Tutti i segreti di Matteo Messina Denaro: il boss parlerà?
I carabinieri del Ros hanno finalmente arrestato il boss di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro. Ma nelle storie di mafia, le inchieste non si concludono con la cattura del ricercato: di solito cominciano proprio da lì. È successo venerdì 15 gennaio 1993 con Salvatore Riina. Si è ripetuto martedì 11 aprile 2006 con l'incarcerazione di Bernardo Provenzano. Succederà sicuramente ora, con la fine dell'ultima latitanza di lungo corso: inseguito da tre decenni, Messina Denaro, 60 anni, è stato fermato in coda a uno sportello della clinica Maddalena a Palermo e poi trasferito da una caserma dell'Arma senza nemmeno le manette.
Il boss ha alcuni ergastoli da scontare: dall'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell'acido nel 1996 perché figlio di un collaboratore di giustizia, agli attentati di Capaci, via D'Amelio a Palermo, Roma, Firenze, Milano e ancora Roma, nel biennio di sangue 1992-93. Morirono i magistrati Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, Paolo Borsellino, otto agenti di scorta e altre dieci persone, tra le quali due sorelline di 9 anni e 50 giorni. Decine i feriti, come il giornalista Maurizio Costanzo e la compagna, Maria De Filippi. Queste però sono le certezze confermate dalle sentenze. A Messina Denaro si spera chiedano conto anche dei casi mai risolti: segreti che, operando ai vertici di Cosa nostra accanto a Riina e Provenzano, deve certamente conoscere. Qui di seguito i principali, anche i meno famosi.
L'agenda rossa scomparsa
La scomparsa dell'agenda rossa di Paolo Borsellino, il diario personale sottratto dalla sua borsa, affidata a funzionari dello Stato dopo la strage del 19 luglio 1992. La soffiata alla mafia che ha provocato la morte di Luigi Ilardo nel 1996, il collaboratore che stava portando i carabinieri all'arresto del boss Provenzano con dieci anni di anticipo. L'intervento di alcuni funzionari di polizia nel depistaggio del falso collaboratore Vincenzo Scarantino, nelle indagini e nel processo sulla strage di via D'Amelio. Il doppio ruolo a Palermo del prefetto Arnaldo La Barbera, come poliziotto e agente del Sisde. L'attività occulta in Sicilia e nel resto d'Italia dell'ex agente di polizia Giovanni Aiello. La morte dell'urologo Attilio Manca, archiviata come overdose, nonostante il volto sfigurato dalle botte e le tante testimonianze, secondo le quali il medico non era affatto un tossicomane.
Se il boss arrestato facesse chiarezza su questi misteri, ne uscirebbe un'Italia migliore. L'ultimo, la morte del dottor Manca, è sicuramente una delle più vigliacche fra le operazioni occulte, messe a segno da quella diabolica alleanza di interessi che per tre decenni, fin dall'arresto di Totò Riina, ha unito i silenzi della mafia all'attività di alcuni apparati dello Stato. Alleanza di cui, dopo la cattura di Bernardo Provenzano, anche Matteo Messina Denaro è stato garante.
La morte di Attilio Manca
Attilio Manca, 34 anni, originario di Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di Messina, venne trovato morto la notte tra l'11 e il 12 febbraio 2004 nella sua casa di Viterbo, dove lavorava come urologo nell'ospedale della città. L'ipotesi, avvalorata dai fatti e da una relazione della Commissione parlamentare antimafia, è che il medico, su richiesta di un conoscente, abbia visitato un paziente siciliano. E abbia riconosciuto in lui Provenzano, durante la sua latitanza e prima dell'intervento in Francia per un tumore alla prostata.
La morte del dottor Manca è ancor più vigliacca, perché la messinscena di siringhe fatta trovare nel suo appartamento infanga ogni giorno che passa la sua memoria. Una volta i mafiosi si facevano chiamare uomini d'onore, anche se nella loro attività criminale, militare e politica non c'era nulla di onorevole. La malattia oncologica che ha colpito Matteo Messina Denaro potrebbe non lasciargli molto tempo di vita: che almeno sia uomo e, visto che Riina, Provenzano e tanti altri non vivono più su questa terra, abbia il coraggio e ci aiuti a smontare la diabolica alleanza di cui è stato uno dei vertici. Lo faccia almeno per Caterina e Nadia Nencioni, le due bambine che ha ucciso in via dei Georgofili a Firenze. E per la signora Angela Gentile, la mamma del dottor Manca, che come tante altre madri, mogli e figlie del nostro Paese, attende da anni che qualcuno finalmente racconti la verità.