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Martedì, 23 Aprile 2024

L'editoriale

Maria Cafagna

Editorialista

Il cinema italiano deve smettere di silenziare la violenza contro le donne

Partiamo dai numeri perché, come dice il proverbio, non sono un’opinione. Solo una donna su sette aveva denunciato quello che poi sarebbe diventato il suo assassino, ben il 65% delle donne vittime di violenze non ne parla con nessuno, né con le autorità né con familiari o amici; è quello che ha dichiarato in occasione della Giornata Mondiale contro la violenza maschile contro le donne la senatrice Valeria Valente, presidente della commissione parlamentare contro il femminicidio. L’ultima rilevazione ISTAT sulla violenza di genere in Italia risale al 2021 e racconta che: “è elevata la quota di donne che non parlano con nessuno della violenza subita (il 28,1% nel caso di violenze da partner, il 25,5% per quelle da non partner), di chi non denuncia (i tassi di denuncia riguardano il 12,2% delle violenze da partner e il 6% di quelle da non partner), di chi non cerca aiuto; ancora poche sono, infatti, le donne che si rivolgono ad un centro antiviolenza o in generale un servizio specializzato (rispettivamente il 3,7% nel caso di violenza nella coppia e l’1% per quelle al di fuori). Ma la cosa più preoccupante è che queste azioni sarebbero davvero essenziali per aiutare la donna ad uscire dalla violenza”.

In Italia non esiste il reato di molestie sessuali

Nel nostro Paese non esiste il reato di molestie sessuali. “C’è un disegno di legge per istituire il reato di molestie sessuali, fermo nelle commissioni Giustizia e Lavoro al Senato. Sarebbe utile per completare il quadro degli strumenti di contrasto alla violenza maschile - ha dichiarato Valeria Valente in un’intervista a Vita - quei comportamenti che possono anche non prevedere palpeggiamenti e contatti fisici indesiderati, e che fanno sentire la vittima in pericolo, vessata sessualmente e in una condizione di forte disagio emotivo e psicologico, in ragione del fatto di essere una donna, non sempre possono rientrare nel reato di violenza sessuale e in questo caso possono essere poi puniti solo attraverso fattispecie molto blande come la violenza privata, al pari degli schiamazzi notturni di un vicino di casa particolarmente rumoroso. Ora tra la violenza privata e la violenza sessuale, molto più grave, c’è un vuoto, una zona grigia indefinita in cui può agire il magistrato, ma a sua discrezione”.

Le uscite sessiste di Barbareschi, Muccino e Haber 

Questo è il quadro. Alla vigilia della consegna dei David di Donatello, uno degli appuntamenti più importanti per il cinema italiano, il quotidiano la Repubblica ha pubblicato un’intervista al regista e produttore Luca Barbareschi in cui molto si è parlato di questioni di genere. Barbareschi, che non è insolito a dichiarazioni di questo tipo, ha contestato la scelta del giornale di dare voce al lavoro dell’associazione Amleta, che da anni denuncia il sessismo e le molestie sessuali nel mondo del cinema e in generale dello spettacolo: “Sul vostro giornale c’è stata una serie a puntate di molestate finte, alcune le ho avute anche a teatro - ha dichiarato - a me viene da ridere perché alcune di queste non sono state molestate, o sono state approcciate in maniera blanda. Altre andrebbero denunciate per quando si son presentate sedendo a gambe larghe”. Barbareschi ha continuato poi la sua invettiva contro il lavoro di Amleta dicendo: “Ho letto le puntate su di loro, ho trovato che un giusto pensiero diventa qualcosa di modaiolo. L’attrice che si fa pubblicità, la cosa va avanti per dieci puntate poi finisce, ma non si risolve il problema”. La replica di Amleta non si è fatta attendere e ricordando che, in oltre due anni di lavoro, ha offerto supporto legale a moltissime attrici, ribadisce che: “Non esiste un’attrice che sia diventata famosa denunciando una violenza. Al contrario. […] L’attrice che si espone è consapevole di corrente un grande rischio, è proprio per questo che riusciamo a procedere con le denunce soltanto nel 5% dei casi”.

Non solo Barbareschi non è nuovo a questo genere di uscite, ma altri suoi colleghi si sono sentiti di “denunciare” il clima infame creato dal movimento #metoo. In un’intervista a Il Giornale il regista Gabriele Muccino ha raccontando così la sua esperienza di lavoro in America: “Prima di iniziare le riprese una signora ci spiegò le regole sulle molestie sul posto di lavoro: totalmente assurde, non c'era confine tra corretto e scorretto. Ci fece l'esempio di una donna che si sentiva molestata perché pensava che il suo capo le guardasse il seno. Mi consigliavano di tenere aperte le porte dell'ufficio quando incontravo un'attrice per non incorrere nel pericolo di essere accusato di nefandezze”. L’abitudine di fare provini in presenza di altre persone, oltre a tutela delle interpreti, tutela anche il regista da possibili accuse infondate, cosa che a quanto pare Muccino non coglie. Ma l’intervista prosegue: “Il problema è una società che, per paura di vivere, implode, diventa robotica. E che arriva all'abominio della Cancel culture che abbatte le statue e riscrive i film della Disney. O che impone regole nella scelta del cast sulla base delle minoranze - e sulle denunce di Asia Argento e del #metoo - L'ho trovato una cosa violenta. Perché se non vuoi mangiare da un piatto non lo fai, se invece ti ci nutri per anni poi non puoi dire che il cibo ti è stato messo in bocca a forza”. Giova ricordare che la giustizia ha condannato il produttore Harvey Weinstein , a cui Muccino si riferisce, per stupro. 

Pochi giorni prima che Repubblica pubblicasse in prima pagina l’intervista a Luca Barbareschi, su Dagospia appariva un’intervista dello stesso tenore all’attore Alessandro Haber: “Le belle ragazze sono fondamentali […] Una volta però c’erano le minigonne, i reggipetti e le giarrettiere, invece oggi si mettono tutte questi calzoni […] si vestono come dei maschiacci. La magia del sex appeal si è persa, prima ce n’era di più. Gli uomini facevano gli uomini e le donne le donne […] Solo una volta nella mia vita mi è scappata una sberla a Giuliana De Sio, perché mi aveva esasperato. Poi con altre ci siamo tirati qualsiasi cosa, dai libri ai televisori, ma in generale non ho mai picchiato una donna. Quando è successo con Giuliana ero fuori di testa. Una sberla in 55 anni ce po’ sta, o no? Anche perché me ne sono fatte dare molte”.

Il cinema italiano è stato impermeabile al #MeToo

L’anno in cui in tutto il mondo scoppiava il #metoo, il cinema italiano decise di liquidare la questione con un monologo di Paola Cortellesi durante i David di Donatello. Le poche attrici hanno usato parlare sono state silenziate e non si vedono sul grande schermo. Le pochissime che hanno parlato o non hanno fatto nomi, oppure si sono schierate senza se e senza ma con l’uomo accusato facendo scudo intorno a lui. 

Il cinema italiano è stato impermeabile al #metoo e si vede non solo nelle dichiarazioni di registi e produttori, ma anche nella mancanza di diversità delle nostre produzioni. Il così detto male gaze, ovvero l’abitudine di raccontare le storie dal punto di vista del maschio bianco privilegiato, per le nostre produzioni è un’abitudine consolidata e dura a morire. Solo l’arrivo delle piattaforme internazionali ha portato a delle migliorie che persone come Gabriele Muccino vedono come imposizioni senza senso. 

In questo quadro, sarebbe il caso che i grandi organi di stampa la smettessero di fare da megafono a certe dichiarazioni, che ne prendessero le distanze e che dessero voce a chi, come Amleta, tutti i giorni si batte per proteggere le donne dai loro aguzzini. Altrimenti quelle belle paginate piene di scarpe rosse il 25 novembre, avranno l’amaro retrogusto di ipocrisia. 

Il cinema italiano deve smettere di silenziare la violenza contro le donne

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