Devi sapere che questa è una Finanziaria da quattro soldi
Alla fine montagna ha partorito il topolino, anzi, il draghetto. La prima manovra economica del Governo “sovranista” guidato dalla presidente Giorgia Meloni, è prima di tutto un prevedibile bagno di realtà per lei e per i suoi compagni di viaggio. Finiti i tempi degli slogan e delle urla sguaiate dai banchi dell’opposizione, ecco arrivare i toni pacati, la prudenza e soprattutto la madre di tutte le ammissioni, quella che fanno un po’ tutti i governi da mezzo secolo a questa parte: senza soldi non si possono fare miracoli, al massimo si può provare empatia piangendo in conferenza stampa quando si toglie a qualcuno per fare cassa.
Niente di rivoluzionario
Una Legge di Bilancio, quella approvata dal Consiglio dei Ministri col favore delle tenebre (cit.), in realtà molto più fedele di quanto si voglia far credere alla mitologica “agenda Draghi”, che viene scarabocchiata qua e là per poter uscire dalle stanze di Palazzo Chigi con qualche argomento utilizzabile dalle macchine della propaganda. Di fatto, manovra da quattro soldi che alla fine vengono tolti a chi ha di meno, come nella migliore tradizione. Non poteva essere altrimenti, perché al netto di tutte le altisonanti dichiarazioni dei vari esponenti dei partiti che sostengono il Governo, gli occhi di Bruxelles puntati sullo Stivale mettono parecchio in soggezione e il parere della Commissione Europea che aspetta il testo definitivo della Legge di Bilancio entro il 30 novembre è visto come un passaggio chiave per cercare di normalizzare i rapporti con i partner dopo i recenti attriti per le azioni “spot” contro le navi delle Ong.
I dipendenti tartassati
Insomma, la priorità della Giorgia Meloni premier non è più il “blocco navale” per difendere gli immacolati confini della patria, ma tenere i conti in ordine per non far arrabbiare quelli che fino a ieri venivano definiti con disprezzo “i burocrati di Bruxelles non eletti dal popolo”. Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’estrema destra Italiana. Così, come spesso accade, un po’ tutte le grandi promesse fatte in campagna elettorale diventano piccoli correttivi all’esistente, segnali a pezzi di elettorato di riferimento e poco più. Niente pensioni minime a mille euro: per due milioni di percettori l’assegno salirà a meno di seicento euro, poco più di quanto sarebbe già salito con il recupero dell’inflazione (circa 562 euro). Il tanto sbandierato taglio del cuneo fiscale, in realtà, è ben poca roba: a beneficiarne saranno i lavoratori a basso reddito, quelli con una retribuzione annua inferiore ai ventimila euro lordi, che verseranno all’Inps il 6% anziché il 9% (parliamo di cifre che vanno dai venti ai trenta euro), mentre resterà tutto invariato per gli altri. E anche i ricchi piangono: la flat tax, misura di bandiera della Lega di Matteo Salvini, non riguarderà tutti come promesso, ma si allargherà il regime forfettario del 15% a redditi fino a 85mila euro, alzando cioè l’attuale limite fissato a 65mila euro. Già così, il provvedimento crea una stortura non indifferente: a parità di reddito, infatti, un lavoratore dipendente pagherà infatti il triplo delle tasse rispetto a un libero professionista, alla faccia dei privilegi del posto fisso.
La "tregua armata" fiscale
La controversa “pace fiscale” diventa meno di una “tregua armata fiscale". Chi si aspettava condoni berlusconiani per poter programmare vacanze alle Maldive resterà molto deluso, perché i soldi per quei regali lì non ci sono più, anzi, a onor del vero non c’erano neanche allora: saranno stralciate le cartelle esattoriali fino a mille euro emesse dal 2000 al 2015; quelle fino a tremila euro, su cui si era annunciato almeno uno sconto, resteranno così come sono. In compenso, chi vorrà fare un po’ di nero dal 1 gennaio potrà giovare dell’innalzamento della soglia per i pagamenti in contanti a 5mila euro. Salta invece il taglio dell’Iva su pane e latte, proposta finita al centro delle polemiche perché a fronte di una spesa non indifferente per lo Stato, avrebbe portato pochi euro l’anno in più nelle tasche degli italiani. Nuovi investimenti su scuola e sanità non pervenuti (era prevedibile), in compenso verrà resuscitato quel pozzo senza fondo della società “Stretto di Messina” per avviare entro i prossimi due anni la partenza dei lavori del famigerato ponte.
Addio Rdc
E veniamo alle dolenti note. “Fine della pacchia” per circa 400mila persone che hanno un reddito al di sotto della soglia della povertà: dal 1 gennaio del 2024 il reddito di cittadinanza verrà abolito, ma già da quest’anno la copertura verrà ridotta da dodici a otto mesi per i cosiddetti “occupabili”. Di chi parliamo? Per il Governo Meloni gli “occupabili” hanno dai 18 ai 59 anni di età e secondo la vulgata passerebbero giornate sul divano prendendo 500 euro invece di andare a lavorare. In realtà tra loro ci sono molti lavoratori che non riuscendo a raggiungere un salario degno di tale nome hanno diritto al sussidio per colmare il gap e riuscire a sopravvivere. Altri, semplicemente, non ricevono offerte di lavoro e sono disoccupati, perché la disoccupazione, purtroppo, esiste. A queste persone il Governo chiede di accettare qualsiasi cosa somigli anche lontanamente a un lavoro, anche la paga offerta dal commerciante che offende il dipendente ancor prima di assumerlo esponendo ignobili cartelli sulle vetrine; anche salari da fame, magari pagati per metà in nero. Più che “occupabili”, per onestà intellettuale andrebbero chiamati “sfruttabili”, ma a quel punto qualche ministro dovrebbe versare qualche lacrima per loro. Anche finta.