canzonette sanremesi) riempito per un terzo appare già un successo. I numeri però sono impressionanti e raccontano come Rocca (ma lo stesso dicasi anche per il sindaco Gualtieri trionfatore nel 2021, sia chiaro) sia oggi un presidente votato solo da una piccola minoranza dei cittadini del Lazio. E di questo, nel suo governo, non potrà non tenerne conto.

Il rigore a porta vuota 

La vittoria di Rocca è un rigore tirato a porta vuota. Stavolta Meloni ha scelto un nome sicuro per il tiro dal dischetto, memore del palo (sempre a porta vuota) centrato dal tribuno del popolo, Enrico Michetti. Rocca ha preso il 50% dei voti, spinto dal vento nazionale e dalle divisioni degli avversari, impegnati in una gara interna a "chi è più importante nonostante la sconfitta". Una situazione di vantaggio, dominio, strapotere che ha spinto il centrodestra a tenere in panchina la sua leader: di fianco a Rocca Meloni si è vista assai meno del previsto, meno di quello si pensava ci fosse bisogno. Rocca ha sfruttato l'unità interna, quella mancata cinque anni fa, complice il patto dello Scarpone (quello sempre negato tra Zingaretti e l'ex sindaco di Amatrice Pirozzi, capace però all'epoca di togliere i voti decisivi al centrodestra) e un candidato catapultato da Milano. Già allora il governatore uscente si salvò per il rotto della cuffia. Una manciata di voti che gli regalarono il secondo mandato dopo un primo conquistato, nel 2013, con modalità simili a quelle di Rocca. Anche allora Zingaretti, dopo l'amministrazione Polverini, si trovò una porta vuota dentro la quale dovette solo spingere il pallone della vittoria. 

Sconfitti annunciati

Dieci anni dopo la gestione Zingaretti viene archiviata. Alessio D'Amato e il centrosinistra, a conti fatti, hanno anche limitato la sconfitta. I voti conquistati sono addirittura in percentuale superiori a quelli del suo predecessore, ma molti meno rispetto ad un centrodestra stavolta unito. È mancata la spinta di tutte le anime della coalizione, di alcune correnti dem deluse dalla scelta del candidato presidente e di altre più impegnate ora nelle prove generali dei congressi regionali e comunali, ora nell'arrogante esibizione di potere in Campidoglio. È mancata la spinta di Carlo Calenda, nel 2021 straordinario mattatore delle comunali, ridotto poco più di un anno dopo a spettatore di una partita che lui per primo ha scelto di non giocare, confinandosi a twittare da un anonimo sottotribuna. Neanche con i grillini in squadra sarebbe riuscito il miracolo a D'Amato anche perché dalle parti del partito di Giuseppe Conte stavolta, nonostante la propaganda griffata Rocco Casalino, bisogna commentare una sconfitta.

Conte sparito dopo la batosta

Sì, perché quel 10% scarso è una batosta per chi, benedetto dall'eterno signore della sinistra romana Goffredo Bettini, con le regionali del Lazio puntava a lanciare un'opa sul partito democratico. Per chi ai tavoli di trattative del centrosinistra mandava i suoi a dire che nel campo largo non c'è più solo un sole attorno a cui orbitano le alleanze. Per chi ha fatto cadere un governo nazionale e rotto un'alleanza in regione in nome del no al termovalorizzatore. Un 10% scarso è una sconfitta tale da fare smaterializzare in fase di commento Giuseppe Conte, padre padrone del fu Movimento cinque stelle, che da oggi si scopre più debole del partito di Virginia Raggi, ma anche di quello di Roberta Lombardi e addirittura di quello di Davide Barillari, tutti e tre con percentuali superiori a quelle raccolte dalla candidata scelta dall'avvocato del popolo.

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