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Sabato, 20 Aprile 2024

L'analisi

Mario Seminerio

Io sono Giorgia, martire della realtà

Pare che la realtà stia picchiando forte, sul governo di Giorgia Meloni. Un peccato, perché la premier ha sin qui mostrato di essersi ridestata (direi anche rinata, come i cristiani dell’omonima setta) all’eterno principio del signor Jagger e dei suoi colleghi.

A che punto siamo? Giorni addietro pare che la premier abbia lamentato (in sede solenne) di trovarsi a guidare la Nazione (con la maiuscola ma non è il quotidiano): “nel momento più complesso dalla fine della seconda guerra mondiale […] Appena si affronta un problema, se ne apre un altro. Non sono stata fortunata”. Prendi e porta a casa, Calimero. Ora, non so se davvero questo sia il momento più complesso dalla fine della seconda guerra mondiale. Se volgo lo sguardo a ritroso, direi che abbiamo avuto fior di casini, anche planetari, negli ultimi decenni, prima e dopo la fine Guerra Fredda. A parte ciò, se dai destini dell’umanità scendiamo verso quelli italiani, e delle misure di politica economica che dovrebbero essere la firma di questo esecutivo e della maggioranza che lo sostiene, diremmo che siamo ampiamente entrati nella zona in cui si accende l’insegna al neon intermittente “Non si può fare”.

Prendiamo la riforma delle pensioni. Supereremo la riforma Fornero, dissero i nostri eroi, soprattutto quelli leghisti. Lo scorso anno, avendo compreso l’antifona, Mario Draghi mise un puntello con Quota 103, rinviando ai partiti la scelta. Come noto, i nostri eroi vorrebbero la leggendaria Quota 41, cioè 41 anni di contributi senza sostanziali paletti anagrafici, per poter dare il via libera ai “progetti di vita” degli aspiranti pensionati italiani.

Qualcuno ha fatto lo spiritoso, dicendo che “col sistema contributivo ognuno dovrebbe poter uscire quando vuole”. Uhm, no. I contributi sono una finzione che serve a tenere in equilibrio attuariale un sistema che resta a ripartizione. Chi vuole uscire prima, data la speranza di vita, deve spesso accettare un tozzo di pane e una lisca di pesce. Ma che problema ci sarà mai?, si replica, soprattutto dai dintorni dei sindacati. Togliamo l’assegno pensionistico minimo (vitale) per poter uscire, mettiamo la differenza a carico della fiscalità generale, detta anche “assistenza”, e poi chiediamone la separazione dalla previdenza. In caso, possiamo sempre invocare una patrimoniale al grido “facciamo come la Svizzera“, e vissero tutti felici e contenti. La notizia di questi giorni è che i nostri eroi non trovano l’accordo ma soprattutto non trovano i soldi per la loro riforma delle pensioni dei sogni, quindi pare che la lattina verrà calciata in tribuna per il 2023, confermando Quota 103, con soglia minima di età, e mettendo qualche ulteriore feritoia che lasci passare solo un pugno di fortunati alla volta della terra promessa.

C’è poi l’altra riforma dei sogni, quella del fisco. In sintesi, pareva si andasse verso tre aliquote e poi, “a tendere” verso la leggendaria flat tax per tutti, come si ordinerebbe al bar dopo un giro di troppo di cicchetti. Ora iniziano a circolare le prime bozze, che per definizione ed esigenza politica sono sempre e comunque apocrife e scritte da manine che vogliono male al signor governo, e pare che le tre aliquote siano sparite. Sostituite, tu guarda, dal tromboneggiante principio della “revisione e graduale riduzione dell’Irpef, nel rispetto del principio di progressività e nella prospettiva della transizione del sistema verso l’aliquota impositiva unica”. Amen. Una aliquota is megl’ che three.

Per tenere tranquille le speranzose folle, soprattutto quelle dei dipendenti, viene sventolata la carota di una flat tax incrementale anche per loro, dopo quella che quest’anno servirà agli autonomi per fare emergere un po’ di nero in tutta scioltezza e sicurezza. Poi, ricordate che ci sono le tax expenditures da sfoltire e forfettizzare ma tranquilli: non toccheremo mutui prima casa, salute e detrazioni per lavoro dipendente. Quello che ci resta, quindi, servirà a pagare un caffè o una pizza con gli amici. Ma avremo tagliato le tasse con una riforma epocale. Per ora, attendiamo la presentazione solenne, la legge delega, l’avvio dell’iter parlamentare e il tratteggio della tempistica dei decreti attuativi. Ve lo ripeto: non trattenete il respiro, schiattereste molto prima di vedere la “riforma” completata. Che altro? Servono soldi per rinnovare i sostegni energetici, dal primo aprile. Non è uno scherzo. Nel frattempo, c’è da negoziare la riforma del patto di stabilità, coi tedeschi che puntano i piedi, e avremmo da ratificare il MES. Tutta roba spazzata sotto il tappeto, mentre berciavamo dall’opposizione sulle accise da azzerare. Eh sì, decisamente non siamo state fortunate ma credo che la situazione “senza precedenti” del mondo c’entri relativamente poco. Però possiamo rifarci con la messa a gara delle concessioni balneari, situazione e contesto che mi ricordano un po’ il meme del cane che sorseggia il caffè nella casa che brucia. O con le peculiarità degli storici immobili italiani, che non si possono assoggettare sic et simpliciter (per essere classici) a queste stravaganze di coibentazione e altre ubbie di questi barbari europei senza bidet.

Quindi sì, onorevole presidente Meloni. Lei può con fiducia ringraziare il suo Dio “per essere costretta a fare delle scelte, con la possibilità di dare a questa nazione una politica industriale, economica, un’idea per le riforme”. Comprendo anche che questo “non aiuta il consenso”, ma ora tocca a lei: si riscatti, faccia delle scelte. Come ha promesso con grande coraggio durante la presentazione del libro di Padre Antonio Spadaro sulla politica internazionale del Vaticano sotto Papa Francesco. E si sforzi di lasciarsi per sempre alle spalle quel vittimismo che è da sempre la sua cifra stilistica. Fare le vittime e scolarsi amari calici sono contraddizioni che non aiutano ad ascendere al pantheon d’aaa nazzzione. Dio, Patria, Famiglia e Realtà.

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