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Giovedì, 28 Marzo 2024

La provocazione

Gioele Urso

Vuole togliere il crocifisso dal Comune: non mangia da 22 giorni

Perché in Italia è così difficile rimuovere un crocifisso da un edificio pubblico? Che sia l'aula di una scuola o quella di un consiglio comunale, ogni volta che qualcuno propone di togliere quel simbolo religioso dalle pareti prevalgono sempre le ragioni di una sola parte. Quella che strizza l'occhio alla chiesa e che - possiamo dircelo senza alcuna ipocrisia - non rappresenta la maggior parte del Paese. 

La domanda è sempre attuale, ma in questi giorni lo è ancora di più perché a Torino c'è un uomo che da oltre venti giorni non mangia in segno di protesta. È Silvio Viale, storico esponente del partito radicale, che si è lanciato nella sua ultima battaglia: far rimuovere il crocifisso che è appeso dentro la Sala Rossa, l'aula del consiglio comunale di Torino. Così quando è stata negata un'audizione pubblica con i rappresentanti della diocesi torinese ha iniziato lo sciopero della fame.  

Da 22 giorni Silvio Viale vive di cappuccini

Da 22 giorni, per la precisione, si nutre solo di cappuccini, del brodo che gli prepara la moglie e di qualche birra (che a volte consuma tra i banchi della sua stessa maggioranza). Ha perso oltre sette chilogrammi e non sembra intenzionato a mollare, anche se il suo obiettivo non è stare male, ma accendere i riflettori su una questione che i suoi stessi alleati preferiscono ignorare. Allora la domanda si ripropone: perché in Italia è così difficile rimuovere un crocifisso da un edificio pubblico? 

In teoria il nostro è un Paese laico e in teoria la stessa maggioranza di centrosinistra di cui fa parte lo stesso Viale dovrebbe avere come principio fondante la laicità dello Stato. In teoria, perché poi nei fatti si fa sempre fatica ad affrontare in modo serio un tema che potrebbe generare un certo imbarazzo. Così invece di discutere del fatto che il crocifisso sia il simbolo solo di una parte religiosa, si preferisce rimandare il dibattito e non renderlo pubblico per non creare imbarazzi. 

Ma lo stesso vale per le inaugurazioni dei nuovi reparti degli ospedali, occasioni nelle quali non manca mai la benedizione con tanto di preghiera e acqua santa da parte del prete competente. E la domanda si ripropone ancora: perché nel 2023 un laico deve ancora accettare tutto questo? Io non sono religioso, sono cresciuto in una famiglia non cattolica e mi ricordo bene le ore di alternativa all'insegnamento della religione durante gli anni delle elementari. 

Perché accettare ancora simboli cattolici?

Chiuso dentro una stanzetta, che era più un mezzo sgabuzzino, a leggere per cinque anni di fila - ogni anno di nuovo dall'inizio - le avventure di Pinocchio. Questa era l'alternativa che un'istituzione pubblica mi dava; oggi sono sicuro che le cose siano cambiate. Il punto però è sempre lo stesso: perché un laico, o chi frequenta un'altra religione, nel 2023 deve accettare ancora che ci siano simboli religiosi dentro i luoghi pubblici o deve assistere a benedizioni cattoliche in pompa magna? 

La risposta dovrebbe darla la politica che però difficilmente lo farà in modo trasparente. È facile indignarsi quando viene brandito il rosario durante un comizio o quando ci si appella alla Madonna, invece che alla Costituzione, ma negare un dibattito aperto e pubblico sulla proposta di rimuovere un crocifisso da un'aula di un consiglio comunale non è tanto differente. Il fine in fondo è lo stesso: strizzare l'occhio a chi ti può portare un bel po' di voti. 

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