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Venerdì, 2 Giugno 2023

L'analisi

Marco Esposito

Giorgia Meloni 'okkupa' la Rai come hanno fatto tutti prima di lei

Come un caterpillar. Il governo di Giorgia Meloni entra a piedi uniti a Viale Mazzini, nominando ai vertici delle testate giornalistiche della Rai e alle direzioni di genere molte persone vicine a Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega Nord. Tutte le previsioni sono state rispettate: Gian Marco Chiocci, molto stimato dalla premier, va a dirigere il Tg1, Antonio Preziosi, vicino a Forza Italia, guiderà il Tg2, mentre al Tg3 rimane Mario Orfeo, in quota “centrosinistra”. Ma il pacchetto di nomine dell’Ad Roberto Sergio è passato solo a maggioranza, con il Cda spaccato; 3 i voti contrari: quelli della presidentessa Soldi, di Francesca Bria (in quota Pd) e del rappresentante dei dipendenti Riccardo Laganà. A favore hanno votato i due membri di Cda di maggioranza (Simona Agnes e Igor De Biasio) e Sergio stesso. Si è invece astenuto Alessandro Di Majo (in quota 5S), cosa che, secondo i maligni, avrebbe permesso al M5S di spuntare qualche poltrona in più.

Nulla di nuovo sotto al cielo

In molti, soprattutto nel Partito democratico, gridano allo scandalo. C’è chi parla di “Telemeloni”, di censura e della voglia dell’esecutivo di silenziare le voci scomode. Oltre alle nomine, a far esplodere le polemiche è arrivata la lettera di dimissioni di Lucia Annunziata. L’ex presidente Rai, eletta nel 2003 in quota centrosinistra, ha motivato il suo addio scrivendo di “non condividere nulla dell’operato dell’attuale governo, né sui contenuti, né sui metodi”, aggiungendo di non condividere “le modalità dell’intervento sulla Rai”. Ma in realtà a guardare con attenzione tutte le nomine – sia quelle delle testate giornalistiche, sia quelle di genere – ci si accorge che non c’è quasi nulla di nuovo sotto il cielo di viale Mazzini. Il sistema è sempre quello: la fedeltà è più importante del merito. E questa tornata di nomine ne è solo l’ennesima conferma. Tutti i partiti che vincono le elezioni – senza esclusione alcuna – cambiano gli assetti dei vertici di Viale Mazzini per inserire i propri uomini. Cartina di tornasole perfetta del sistema è la guida del tg dell’ammiraglia Rai. Il direttore del Tg1, da decenni, è emanazione del partito di maggioranza relativa.

Con la Democrazia Cristiana a dirigere il Tg1 c’era Bruno Vespa (colui che disse "il mio editore di riferimento è la Dc"), con Berlusconi presidente del Consiglio arrivarono prima Carlo Rossella, in seguito alla vittoria del 1995 di Forza Italia, poi Clemente Mimun nel 2001 e infine Augusto Minzolini dopo il successo del 2008. Ma è una regola che vale per tutti e dalla quale non si è sottratto nemmeno il M5S che pure – quando non era ancora in Parlamento – assicurava di volere la politica fuori dalla Rai; con Conte a Palazzo Chigi a dirigere il Tg1 arrivò Giuseppe Carboni che, proprio in questa tornata di nomine, magari anche grazie all’astensione di Di Maio – è finito a dirigere Rai Parlamento. E sempre Giuseppe Conte, con il M5S praticamente fatto fuori dalle nomine di Viale Mazzini durante l’era Fuortes con Mario Draghi al governo, annunciò che i “grillini” non avrebbero più parlato con la Rai: “Hanno scelto di esautorare una forza politica come il M5S, non parleremo più con i canali del servizio pubblico”, disse. Inoltre, almeno due dei nuovi direttori di genere certamente vicini all’area culturale della presidente del Consiglio - sono dei vicedirettori promossi all’interno dell’azienda di cui fanno parte da tempo. Sia Angelo Mellone, neo direttore del Day Time, sia Paolo Corsini, neo direttore dell’approfondimento, già da tempo lavorano in Rai, Corsini addirittura dal 1996; Mellone già oggi si occupa di molti programmi: difficile parlare di occupazione nel loro caso.

Il merito perde sempre

Certamente, per una maggioranza di governo che spesso si riempie la bocca del concetto di merito, tanto da creare il Ministero dell'Istruzione e del Merito, alcune decisioni stridono con un concetto così sbandierato. È il caso di Stefano Coletta, per esempio, oramai ex direttore dell’intrattenimento e del Prime Time, reduce dai clamorosi risultati in termini di audience del Sanremo targato Amadeus; dati alla mano la sua sostituzione è una forzatura che si spiega solo con le logiche tutte politiche della Rai e con la volontà della maggioranza di governo di raccontare, anche attraverso l’intrattenimento, un paese in cui inclusione e diritti civili vengano messi da parte. Ma anche in questo caso non si tratta di una novità: sono molti i professionisti messi nelle condizioni di abbandonare viale Mazzini nonostante ottimi risultati di ascolto anche quando al governo c’era il centrosinistra: da Massimo Giletti a Massimo Giannini, inviso a Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, fino alla mancata conferma di Lorella Cuccarini alla Vita in Diretta per le sue “presunte simpatie sovraniste”. (tweet dell’epoca di Giorgia Meloni in difesa della Cuccarini). L’unico modo per mettere fine agli appetiti della politica rispetto alla Rai sarebbe quello di privatizzare la televisione di stato, cosa che – evidentemente – nessun partito ha intenzione di fare.

Il Pd e la Rai

Il Partito democratico, invece, esce con un pugno di mosche da questa tornata di nomine. Alla sinistra rimangono sostanzialmente alcune delle caselle presidiate in precedenza, ma spesso con la conferma dei precedenti direttori come Silvia Calandrelli a Rai Cultura o Mario Orfeo al Tg3. Uomini che certamente non sono in nessun modo collegabili direttamente alla nuova segreteria del Pd. Elly Schlein ha scelto di non giocare la partita delle nomine Rai. Non ha voluto partecipare alla “spartizione”, preferendo la via dell’Aventino, per non prestare il fianco a chi avrebbe potuto accusarla di sparare a zero su una logica di cui lei stessa, diversamente, avrebbe fatto parte. Una tattica che se da una parte cerca di costruire un’immagine diversa di questo nuovo Pd, dall’altra ha creato qualche malumore in chi – sempre all’interno dei democratici – avrebbe preferito che la segretaria “si sporcasse le mani” imponendosi per inserire qualche suo fedelissimo in una delle caselle strategiche della Rai, piuttosto che lasciare via libera all’accordo tra maggioranza e Movimento cinque stelle.

Le sfide della Rai meloniana

Finita e conclusa l’irruzione a viale Mazzini, ora per la Rai targata “destracentro” arriva il momento della sfida vera e propria. Perché è chiaro che ora tutti gli occhi sono puntati sui nuovi direttori di testata e sulle nuove trasmissioni che arriveranno nei prossimi mesi. Sostituire il programma di Lucia Annunziata o quella di Fabio Fazio non sarà facile. E i numeri non mentano: se arrivassero due flop, la narrazione del “merito” della destra andrebbe a schiantarsi in men che non si dica.

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