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Martedì, 6 Giugno 2023

Andrea Perniciaro

Direttore Responsabile Sicilia e Calabria

I genitori, l'autismo e la consapevolezza di essere soli

Li chiamano bambini "speciali". In realtà di speciale non hanno nulla. Non sono supereroi, semmai sono bimbi che presentano una compromissione delle abilità sociali e del linguaggio, oltre a vari disturbi del comportamento. Questa è la definizione corretta per descrivere i bambini autistici, o meglio ancora "affetti da disturbi dello spettro autistico". Ma nonostante la teoria del determinismo linguistico (secondo la quale è il linguaggio a definire la realtà) sia stata accantonata da tempo, in Italia ci piace addolcire la pillola piuttosto che definire (e affrontare) le difficoltà per quello che sono. Oggi tutto si colora di blu per la giornata mondiale della consapevolezza sull'autismo. Consapevolezza, già. Ma domani?

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Consapevolezza che per i genitori arriva solitamente nella prima infanzia del bambino. Quando aspetti con ansia che tuo figlio pronunci quella parolina magica: mamma (o papà). Ma che passa il tempo e non arriva. Che sorrida quando ti veda. O che giochi con gli altri bambini. E allora ti trovi davanti alla cruda realtà: hai un figlio con un disturbo dello spettro autistico. Puoi scegliere di darti la colpa (ma non è mai colpa tua) oppure puoi scegliere di prendertela col vaccino (e non è nemmeno colpa del vaccino) o, soluzione ideale, puoi accettare la realtà e iniziare una battaglia insieme a tuo figlio. Non cercando di portarlo nel tuo mondo, ma cercando di entrare tu nel suo. Quello che non sai, ed è la cosa che ti farà più incazzare, è che dovrai iniziare una battaglia contro l'indifferenza delle istituzioni e la burocrazia. 

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Perché, dopo lo shock iniziale, inizi a sbracciarti e capire cosa devi fare per aiutare tuo figlio. La prima cosa che ti consigliano è di rivolgerti al sistema sanitario nazionale. E qui inizi a scontrarti con le assurdità della burocrazia. Se prima del Covid i tempi di attesa erano lunghi, ora sono diventati biblici. Per capire: dalla prenotazione di una visita alla diagnosi possono passare anche due anni. Poi c'è l'Inps, dove una commissione medica - dentro la quale spesso non c'è nessun psicoterapeuta - deve certificare che il bambino può avere diritto alla legge 104 che regolamenta il sussidio e l'assistenza per i disabili. Solo dopo quest'ultimo passaggio il piccolo può accedere alle terapie nei centri convenzionati - dalla psicomotricità alla logopedia - e avere diritto all'insegnante di sostegno e all'assistente alla comunicazione. Tra la diagnosi e la convocazione per la visita può passare anche un anno.

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E nel frattempo? Ti trovi a smanettare su Google o a rivolgerti ad amici. O ad amici di amici. E scopri che iniziare le terapie precocemente può portare dei benefici a tuo figlio, che si porterà dietro anche in età adulta. Ma devi fare tutto privatamente. Psicologia comportamentale, logopedia, psicomotricità. Almeno 4/5 ore a settimana. Costo di un'ora? Si va dai 35 ai 50 euro. Sono 200/250 euro a settimana, mille al mese. Se te lo puoi permettere, lo fai. Perché poi senti la parola papà (o mamma) pronunciata da tuo figlio e pensi che siano i soldi meglio spesi al mondo. Ma ci sono famiglie, e sono tante, che invece non possono. Con bambini che dai 2 ai 5 anni non fanno nulla. Neanche l'asilo, perché quelli privati spesso non hanno personale specializzato. Un sacco di tempo sprecato, che si ripercuote sulle funzionalità del piccolo.

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E anche quando riesci a entrare nel circuito del sistema sanitario non sono tutte rose e fiori. Per iniziare le terapie nei centri convenzionati ci sono attese di mesi. Poi quando è il tuo turno ricevi la chiamata a volte senti dirti: "Abbiamo uno spazio di 45 minuti tra le 10 e le 10,45 in via Vatteneapesca", "Eh ma siamo a 10 chilometri da casa mia, e io a quell'ora lavoro", "Ci spiace ma non abbiamo altro". Consapevolezza. Di essere abbandonato e di dovercela fare solo con le tue mani. L'aiuto dello Stato si ferma a un sussidio di 500 euro al mese e a 18 ore di permesso lavorativo (solo per un genitore). 

Giornata mondiale autismo

Capitolo scuola. Un bambino autistico ha diritto all'insegnante di sostegno (20 ore a settimana), all'assistente alla comunicazione (10) e all'assistente igienico sanitario. Si procede con l'iscrizione e arriva il primo paradosso: l'insegnante di sostegno viene assegnato solo per 10 ore. "Tranquillo - ti dice sempre qualcuno - tanto fai ricorso e te ne danno 20". Mentre cerchi un avvocato specializzato pensi di essere sulla luna. No, sei in Italia. E poi c'è l'assistente alla comunicazione, una figura specializzata che dovrebbe aiutare l'alunno nel compito di accrescere e sviluppare le proprie potenzialità cognitive, relazionali e sociali attraverso l'esperienza dell'apprendimento. Dovrebbero iniziare il primo giorno di scuola, non arrivano mai prima di metà ottobre. Sono pagate poco e male. Spesso rinunciano all'incarico perché precari e senza garanzie, perché hanno vinto il concorso per i docenti di sostegno o semplicemente perché hanno scelto di fare un altro lavoro più sicuro. Perché non hanno un vero e proprio contratto coi Comuni ma un "patto di adesione". Sono pagate a ore e non hanno diritto a malattia, maternità o ferie. E quindi per esempio a Palermo, succede che a marzo ci sono 300 bambini che non hanno l'assistente alla comunicazione. 

Pagati poco e tardi, gli assistenti alla comunicazione rinunciano e i bambini disabili restano "soli" a scuola

Eppure è la scuola il luogo simbolo dell'inclusione. Ma abbiamo uno stato miope che da anni decide di non investire sulla scuola. Anche sul fenomeno dell'autismo, che non è per nulla secondario in Italia visto che secondo le ultime ricerche quasi un bambino su 80 presenta disturbi dello spettro autistico. Oltre al personale specializzato si potrebbero portare avanti dei progetti con le associazioni, per spiegare ai piccoli alunni quali sono le difficoltà di quei compagnetti "strani" che hanno in classe. Come accettarli e come aiutarli. Probabilmente avendone consapevolezza sin dalla tenerà età, crescendo eviterebbero di bullizzarli, insultarli o isolarli. E lo Stato aiutandoli fin da piccoli tra 15/20 anni si ritroverebbe con più adulti autistici indipendenti e inseriti nel tessuto sociale. No, più facile chiamarli "speciali". 

Oggi durante le manifestazioni che si svolgeranno in tutte la parti d'Italia, da Bolzano ad Agrigento, sentirete tanti ministri, assessori, consiglieri comunali parlare del fenomeno. Parleranno di consapevolezza, di inclusione, di progetti. Parole che raramente si trasformeranno in fatti. Ad ascoltarli ci saranno bambini e genitori. Mamme e papà che per un giorno hanno l'illusione di essere ascoltati. Capiti. Intorno tutto blu. Ma domani, quando si sveglieranno accanto a loro figlio, tornerà di nuovo tutto nero.  

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