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Sabato, 20 Aprile 2024

Alfonso Bianchi

Giornalista

Quelle del premier israeliano sulla Palestina purtroppo sono solo parole vuote

Ha fatto discutere l'intervento del premier israeliano Yair Lapid all'assemblea generale dell'Onu. Il leader dei centristi di Yesh Atid (C'è un futuro), ha detto che "un accordo con i palestinesi, basato su due Stati per due popoli, è la cosa giusta per la sicurezza d'Israele, la sua economia, il futuro dei suoi figli". "Nonostante tutti gli ostacoli, ancora oggi una grande maggioranza di israeliani sostiene la visione di questa soluzione a due Stati. Io sono uno di loro", ha sostenuto, aggiungendo che l'unica condizione che Israele pone per un accordo del genere sarebbe che "un futuro Stato palestinese sia pacifico. Che non diventi un'altra base terroristica da cui minacciare il benessere e l'esistenza stessa di Israele. Che avremo la capacità di proteggere la sicurezza di tutti i cittadini di Israele, in ogni momento".

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Il discorso è stato salutato da più parti come una importante apertura allapace, ma di fatto (purtroppo) si trattava solo di vuota propaganda elettorale. Lapid è un premier ad interim, sta soltanto gestendo la transizione del governo verso elezioni che si terranno tra poco più di un mese, il prossimo primo novembre, in quella che sarà la quinta consultazione elettorale in tre anni nella nazione. L'ex giornalista ha avuto sicuramente il merito di porre fine ai 12 anni di governo del leader estremista del Likud, Benjamin Netanyahu, e di riuscire a portare al governo anche un partito arabo-israeliano, il Ra'am guidato da Mansour Abbas, ma insieme comunque a formazioni dell'estrema destra, contrarie a ogni accordo con i palestinesi. Il suo ministro della Giustizia, Gideon Sa'ar, ha dichiarato mercoledì che la creazione di uno "Stato del terrore in Giudea e Samaria", il nome biblico della Cisgiordania, "metterebbe in pericolo la sicurezza di Israele e la maggior parte del popolo israeliano e i suoi rappresentanti non permetteranno che ciò accada".

Proprio il giorno prima del discorso Lapid ha incontrato la premier britannica, Liz Truss, con cui ha trattato lo spostamento dell'ambasciata del Regno Unito da Tel Aviv a Gerusalemme, cosa che se accadesse non farebbe altro che infiammare gli animi dei palestinesi. Quando Donald Trump spostò quella degli Stati Uniti fu condannato da una risoluzione appoggiata da 128 Stati all'Onu e il giorno dell'inaugurazione, nel maggio 2018, scoppiarono violente manifestazioni e circa 60 palestinesi furono uccisi negli scontri con l'esercito israeliano al confine con Gaza. Non proprio un passo verso la pace. La virata a sinistra del premier è stata principalmente una mossa elettorale. Col suo discorso Lapid si è rivolto agli elettori di Meretz e dei laburisti e alla sinistra di Unità Nazionale, a cui spera di strappare qualche voto e ottenere alla fine più dei 24 o 25 seggi della Knesset che i sondaggi prevedono per lui.

Le parole se le porta via il vento, recita un vecchio adagio. E quelle di Lapid purtroppo sono solo parole. Come parole furono quelle di Netnyahu, che dallo stesso podio nel 2016 giurò all'Onu: “Non ho rinunciato alla pace. Rimango impegnato in una visione di pace basata su due Stati per due popoli”. Poi rivolgendosi a leader di Fatah, Abu Mazen, aggiunse: “La invito a parlare al popolo israeliano alla Knesset di Gerusalemme. E verrei volentieri a parlare al Parlamento palestinese di Ramallah”. Di fatto poi la sua intera azione politica è stata volta alla distruzione della soluzione a due Stati: a Gaza l'asfissiante embargo non è stato minimamente alleggerito e la costruzione di colonie illegali in Cisgiordania continua senza tregua.

Anche volendo credere nella sincerità di quelle parole, il discorso di Lapid non è stato altro che una dichiarazioni di intenti, fatta peraltro in una posizione che non gli permette di lanciare veri negoziati diplomatici. Più che all'Onu un discorso del genere avrebbe dovuto farlo ad Abu Mazen, nonostante purtroppo il presidente dell'Autorità palestinese sia ormai un leader screditato anche dalla gran parte dei palestinesi e a capo di un'organizzazione politica la cui autorevolezza è ormai minima, divorato da una corruzione dilagante.

Chiunque voglia una soluzione a due Stati deve avere il coraggio non di proclamarla, ma di attuarla sul campo, partendo dal rispetto degli accordi precedentemente raggiunti, accordi che Israele calpesta da anni, bloccando l'espansione degli insediamenti, ponendo fine all'occupazione illegale di Gerusalemme Est e riconoscendola come capitale di un futuro Stato palestinese. All'orizzonte purtroppo non si vede nessuno capace di fare una cosa del genere.

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