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Sabato, 20 Aprile 2024

L'editoriale

Eva Elisabetta Zuccari

Giornalista

Commenti osé e offese ai bambini, eppure continuiamo a sbatterli sui social

C'è questo famoso negozio di Napoli che vende abbigliamento per bambini da 0 a 16 anni e la cui commessa, un giorno, ha avuto un'idea: sponsorizzare gli abiti mettendoli addosso alla figlia di una parente, una ragazzina preadolescente, che in poco tempo è diventata un vero e proprio personaggio su TikTok. Complice infatti l'enorme potenziale virale della piattaforma cinese, oggi la piccola M., 12 anni, è uno dei volti più conosciuti e più commentati dell'app. A contribuire al suo successo, è chiaramente l'aspetto caricaturale del tutto: M., con indosso abiti di marca, improvvisa moine da fotomodella con grande sicumera, mette la mano sul fianco, inarca la schiena e ingentilisce lo sguardo a favore di fotocamera. Sul viso ha una spolverata di trucco, sulle spalle una cascata di riccioli biondi ben acconciati e laccati, nell'approccio una vanità connaturata alla situazione. In sottofondo, la parlata dialettale della proprietaria rende tutto più comico, come da cliché. Il tutto porta utile ilarità tra i follower e, contestualmente, ancora più utile monetizzazione al punto vendita. E che c'è di male, verrebbe da dirsi. E facciamoci una risata, concorderebbero le centinaia di migliaia di follower che affollano la pagina di like (milioni, ad oggi). Finché non si incappa in certi commenti scritti in calce ai video. E finché non ci si ricorda che M. ha, appunto, 12 anni.

"Ho 57 anni, vado in galera?"

In tanti condannano la sessualizzazione di M. "Volete farla sembrare una trentenne", scrivono, in riferimento a quegli shorts e a quegli stivali camperos che indossa. "Sexualising children? Disgusting", polemizza un utente straniero. Ma, al di là del giudizio sugli abiti, che può essere tutto morale, disturbanti in senso oggettivo ed unanime sono commenti in cui alla bambina viene dato della "donna di strada", oppure "Piccole lolite crescono". Poi, è un crescendo di confidenze, fino ad un voyeurismo e ad un cameratismo che si fa più repulsivo: "Mi avvisi quando M. fa 18 anni?", "Ho 57 anni, vado in galera?", "Ripasso tra 8, 9 anni", "Non mi interessa se vado in prigione". "Dio mio, M.", insiste qualcuno, "M. ha del potenziale", gli risponde un altro. Qualcuno dice che passerà in negozio per avere una foto con la bambina, e qualcun altro lo rimprovera con più punti esclamativi: "Ma F., M. ha 12 anni!!".

Le nostre parole sui social non sono lo specchio della realtà, semmai in qualche caso - come questo - rappresentano la deriva di certe nostre frustrazioni. Ma l'inappropriatezza del tutto non può che turbare. Soprattutto perché vaghi sono i profili da cui i commenti arrivano: certo, su TikTok è pieno di adolescenti e di coetanei di M., legittimamente interessati a scherzarci su, ma ci sono anche utenti anonimi come un certo T., ad esempio, la cui età non è deducibile dall'account e che sul profilo di M. passa spesso: "Che bella gattina", digita; "Troppo bella, un bocconcino", scrive poi; e ancora "Che fine ha fatto M.?", chiede insistente, inquietante, quando la ragazza non compare più per un po'. 

Certo, parlare di una dodicenne come di una "donna di strada" è senz'altro l'apice. Ma per dibattere sulla legittimità di questa sovraesposizione di minori - volta ad accrescere tanto il narcisismo dei suoi protagonisti quanto la popolarità del negozio - forse basta meno. Col tempo, infatti, il punto vendita è diventato una vera e propria Mecca per ragazzini pre adolescenti e rispettivi genitori provenienti da tutta Italia, che passano qui per realizzare il sogno di una foto con M. oppure, più semplicemente, col suo stesso sfondo. Passano bambini di ogni età, forma e colore, pronti a diventare spettacolo per un pubblico divertito ma anche famelico e bullo. Quando a passare è stata una bambina in sovrappeso, ad esempio, è stato un crescendo: "Sembra lo scrondro", ha sfottuto qualcuno, in riferimento ad un personaggio orribile della tv degli anni Ottanta. Per i bambini più timidi, quelli che restano raggelati di fronte alla videocamera e cercano, con gli occhi sbarrati, lo sguardo laterale dei genitori, c'è lo sfottò: "Inquietante", "Pare che lo hanno menato". Tempo fa una bambina arrivata dai Quartieri spagnoli, rione popolare di Napoli, si è presa della criminale insieme al papà, mentre ad un coetaneo in cerca dell'abito per la prima comunione è stato consigliato "un ottimo outfit per iniziare a chiedere il pizzo".

Senz'altro goliardia, ma rileggerla vivendo nella testa sprovveduta di un bambino, qui esposto a centinaia di migliaia di occhi, può dare una nuova prospettiva. E su questo potrebbe senz'altro concordare Bruno Studer, deputato di Renaissance, il partito del presidente Emmanuel Macron, che in Francia ha proposto un disegno di legge per limitare la condivisione delle foto dei bambini sui social (tecnicamente definito "sharenting"), e che, ex professore di professione, ha raccontato di aver assistito a casi di bullismo nati proprio da fotografie postate dai genitori: non è detto che le foto che un genitore trova divertenti oggi, non possano diventare per il bambino causa di disagio, scherno, persino ritorsione, un domani.  

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Altrettanto fastidioso - in quest'epoca di adulti che vantano la bandiera della body positivity, ovvero dell'accettazione di ciascun fisico a prescindere dalla taglia - è vedere la competizione che si innesca tra le bambine che passano in negozio e che vengono giudicate con paletta alzata nei commenti. Ricorda un po' Little Miss Sunshine, quel film americano che raccontava le peripezie di una famiglia decisa a portare la propria bimba ad un concorso di bellezza, ma in un remake in versione digitale uscito 17 anni dopo. "Voglio M., non questa taroccata!", reclama qualcuno di fronte alle povere ospiti dello shop. E ancora: "Siete proprio sicuri che questa bambina sia bella? Guardatela bene, dai...". Verso chi sfoggia più sicurezza di sé, invece, c'è il dito puntato: "Fatela scendere dal piedistallo".

La colpa non è solo di TikTok

E se, alla fine di questa rassegna di storture, si può pensare che «la colpa è di TikTok», «dei social network» (ed altri ritornelli diffidenti), bisognerà ammettere che si sta scegliendo una strada troppo facile. Demonizzare TikTok in maniera sommaria è, appunto, sommario e sbagliato: l'app fa anzi molto per creare un clima positivo nella propria community. Rispetto a Facebook, ad esempio, qui è molto più difficile trovare reflussi di rabbia, dibattiti velenosi, insana polarizzazione, insulti gratuiti; capita inoltre spesso che la piattaforma stessa domandi agli utenti di giudicare il clima che si respira tra i commenti, al fine di renderlo più disteso. Sebbene però l'app si impegni in questo senso, il problema sembrerebbe essere che ai "filtri" dell'algoritmo (ovvero quei filtri che eliminano i commenti più violenti), sfuggono quelle offese dalla terminologia non dichiaratamente insultante ("Inquietante", ad esempio, non è una offesa fuori dal contesto di intenzioni). Sfugga il senso umano, che invece non dovrebbe sfuggire a noi.

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Più che demonizzazione dunque, responsabilizzazione. Anche perché l'età minima di accesso alla piattaforma, in Italia, è 13 anni e, insomma, non è certo affar suo se poi gli adulti condividono bambini d'età inferiore. È invece responsabilità dei genitori ben il 50% delle foto che circolano sui siti pedopornografici: secondo una ricerca americana, queste sarebbero state originariamente pubblicate proprio da mamme e papà sui social. 

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Crediti TikTok

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