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Giovedì, 28 Marzo 2024

Il commento

Marco Esposito

Tutto quello che Giorgia Meloni non dice sulla strage di Cutro

Per quasi una settimana è rimasta in silenzio. Mentre tutta Italia parlava della tragedia del naufragio di Cutro e il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, omaggiava le vittime, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, non ha detto una parola: un silenzio assordante. Non un'espressione di cordoglio, o di vicinanza alle vittime, o di umana comprensione. Per parlare ha aspettato di finire il suo viaggio in India. Quando ha deciso di esprimersi, lo ha fatto nel ruolo che preferisce interpretare: quello della vittima. 

Un ruolo comodo, dal quale può agilmente scegliere su quale aspetto di una vicenda rispondere. "Mi chiedo - ha detto davanti ai microfoni la leader di FdI - se in questa nazione c'è qualcuno che in coscienza ritiene che il governo volutamente abbia fatto morire oltre 60 persone tra cui qualche bambino". Insomma, anche in questo caso Giorgia Meloni si pone come una vittima davanti all'opinione pubblica, facendo in qualche modo la "caricatura" delle altrui posizioni e delle accuse che sono state mosse nei confronti del governo.

La risposta alla domanda retorica della presidente del Consiglio è ovviamente "no". Nessuno pensa che il governo si sia chiuso in una stanza per progettare di far naufragare un barcone di disperati. E ancora no, nessuno crede che se il governo avesse avuto la concreta possibilità di salvare quelle vite, non lo avrebbe fatto. Il nodo centrale della questione è un altro: il governo di Giorgia Meloni sta inanellando una serie di provvedimenti per i quali salvare le vite dei migranti non è più centrale nella politica dell'esecutivo. 

È assolutamente vero che il provvedimento del governo che impedisce alle navi delle Ong di correre in aiuto di altre imbarcazioni in difficoltà dopo aver già effettuato un salvataggio non è collegato alla tragedia di Cutro, perché la rotta della nave che si è schiantata sulle coste calabresi lo scorso 26 febbraio non è nell'area di azione di queste ultime. Ma quel provvedimento è sintomo non solo di una cultura che vuole mettere i bastoni tra le ruote a chi vuole salvare vite umane, ma è anche la testimonianza di un preciso volere politico: scoraggiare le partenze a qualsiasi costo. Una cultura che è stata in qualche modo ben rappresentata anche dalla clamorosa gaffe del ministro Matteo Piantedosi, che aveva detto sostanzialmente che la morte dei migranti e dei bambini è tutto sommato colpa di chi si mette in viaggio in quel modo, su un'imbarcazione precaria e con un meteo instabile. Attenzione: non degli scafisti che sfruttano un tale livello di disperazione per far soldi, non di chi quella disperazione l'ha creata, ma di chi la subisce. Parole prive di qualsiasi empatia umana.  

Ma a questo punto si aprono almeno due crepe nella gestione dei flussi migratori portata avanti dal governo. La prima riguarda appunto le Ong, che il governo accusa di essere una calamita per chi ha intenzione di partire con mezzi di fortuna verso l'Italia. I migranti che si sono abbattuti sulle coste calabresi sono invece partiti sapendo che sulla loro rotta non avrebbero avuto alcun aiuto da parte delle navi delle organizzazioni non governative, ed è dunque falso che le stesse esercitino un'attrazione per chi parte alla volta dell'Italia o che - ancor peggio - siano d'accordo con gli scafisti. Chi parte lo fa perché è disperato, come dimostrano i pericoli che sono disposti ad affrontare. 

La seconda riguarda invece proprio i salvataggi: la verità è che se le Ong battessero anche l'altra rotta - quella che parte dalla Turchia e costeggia la Grecia - oggi quelle persone, molto probabilmente, sarebbero vive. Proprio grazie a quelle organizzazioni alle quali il governo fa la guerra.

Il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, lasciato solo dai suoi due leader - Meloni e Salvini - ad affrontare l'aula di Montecitorio, ha provato a scaricare ogni colpa su quanto avvenuto a Cutro ad altri, nello specifico sia a Frontex - rea di non aver segnalato alcun "distress" (pericolo) del caicco - e ovviamente (e giustamente) agli scafisti che, secondo le sue parole, pur essendo in possesso di "telefonini satellitari" non hanno in nessun modo chiesto aiuto, se non quando ormai la situazione era irreparabile.

Il paradosso che Piantedosi non ha saputo spiegare, però, è come sia possibile che una nave che era stata avvistata con 24 ore di anticipo da un aereo di Frontex, e che comunque aveva segnalato "la possibile presenza sotto coperta" di altre persone oltre a chi teneva il timone sul ponte, e diretta verso le nostre coste, sia potuta affondare senza che nessuno mettesse in sicurezza chi era a bordo. 

Possibile che un governo che ha fatto del controllo dei confini dell'Italia la propria bandiera non riesca a tenere sotto controllo una nave che viaggia spedita verso le nostre coste? E se invece - lo diciamo per amor di paradosso - al posto di migranti in cerca di pace si fosse trattato di una nave di terroristi? In quel caso, una volta tornate indietro le motovedette della Guardia di Finanza per colpa del maltempo, sarebbero uscite quelle della Guardia Costiera? 

Piantedosi cerca ancora una volta un colpevole da offrire alla pubblica opinione, e lo fa comunque puntando sempre il dito verso l'essersi messi in viaggio. Proprio a questo serviva l'elenco fatto alla Camera dei precedenti naufragi. Era un modo per dire a tutti: questo è ciò che accade a chi si mette in viaggio, questo accade quando si fanno i viaggi della speranza. Semplicemente, accade. Con tutti i governi. Amen. 

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