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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Abbattiamo gli altarini della camorra: un volgare simulacro di potere

Nella giornata di oggi, i genitori di Emanuele Sibillo, ucciso in un agguato di camorra nel luglio 2015, sono stati indagati dalla Direzione Distrettuale Antimafia per estorsione, violenza privata e associazione mafiosa in concorso

I genitori di Emanuele Sibillo, ucciso in un agguato di camorra nel luglio 2015, sono indagati dalla Direzione Distrettuale Antimafia per estorsione, violenza privata e associazione mafiosa in concorso. Stando a quanto si apprende, il procedimento parte dalla creazione del famoso altarino (rimosso nell’aprile scorso) con le ceneri del baby boss. La struttura in questione veniva realizzata in uno spazio comune nel cortile interno dello stabile dove risiede la famiglia, al civico 26 di via Santissimi Filippo e Giacomo. Gli inquirenti, fin dall’inizio di questa storia, non hanno avuto il minimo dubbio: l’altarino rappresenta un elemento d'identificazione e rafforzamento del gruppo criminale, nonché luogo di commissione di reati. Vincenzo Sibillo, 55 anni, è difeso dagli avvocati Rolando Iorio del foro di Avellino e Dario Carmine Procentese del foro di Napoli. La moglie, Anna Ingenito, 50 anni, è difesa dall'avvocato Iorio.

La morte del baby boss e la trasformazione in “ES17”

Emanuele Sibillo trovava la morte in un agguato avvenuto nel 2015. Era a capo, insieme al fratello Pasquale, di un sottogruppo criminale fortemente collegato al clan Contini e all'Alleanza di Secondigliano. Erano anni caratterizzati dalla faida di camorra contro i Buonerba, vicini al clan Mazzarella. Il 2 luglio 2015 Sibillo fu colpito in via Oronzio Costa. La corsa verso l’Ospedale Loreto Mare fu inutile, Sibillo morì a causa di un'unica pallottola che lo aveva raggiunto alla schiena. Quel brutale agguato diede inizio all’opera di “santificazione popolare” del giovane non ancora ventenne.  Con la sua morte aveva smesso di essere Emanuele Sibillo, per trasformarsi rapidamente in ES17. Un simbolo, appunto. Un santo a cui votarsi e, soprattutto, a cui mostrare devozione. Un percorso sub-culturale vergognoso che, di fatto, non era altro che una ben riuscita operazione di marketing operata dal Sistema.

Soltanto un simulacro del potere camorristico… nulla che possa meritare rispetto

L’infestazione degli “altarini di camorra” che sbucano come funghi per le strade di Napoli è ben nota ma, ovviamente, nessuno ha mai pensato di sradicare il problema alla radice, attraverso un percorso di crescita culturale. Nessuno dei residenti ha cercato di ELIMINARE quelle ignobili strutture. Soltanto pochi condomini avanzarono all'amministratore "timide rimostranze" relative alle spese per i costi d'illuminazione della cappella. Ottenendo, neanche a dirlo, soltanto goffi tentativi di minimizzare il problema. Una condotta che, chiaramente, rappresenta il segno tangibile della forza d'intimidazione del clan. I residenti hanno dovuto tollerare non soltanto la costruzione del manufatto ma anche e soprattutto una "perdurante e tangibile evocazione della presenza del clan, nella figura di Emanuele Sibillo, in quel territorio diventato nel tempo anche meta di pellegrinaggio".

Smettiamola di associare quegli ignobili altarini a qualcosa di religioso. Non sono altro che un volgare simulacro di potere camorristico. Nulla più di una marcatura territoriale voluto dal clan che l'ha eretto. Vanno abbattuti TUTTI, dal primo all’ultimo.

È questa - e questa soltanto - la motivazione che ha spinto Vincenzo Sibillo e Anna Ingenito a realizzare la pomposa cappella in un luogo del tutto inappropriato ad accogliere siffatta indecenza. Certamente non per dimostrare sentimenti di pietà per un giovane morto ammazzato. L’obiettivo è sempre stato quello di far sentire l’opprimente presenza del sodalizio criminale e la sua capacità di sopraffazione, unendola - infine - al simbolo religioso dell'immagine della Madonna… e siamo certi che, se quest’ultima avesse avuto modo di dire la sua, non avrebbe certamente gradito la nuova collocazione.

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