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Venerdì, 29 Marzo 2024

Charlotte Matteini

Opinionista

Incredibilmente sono d'accordo con Giorgia Meloni

Il presidente Giorgia Meloni vuole riformare il cosiddetto “bonus cultura” da 500 euro che viene erogato a chiunque compia 18 anni. La modifica? Abbastanza semplice: introdurre un limite di reddito. 18app, questo il nome del bonus introdotto dal Governo Renzi con la legge di stabilità 2016, viene erogato da anni, ogni anno, a tutti i ragazzi che diventano maggiorenni, a prescindere dal reddito del nucleo familiare.  L’unico requisito per ottenerlo è, appunto, compiere 18 anni. "Questi 500 euro non c'è ragione per cui debbano averli i figli di un milionario, dei parlamentari o mia figlia quando li compirà. Mentre la stessa misura concentrata sui redditi più bassi può essere molto più impattante", ha dichiarato Meloni.  

Con mia grandissima sorpresa, è accaduto l’impensabile: mi sono ritrovata a essere d’accordo con Giorgia Meloni. Perché se è vero che il bonus ha permesso a tutti i neo-maggiorenni di disporre di una cifra da spendere in libri, acquisti culturali, biglietti per musei e concerti, allo stesso modo è lampante il fatto che 500 euro erogati a un ragazzo nato in una famiglia agiata non hanno lo stesso impatto e gli stessi effetti di 500 euro destinati a ragazzi cresciuti in contesti socio-economici più complessi.  

Renzi non è d’accordo: "La 18app non è stata pensata come un sussidio per i poveri ma come il modo con il quale lo Stato accoglie i diciottenni nella comunità degli adulti. Con l’incentivo alla cultura, non con la mancia per i poveri. Noi siamo per la cultura, la Meloni è per i sussidi". Il punto è che non ci dovrebbe essere bisogno di elemosinare alcun sussidio per i poveri se negli ultimi decenni non avessimo assistito all’incessante e sistematico taglio dei fondi all’istruzione pubblica e alla cultura. Eh già, i due capitoli più falcidiati da governi di ogni colore politico, insieme alla sanità.   

I fondi per l'istruzione calati

La Nadef dello scorso aprile, per il triennio 2022-2025, mostra che i fondi destinati all’Istruzione decresceranno sfiorando il 3,5% del Pil nel 2025. Nel 2020 la spesa era pari al 4% del Pil, già fanalino di coda dell’Unione Europea, dove la media è invece pari al 4,7% con punte del 6% per i Paesi scandinavi. Parliamo di decine e decine di miliardi di mancati finanziamenti, dove per mancati finanziamenti si intende solamente una cosa: in Italia non si pensa, nemmeno in prospettiva futura, a potenziare gli investimenti in Istruzione, né primaria, superiore o universitaria. Si galleggia, finanziando praticamente il minimo indispensabile. Abbastanza paradossale, visto che l’istruzione è da sempre considerata l’ascensore sociale per eccellenza, quello strumento che permette a chi è nato in un contesto sociale più difficoltoso di poter ambire a un futuro differente.  

Stipendi bassi e pochi investimenti

E già qualche anno fa fu proprio l’Ocse a porre l’accento su questo problema: in un rapporto del 2018, l’Ocse scriveva: "L'Italia ha fatto relativamente pochi progressi nell'aumentare la quota di studenti che completano l'istruzione superiore. Allo stesso tempo, il rendimento degli investimenti nell'istruzione superiore è uno dei più bassi: i laureati con titolo di studio universitario guadagnano in media solo il 40% in più rispetto a quelli con istruzione secondaria superiore, rispetto al 60% in più nella media Ocse. In Italia lo status economico delle persone è molto correlato a quello dei loro genitori. Tenendo conto della mobilità delle retribuzioni da una generazione all'altra e del livello di disuguaglianza, in Italia potrebbero essere necessarie almeno 5 generazioni per i bambini nati in famiglie a basso reddito per raggiungere il reddito medio, solo di poco al di sopra della media Ocse".   

Visto il quadro a tinte fosche e viste le esigue risorse che la classe politica italiana, da decenni, è disposta a investire in istruzione e cultura, la battaglia contro l’introduzione del limite Isee al bonus cultura per i 18enni appare piuttosto strumentale. Se le risorse economiche non sono infinite, allora quelle a disposizione andrebbero convogliate per aiutare i ragazzi che più hanno bisogno, magari aumentando l’importo a loro disposizione, e non impiegate per fare un regalo per il diciottesimo a tutti, indistintamente. È l’annosa questione dell’equità contro l’uguaglianza. Ma non può esistere uguaglianza se le condizioni di partenza sono troppo differenti, soprattutto in un Paese fondato sulle disuguaglianze come l’Italia. 

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