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Giovedì, 18 Aprile 2024

L'editoriale

Maria Cafagna

Editorialista

Lo sapevamo tutte che Giulia Tramontano non sarebbe tornata a casa

Qualche giorno fa sono stata contattata in privato su Instagram da una persona che mi chiedeva di condividere un appello per ritrovare una ragazza scomparsa. “Ti prego, è incinta” mi ha scritto quella persona. Lì per lì nella mia testa è passato un pensiero terribile che ho scelto di scacciare via subito; ho sperato invece che la ragazza si fosse presa qualche giorno per sé, una vacanza alle terme o in una spiaggia assolata dal primo sole di maggio dopo settimane di pioggia. Ma l’immagine di lei sulla spiaggia, una sdraio a righe bianche e blu e una grande borsa di paglia con dentro solo libri e riviste, è stata soppiantata di nuovo da quel brutto pensiero. Ho scelto di non pensarci, ho detto: “tornerà scusandosi di non essersi fatta sentire, forse il cellulare le è caduto nella sabbia, sui ciottoli oppure nella piscina delle terme”. Ho detto, tornerà, starà bene. Ma quel pensiero brutto tornava ogni tanto a fare capolino.

Questa mattina mi sono svegliata con la notizia del ritrovamento del cadavere di quella ragazza. Si chiamava Giulia Tramontano, aveva 29 anni, era al settimo mese di gravidanza. Il suo compagno, Alessandro Impagnatiello, ha confessato dopo che gli inquirenti avevano iniziato a raccogliere prove schiaccianti contro di lui.

Già durante la trasmissione Chi l'ha visto molte persone, soprattutto donne, avevano scritto sui social di temere il peggio: troppi casi simili di donne “scomparse” si sono rivelati poi femminicidi ad opera, nella maggior parte dei casi, di fidanzati, mariti e compagni. La mattina successiva, quei sospetti sono diventati reali.

Su Twitter ha iniziato a circolare l’hashtag #losapevamotutte in cui le utenti esprimono la tristezza e la rabbia per l’ennesimo femminicidio. “Non siamo esagerate, non siamo malfidate, non siamo viziate, non siamo frigide, non siamo incapaci di divertirci. Se rispondiamo male ai complimenti, se non vi vogliamo intorno, se non ci fidiamo è perché abbiamo paura”, scrive Tania; “i femminicidi sono solo la punta dell’iceberg. Ogni giorno le donne sopportano abusi e sopraffazioni. Accade ovunque, anche nei luoghi insospettabili” scrive Matilde D’Errico, autrice e regista del programma Amore Criminale; “La cosa terribile del fatto che #losapevamotutte è rendersi conto ogni giorno di più del clima e della cultura di questo paese che hanno reso così facile per un uomo pensare che la prima soluzione ai suoi problemi sia uccidere una donna” scrive Teresa. 

Sono centinaia i tweet di questo tenore (l’hashtag #losapevamotutte nel momento in cui scrivo è in trending topic) a formare una catena infinita di testimonianze di donne spaventate, turbate, comunque sempre all’erta per non essere umiliate, sopraffatte, ferite. Uccise. 

Donne che per sopravvivere imparano a non fidarsi nemmeno dell’uomo che hanno scelto come compagno perché nella nostra esperienza, nella nostra cultura, nella nostra storia collettiva e personale è scritto che dobbiamo avere paura sempre, in strada e in casa, dello sconosciuto e del marito, del capo e del collega.
Viviamo in una costante situazione di terrore che qualcosa di brutto possa accaderci, che il personale dell’ospedale dove siamo andate a curarci non tenga conto del nostro dolore, che l’ostetrica che ci sta facendo partorire ci faccia del male (ce la siamo già scordata la violenza ostetrica?) che l’uomo che abbiamo scelto per diventare il padre di nostro figlio non solo si riveli una persona orribile, ma che possa addirittura farci del male.

Noi donne lo sappiamo e casi di cronaca come quello di Giulia Tramontano vengono puntualmente a ricordarci non solo di essere in pericolo, ma che nulla di concreto si sta facendo per fermare questa strage di donne.

Lo sapevamo tutte. Ed è ora che se ne accorga anche Giorgia Meloni

La politica fino in questo momento si è occupata di inasprire le pene intervenendo, di fatto, quando il femminicidio è già compiuto; ma al netto di qualche panchina verniciata di rosso, dov’è la prevenzione? Dove sono i corsi nelle scuole? Dove si sta intervenendo sul piano culturale, sociale, economico per fermare la violenza machista?

A cosa ci serve una donna presidente del consiglio (che nemmeno vuole farsi chiamare come tale preferendo il maschile) se tutto quello che le interessa sul fronte della famiglia è minacciare la comunità LGBTQI+?

Cara Meloni, non sono gli omosessuali ad ammazzare le donne, non è la gestazione per altri a infliggerci le coltellate che ci uccidono, non è il politicamente corretto a toglierci la nostra libertà. Sono gli uomini, è il silenzio dei loro complici, è l’accondiscendenza dei loro comportamenti deprecabili e disonesti. Questa per le donne è la vera emergenza. Lo sapevamo tutte, lo temevamo tutte, ora è il momento che se ne accorga anche Lei.

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