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Giovedì, 25 Aprile 2024

Alfonso Bianchi

Giornalista

Se i Paesi poveri ci presentano il conto del nostro inquinamento

I Paesi poveri e in via di sviluppo stanno subendo in maniera massiccia le conseguenze dei Cambiamenti climatici, che stanno causando danni incredibili a queste nazioni. Eppure loro sono colpevoli sono in minima parte dell'inquinamento mondiale, che è responsabilità quasi esclusiva degli Stati più ricchi del pianeta, Stati che hanno emesso la metà di tutti i gas che causano il surriscaldamento a partire dal 1850 e hanno creato un inquinamento che sta mettendo in pericolo la sopravvivenza del mondo intero.

E ora questi Stati sono stati chiamati a pagare per i danni compiuti, anche se non sembrano affatto intenzionati a farlo. Il dibattito sul cosiddetto "Loss and damage", le compensazioni per i danni del Climate Change, sarà al centro dei 27esimi colloqui annuali delle Nazioni Unite sul Clima, noti come COP27, che si sono aperti ieri a Sharm el Sheikh, in Egitto e andranno avanti tutta la settimana.

Sono stati proprio l'Egitto, Paese ospitante, e il Pakistan, che al momento guida il Gruppo dei 77 (o G77), un'organizzazione intergovernativa delle Nazioni Unite, formata da 134 Stati in via di sviluppo, a riuscire a far inserire per la prima volta la questione formalmente nell'agenda. "Quello che cerchiamo non è carità o elemosina, ma giustizia", ha detto a settembre Bilawal Bhutto Zardari, ministro degli Esteri del Pakistan, parlando delle devastanti inondazioni che hanno sconvolto il Paese, ucciso 1.700persone e che, secondo gli scienziati, sono state aggravate dal riscaldamento globale.

"Trentatré milioni di pakistani oggi stanno pagando con le loro vite e i loro mezzi di sostentamento l'industrializzazione di Paesi più grandi", ha ricordato. Simon Stiell, il responsabile Onu per il clima ha sostenuto che la decisione di includere la questione nell'ordine del giorno "fa ben sperare" in un compromesso entro la fine del vertice.

Ma la volontà politica appare limitata. L'Unione europea e gli Stati Uniti hanno bloccato la proposta di istituire un fondo nella Cop26 dello scorso anno, accettando solo un vago "dialogo" senza un chiaro obiettivo finale. Questi blocchi temono che riconoscere tale compensazione possa creare un precedente che finisca per far diventare la loro responsabilità illimitata e che si trovino a dover pagare ancora all'infinito per un problema che non si risolverà certo domani. Al momento diverse nazioni si sono impegnate a compensare i Paesi poveri per i danni subiti, ma nei fatti poche hanno mantenuto le loro promesse.

Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Australia non hanno raggiunto la loro "giusta quota" di finanziamenti per il clima a favore dei Paesi in via di sviluppo, secondo un'analisi di Carbon Brief. I Paesi ricchi si erano impegnati a fornire 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020, ma l'obiettivo è stato mancato. La quota Usa era 40 miliardi di dollari, ma nel 2020 erano stati versati solo 7,6 miliardi. Australia e Canada solo un terzo, Londra tre quarti. Tokyo e diversi Paesi europei, tra cui l'Italia, sono invece tra i più virtuosi.

Uno dei problemi che pongono i Paesi ricchi è: come quantificare quanto dovremmo pagare? Quanto dei danni è nostra responsabilità e a quanto ammontano questi danni? Ci sono ormai diversi studi, anche prestigiosi, che hanno provato a quantificare queste cifre, che sono spaventose. Una ricerca spagnola del 2018 presa da molti come punto di riferimento in materia, ha stimato che i Paesi in via di sviluppo potrebbero subire da 290 a 580 miliardi di dollari di danni annuali al clima entro il 2030 e che la cifra potrebbe salire a 1.700 miliardi di dollari entro il 2050.

La questione può sembrare astratta ma è molto più concreta di quanto si pensi, per chi sta subendo maggiormente i danni del Climate Change. Ad esempio il Turkana, una regione semiarida del Kenya nordoccidentale, sta soffrendo il quarto anno consecutivo di estrema siccità e alcuni scienziati vedono una tendenza all'inaridimento a lungo termine causata dai cambiamenti in atto nel pianeta. La maggior parte dei suoi 900mila abitanti sono pastori che si guadagnano da vivere allevando bestiame e hanno visto le loro mandrie morire per mancanza d'acqua.

La crisi ha creato fenomeni di emigrazione massicci verso l'Uganda o il Sud Sudan dove ci sono pascoli più verdi, ma questo sta creando delle forti tensioni e scontri. Per rimediare alla situazione i funzionari kenioti vogliono scavare pozzi per raggiungere le profonde le falde acquifere e dighe per immagazzinare l'acqua pivana. Ma non hanno soldi a sufficienza e il piano potrebbe costare circa 200 milioni di dollari all'anno, il doppio del budget annuale dell'intera contea.

Sono interventi come questi che dovrebbero essere pagati dai Paesi ricchi, perché la situazione l'hanno creata loro. Spesso sentiamo la retorica dell'"aiutiamoli a casa loro", e allora se vogliamo fare seguito a queste parole dobbiamo anche accettare di pagare le compensazioni climatiche. E dovremmo farlo anche per una questione di semplice utilitarismo, se non vogliamo farlo perché riteniamo sia moralmente giusto. Perché la crisi climatica sta creando povertà e morte e le persone dei Paesi in via di sviluppo, specialmente quelli africani, stanno già bussando alle nostre porte per sfuggire alla fame, e lo faranno con sempre maggiore forza e frequenza. E se pensiamo che per fermarli basterà bloccare le navi delle Ong nei nostri porti, siamo veramente degli illusi.

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