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Mercoledì, 24 Aprile 2024

Alfonso Bianchi

Giornalista

La notizia della morte del populismo è fortemente esagerata

La rielezione di Lula alla presidenza del Brasile e la fine del governo di Jair Bolsonaro hanno fatto tirare un respiro di sollievo negli ambienti progressisti mondiali. Dopo la sconfitta di Donald Trump nel 2021, a cui è seguito il mancato successo dei Repubblicani alle ultime elezioni di midterm negli Usa, l'elezione di Lula è stata percepita come la dimostrazione che i sovranismi di destra stessero di nuovo perdendo terreno a livello mondiale.

Un'analisi del Tony Blair Institute pubblicata questa settimana, ha segnalato con gioia che il numero di leader populisti nel mondo è sceso ai minimi da 20 anni a questa parte, dopo una serie di vittorie di progressisti e centristi nell'ultimo anno. Il report "Repel and Rebuild: Expanding the Playbook Against Populism", (Respingere e ricostruire: Ampliare l'agenda contro il populismo), ricorda che oltre a Bolsonaro quest'anno anche lo sloveno Janez Janša è stato sconfitto, mentre al brutale presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, è stato impedito di ricandidarsi. Il rapporto afferma che all'inizio del 2023 1,7 miliardi di persone vivevano sotto un leader che si può definire populista, rispetto ai 2,5 miliardi del 2020.

Ma per parafrasare un celebre aforisma dello scrittore statunitense Mark Twain, la notizia della morte del populismo è fortemente esagerata. E lo sappiamo bene noi in Italia, dove si è da poco insediato il governo di Giorgia Meloni, il più a destra della storia del Paese. Un governo che ci ha già deliziato con i balletti sull'uso del contante, che ci vuole far credere che bloccare dei poveri disgraziati su delle barche in mare serva a risolvere il problema dei flussi migratori, che per mantenere al sicuro le nostre città bisogna mandare in galera i pericolosissimi ravers e che costringere i disoccupati alla fame, togliendogli anche quella miseria del reddito di cittadinanza, servirà a risollevare la nostra economia e a riempire le migliaia di posti di lavoro vacanti (e con contratti che farebbero gola anche a un emiro arabo) che ci sono nel nostro Paese.

La vittoria di Meloni ha rafforzato il blocco della destra populista a Bruxelles, che ha il suo principale esponente nell'ungherese Viktor Orbán, l'uomo che non ha mai voluto accettare il programma di ricollocamento dei migranti, che potrebbe alleviare la pressione sul nostro Paese, e con cui ora ci alleeremo proprio per trovare una soluzione al problema dei flussi. Come se un napoletano si alleasse con uno juventino per vincere lo scudetto, insomma.

Ma vabbè, c'è chi sta peggio di noi, come i palestinesi, che purtroppo dovranno confrontarsi nei prossimi mesi e probabilmente anni con il nuovo governo di Benjamin Netanyahu, il leader del Likud che pur di tornare al potere si è alleato con gli oltranzisti religiosi più estremi. Con lui al governo ci saranno personaggi del calibro di Bezalel Smotrich, un politico che si è definito "orgogliosamente omofobo" e che ha sostenuto la segregazione dei reparti di maternità per le donne arabe ed ebree, e Itamar Ben Gvir, che per iniziare il nuovo mandato all'insegna della riconciliazione è andato a fare una bella passeggiata sulla Spianata delle moschee, una provocazione che in passato ha scatenato scontri, morti e feriti.

Quest'anno ci sono le elezioni in Polonia e Turchia, e i consensi per il premier Mateusz Morawiecki e il presidente Recep Tayyip Erdoğan non sono ai massimi storici. Quest'ultimo soprattutto è in difficoltà nel Paese a causa di una fortissima crisi economica e di una inflazione galoppante. Ma lui come al solito per restare sulla cresta dell'onda ha sviato l'attenzione e puntato sul nazionalismo più becero, riaccendendo gli scontri con la Grecia e soprattutto con i soliti, poveri curdi, altro popolo da sempre martorizzato. Finora questa tattica ha funzionato e con ogni probabilità funzionerà di nuovo. Insomma Bolsonaro e Trump saranno anche stati sconfitti, ma il populismo è vivo e vegeto.

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