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Sabato, 20 Aprile 2024
Economia

Che fine ha fatto la transizione "green" promessa dall'Ue

L'ambizioso piano dell'Unione europea per raggiungere le emissioni zero nel blocco entro il 2050 è sotto attacco da parte di governi e grande industria, ma nel complesso sta reggendo bene i colpi

Quando nel 2019 la Commissione europea lanciò il suo Green Deal promise che l'Unione europea sarebbe diventato il primo blocco di paesi al mondo ad azzerare le emissioni entro il 2050. L'urgenza di un tale obiettivo era data dalle previsioni catastrofiche per il pianeta in assenza di un'azione incisiva.

L’Europa, secondo quanto prevedeva Bruxelles, rischia 400mila morti premature all’anno per via dell’inquinamento, di avere 2,2 milioni di persone esposte a inondazioni ed eventi climatici estremi, l’estinzione del 16% delle specie animali e a livello economico perdite di 190 miliardi di euro l'anno. Il riscaldamento climatico avrebbe poi spinto alle porte dell'Ue centinaia di migliaia di migranti verso le porte dell’Ue in fuga dai paesi a Sud del mondo affetti da siccità e carestie.

Il Green Deal era pensato proprio per evitare questo scenario e la pratica è stata affidata al potente vicepresidente della Commissione, l'olandese Frans Timmermans, che sta supervisionando la sua attuazione.

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Per dimostrare di fare sul serio l'esecutivo comunitario ha fatto in breve tempo seguire al piano - che dava solo l'indirizzo generale da seguire - tutta una serie di misure legislative per dare concretezza alla propria azione. Si è iniziato nel 2020 con il Fit for 55 "Pronti per il 55", il pacchetto di riforme per raggiungere appunto la riduzione del 55% delle emissioni (Timmermans sostiene adesso addirittura il 57) entro il 2030. Un obiettivo piuttosto ambizioso, anche se criticato dagli ambientalisti che sostengono che sia necessario arrivare almeno al 65%.

Ma la guerra in Ucraina ha fatto saltare (almeno in parte) i piani ed è stata una motivazione (o una scusa) per diversi governi per frenare sulle ambizioni di Bruxelles e provare ad annacquare parti del piano. Per sopperire alla riduzione delle forniture di gas russo l'Italia ha allungato la vita dei suoi impianti a carbone. Lo stesso ha fatto la Germania che ha anche posticipato l'uscita, già decisa, dal nucleare e ha firmato accordi decennali con produttori di gas in Africa e Medio Oriente e ha costruito terminali per ricevere carichi di Gnl dall'estero. Non esattamente quello che chiedeva il Green Deal.

La crisi che non c'è

"Ma non c'è nessuna crisi energetica, c'è una crisi dei prezzi, anzi una crisi dei combustibili fossili, e la sua causa principale non è la guerra, ma la dipendenza stessa dalle fonti fossili" spiega a Today.it Chiara Martinelli, direttrice di Can Europe, organizzazione ombrello delle Ong ambientaliste europee, di cui fanno parte tra gli altri anche Greenpeace e Wwf. "Se vogliamo rispondere quindi a questa crisi dobbiamo andare a colpire le sue cause e capire che non possiamo investire in infrastrutture per le energie non rinnovabili, come stanno facendo alcune nazioni anche grazie alla scusa della guerra, ma dobbiamo sostenere la transizione energetica, sennò non ne usciremo mai veramente" chiosa Martinelli.

Il Green Deal è stato "sicuramente un programma senza precedenti che ha il merito, per prima volta nell'Ue, di aver aver avuto un approccio olistico, sistemico, agli interventi ambientali. Non limitandosi a un solo settore. E questo va riconosciuto e protetto", sostiene, ma a suo avviso anche se "l'architettura è giusta bisogna fare di più e il Green Deal deve diventare migliore, più veloce e più equo". Nonostante le proteste delle grandi imprese e di diverse capitali che, sostenendo che serva più tempo ai sistemi economici e industriali per adattarsi alle nuove regole, stanno tentando di indebolire diversi ambiti del Green Deal. Per il momento l'impianto generale del piano sembra tenere e sopravvivere agli attacchi.

Automobili

L'ultimo esempio di un tentativo di ammorbidimento degli obiettivi è stato il blocco da parte di Germania e Italia del regolamento che impone l'addio alle auto inquinanti dal 2030. Berlino lo ha tenuto in ostaggio per settimane, grazie all'appoggio anche del nostro Paese fino a quando non è stata inserita un'eccezione per i veicoli che funzionano esclusivamente con gli eFuel, carburanti sintetici che vengono creati 'riciclando' la C02 catturata nell'atmosfera, e che piacciono alle case automobilistiche di lusso come Ferrari e Porsche che non vogliono rinunciare ai loro motori a combustione. Il nostro Paese ha provato a inserire una deroga anche per i biocarburanti, ma non ci è riuscito (almeno per il momento). Di fatto comunque si tratta di di un cambiamento che non distrugge l'intero impianto e che difficilmente porterà alla sopravvivenza delle auto con motori a scoppio.

Rinnovabili

L'ultimo pacchetto legislativo portato a termine è quello delle rinnovabili. Questa settimana parlamento e Consiglio Ue hanno trovato un accordo sull'obiettivo di raddoppiare la quota di energie verdi nei consumi energetici degli Stati entro il 2030. Un obiettivo che coinvolgerà tutti i settori, dall'industria ai trasporti, passando per gli edifici. Si tratta di un target vincolante del 42,5% di rinnovabili nei consumi entro la fine del decennio (il precedente era del 32%), appunto il doppio rispetto al livello attuale dei 27 Stati membri, che è intorno al 22%. In Italia, nel 2021, questa quota era del 19%.

Scambio delle emissioni

Un accordo di massima, ma che ancora deve diventare legislativo, è stato raggiunto tra Aula di Strasburgo e governi poi sulla riforma del sistema di scambio di quote di emissione dell'Ue (l'Ets, Emission trading system), il sistema per cui l'industria pesante ha dei limiti di inquinamento concesso, ma può acquistare da chi produce meno C02 delle quote non utilizzate, premiando le industrie verdi e punendo quelle meno ecologiche. Almeno sulla carta. Nella realtà grazie alle 'free allowances', quote gratuite concesse dagli Stati, le imprese non pagano quasi nulla e anzi spesso pur inquinando si ritrovano quote avanzate che possono rimettere sul mercato e guadagnare. Il Green Deal dispone la fine, seppur graduale (entro il 2034) delle free allowances, nella gran parte dei settori industriali. Inoltre introduce il Cbam (carbon border adjustment mechanism), per le importazioni da Paesi terzi. In pratica per evitare concorrenza sleale, le imprese extracomunitarie che non rispettano i nostri standard ambientali, saranno tenute a pagare un dazio sulle loro esportazioni nell'Ue che è proporzionale al loro livello di emissioni eccedenti quelle concesse in Europa. 

Case e risparmio energetico

Ha fatto molto discutere in Italia (ma non altrettanto nel resto del blocco europeo), la cosiddetta direttiva case che impone la ristrutturazione di gran parte degli edifici, per assicurare che consumino di meno e soprattutto per evitare gli sprechi di energia. "È importante investire in efficienza energetica e risparmi, perché non è ancora possibile alimentare gli edifici al 100 percento con le rinnovabili, in questo senso la direttiva sull'efficientamento dei palazzi ci permette di fare grossi passi avanti", sostiene la direttrice del Can Martinelli. L'obiettivo di Bruxelles è che gli edifici attuali raggiungano la classe di prestazione energetica E entro il 2030, e D entro il 2033 e che gli edifici di nuova costruzione siano a emissioni zero a partire dal 2028. Sono presenti però tutta una serie di deroghe che riguardano soprattutto palazzi storici, case per le vacanze e case già occupate.

L’attacco alle case degli italiani che non c’è: cosa dice davvero la direttiva Ue sulle ristrutturazioni edilizie

Il fondo sociale

Il Green Deal ha previsto un fondo per aiutare le famiglie a far fronte ai costi della transizione, che comunque ci saranno e ricadranno su tutti. Il Climate Social Fund avrà a disposizione nel periodo 2026-2032 circa 86,7 miliardi di euro e di questi, circa 9 miliardi, dovrebbero andare all'Italia, che sarebbe il terzo beneficiario dello strumento. "L'Ue poteva fare di più e rendere il Green Deal più equo", denuncia Martinelli sottolineando che "il valore equivalente delle quote gratuite dell'Ets per il periodo 2021-2030 è di ben 416 miliardi di euro. Se invece di concedere il permesso alle industrie di inquinare le tassassimo, potremmo usare questi soldi per le politiche sociali legate alla transizione energetica".

L'agricoltura non si tocca

Uno dei campi in cui il Green Deal rischia di essere più indebolito è quello dell'agricoltura. Si tratta di un campo in cui le lobby del settore sono molto forti e stanno facendo pressioni fortissime sui governi affinché riducano le proprie ambizioni. La strategia agricola Farm to fork (Dai campi alla tavola) è finita sotto attacco da parte di delle grandi imprese: lamentano che gli obiettivi di riduzione delle emissioni degli allevamenti e dell'utilizzo di pesticidi siano troppo stringenti. La Commissione europea ha proposto di dimezzare l'uso di pesticidi e delle sostanze più pericolose entro il 2030, ma è scattata la rivolta delle organizzazioni agricole e dei gruppi parlamentari di destra e centro-destra che si stanno opponendo a Strasburgo, e così l'intervento sta procedendo in maniera incredibilmente lenta e ancora non è stato approvato.

In Parlamento lo scontro è particolarmente acceso con le commissioni Agricoltura e Ambiente (entrambe incaricate di discutere il progetto) che hanno posizioni lontanissime, con quella Ambiente che addirittura vorrebbe alzare la riduzione all'80%, mentre l'altra che vorrebbe abbassarlo. Anche in Consiglio Ue gli Stati hanno espresso varie perplessità e hanno chiesto uno studio di settore. Il timore è che si rimandi tutto alla prossima legislatura, quindi dopo il 2024. Discorso simile per gli allevamenti intensivi, che Bruxelles vorrebbe trattare alla stregua delle industrie per quanto riguarda le emissioni, imponendo quindi limiti e minacciando multe per chi no rispetta gli standard. Ma i governi hanno già modificato, raddoppiandole, le soglie Uba (unità di bestiame adulto) che stabiliscono quali tipologie di stalle possano ricadere nel campo di applicazione della direttiva. Ad esempio per le galline si è passati da circa 10mila a oltre 21mila animali, tagliando fuori così dall'ambito di applicazione delle nuove regole un grandissimo numero di strutture. 

Gli ultimi arrivati

Gli ultimi 'figli' del Green Deal sono il 'Net Zero Industry Act' e il Raw Materials Act', il pacchetto di proposte con cui la Commissione europea intende rispondere all'Inflation Reduction Act (Ira), il maxi piano degli Stati Uniti di 375 miliardi di dollari per la transizione ecologica e digitale. Il macro obiettivo è produrre in Europa entro il 2030 almeno il 40% della tecnologia pulita necessaria alla svolta verde. Per riuscirci l'Ue è pronta a tutta una serie di agevolazioni per quei progetti che includano tecnologie definite strategiche: dall'eolico al fotovoltaico, dal biogas all'elettrico. In funzione anti cinese si prevede poi che non più del 65% degli acquisti di materie prime strategiche (anche trasformate) provenga da un singolo Paese terzo. La speranza è sostenere la costruzione nel blocco di pannelli fotovoltaici, visto che al momento tre pannelli solari su quattro che importiamo nell'Ue provengono da Pechino. 

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