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Sabato, 9 Dicembre 2023

Charlotte Matteini

Opinionista

Il Governo Meloni punta a creare ancora più precari

Dopo la reintroduzione dei voucher, il Governo Meloni si appresta a preparare un’altra stangata per i lavoratori. Il Governo più amato da aziende e imprenditori, infatti, sta pensando di modificare l’impianto del Decreto Dignità approvato nel 2018 durante il Conte I – e che prevedeva la riduzione del numero e della durata delle proroghe dei contratti a tempo determinato – attraverso l’introduzione di correttivi che permetterebbero di assumere senza causale fino a 36 mesi. In poche parole, si propende per la totale liberalizzazione della flessibilità e precarietà a scapito della stabilità contrattuale e professionale dei lavoratori.  

A una simile sospensione del Decreto Dignità siamo già stati abituati in passato: durante il periodo dell’emergenza pandemica, infatti, per oltre un anno è stato possibile prorogare contratti e procedere a rinnovi senza causale per 24 mesi con lo stesso datore di lavoro. Passata l’emergenza sanitaria, però, il nuovo esecutivo sembra intenzionato a cancellare quanto di buono fatto in passato nel tentativo di arginare il fenomeno del ricorso alla contrattualizzazione a tempo determinato senza quasi soluzione di continuità. Tutto questo nonostante l’Italia, dati alla mano, soffra di un evidente problema di precarietà lavorativa che tocca professionisti di tutte le età, dai più giovani ai meno giovani.  

7 lavoratori su 10 a tempo determinato

Secondo i dati dell’ultimo rapporto Inapp, infatti, dei nuovi contratti attivati nel 2021, ben sette su dieci erano a tempo determinato e solamente il 35% dei lavoratori atipici di norma passa ad impieghi stabili nell’arco di tre anni. L’Italia inoltre ha un evidente problema di bassi salari, assolutamente incomparabili a quelli di altri Paesi europei: il 10,8% dei lavoratori italiani può essere considerato un working poor e negli ultimi 30 anni l’Italia è l’unico Paese di tutta l’area Ocse ad aver visto diminuire i salari (-2,9%) in controtendenza rispetto, per esempio, a quelli francesi e tedeschi che sono saliti rispettivamente del +33,7% e del +31,1% nello stesso periodo storico. 

Se da un lato questo esecutivo guarda a riforme che mirano a riportare in auge un assetto che si sperava fosse stato archiviato, dall’altra parte del Mar Mediterraneo, invece, ci sono Paesi che stanno provando a restituire dignità al lavoro approntando riforme che favoriscano la continuità professionale e salariale. È il caso della Spagna, che a fine 2021 ha approvato una riforma del lavoro che ha di fatto sfavorito il ricorso ai contratti precari e nel giro di un anno ha dato risultati straordinari. In Spagna, infatti, i contratti precari ante-riforma erano in media il 30% del totale. Un anno dopo, la percentuale è crollata al 15,6% e si è registrato un costante e cospicuo aumento dei contratti a tempo indeterminato soprattutto a favore della fascia più giovane della popolazione. La ricetta? Molto semplice: sanzioni molto più severe per punire gli abusi e aumento dei costi per i datori di lavoro che vogliano stipulare un contratto precario.  

Sempre più contratti flessibili

Se è vero che un solo anno è troppo poco per valutare gli effetti di una riforma di simile portata, è anche vero che nei primi 12 mesi queste modifiche hanno dato risultati estremamente incoraggianti e decisamente opposti rispetto a quelli prospettati dai detrattori che per mesi hanno sostenuto che avrebbe portato a un importante perdita di posti di lavoro.  

Nonostante l’Italia abbia un mercato molto simile a quello spagnolo ante-riforma per quanto riguarda il ricorso a contratti atipici e precari, l’attuale Governo sembra interessato a perseguire una via totalmente differente, propendendo per riforme che puntino a permettere alle imprese di ricorrere sempre più a contratti flessibili e precari a scapito dei lavoratori. Nelle prossime settimane sarà sempre più chiara la china che il Governo Meloni perseguirà in materia di lavoro, le premesse però non sono certo rosee. Non che fosse una novità, era tutto scritto nero su bianco nei programmi elettorali dei partiti che ora costituiscono la maggioranza dell’esecutivo. Difficile stupirsi. 

  

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