Quelli che spremono e schiacciano la dignità dei dipendenti
“Chiunque desideri lavorare da remoto deve essere in ufficio per un minimo (e intendo minimo) di 40 ore a settimana, altrimenti sarà costretto a lasciare Tesla”, comunicò Musk ai dipendenti Tesla qualche mese fa. Stessa richiesta è arrivata ai dipendenti di Twitter con la prima mail da neo-presidente del social network. Minimo 40 ore in ufficio, evidentemente considerato da Musk un monte ore appena sufficiente per far vedere al patron l’attaccamento al lavoro.
Lo storico ingegnere licenziato in pochi secondi
Non solo: proprio pochi giorni fa, come non fosse bastata la polemica globale sollevatasi per i licenziamenti di massa ordinati all’indomani dell’acquisizione di Twitter, Elon Musk ha licenziato Eric Frohnhoefer, uno degli storici ingegneri del social network, perché ha avuto l’ardire di contraddirlo pubblicamente. Così, d'emblée. Per Elon Musk questo comportamento è evidentemente normale, perché considera i propri dipendenti come dei subordinati senza granché diritto di parola o di pensiero, da gestire a proprio piacimento, e non dei collaboratori che grazie alle loro competenze e capacità sono necessari e fondamentali per la buona riuscita di un’impresa.
Un uomo sicuramente geniale, Elon Musk, ma probabilmente profondamente incapace di sostenere un confronto, e per questo molto incline a circondarsi dei classici yes-man in grado solamente di eseguire ordini senza proferire una parola di disappunto, nemmeno di fronte a situazioni che, insomma, meriterebbero invece analisi e giudizi molto più razionali della mera esecuzione a tambur battente. Elon Musk, è evidente dalle sue dichiarazioni e azioni, considera i dipendenti come una proprietà, degli automi a cui può ordinare qualsiasi cosa in qualsiasi momento semplicemente perché è il padrone.
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I micromanager che emulano
Una mentalità di lavoro estremamente tossica ed estremamente diffusa in svariati settori aziendali, decisamente presente anche in Italia. Non capita, di rado, nel Belpaese, infatti, di imbattersi in micromanager e imprenditori che considerano il “dare un lavoro” come un’offerta salvifica, nonostante magari sia contrapposta a condizioni degradanti, stipendi infimi, richieste di reperibilità, flessibilità e disponibilità al limite dell’umano. “Ti sto dando un lavoro”, dicono, quasi a sottolineare quanto la loro pia opera sia frutto di un dono che potrebbero riservare a qualcun altro più incline a ringraziare per la fantastica opportunità senza fiatare. E non si rendono conto, in realtà, di quanto questo atteggiamento sia letale per la tanto decantata produttività e contribuisca solamente ad allontanare i veri talenti dalle proprie imprese, che non saranno mai in grado di coltivare e far sbocciare un collaboratore capace e in gamba.