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Venerdì, 19 Aprile 2024

Il commento

Anna Dazzan

Giornalista

Pupazzetti al posto delle vagine e sangue blu, ma le mestruazioni sono altro

Secondo giorno di mestruo. Mi lavo, mi sono lavata anche ieri e anche oggi. Ma continuo a sentire quell’odore lì. Me lo voglio levare di dosso e non va via. Mi da fastidio tutto e il cerchio in testa non lascia la presa. Una volta al mese ho le mestruazioni. Una volta al mese è tutto un fastidio, brufoli (ancora? A 42 anni o quelli o le rughe, per piacere), malumori, ascelle pezzate anche da ferma, voglie di dolce, salato, poi di nuovo dolce poi di niente. Una volta al mese, da trent’anni, è assorbenti che si appiccicano all’interno coscia se non ripieghi bene le alette, composizioni architettoniche di carta nei bagni pubblici, soluzioni alternative dai tampax alle coppette alle mutande assorbenti e alla fine ancora alette che si appiccicano. E a me pure va piuttosto bene. Non ho male, sono puntuale e non abbondante. Ma ho pur sempre mal di testa, sbalzi d’umore e barattoli di nutella abbandonati accanto al divano mentre piango guardando discutibili trasmissioni televisive. Una volta al mese.

Per tante donne che conosco è peggio, se non molto peggio, con sindromi premestruali debilitanti, dolori e condizioni spesso invalidanti. Ma tutto questo intorno a me è sempre stato considerato “normale”, nel peggior senso del termine, cioè “da ignorare”. Di mestruazioni non si doveva parlare più di tanto e si sceglievano strani nomi per non essere troppo diretti. “Le tue cose”, “il marchese”, “il cavaliere rosso”. Diciamo che erano tollerate perché sempre presenti, ma niente di più. Sei stai male non devi lamentarti. Se l’umore ti cambia, stai esagerando. Tempo fa ho assistito a un dialogo. Lei a lui: “A casa con i miei genitori non mi è mai stato concesso di star male. E neanche ora”. Lui a lei: “Sono cresciuto in una famiglia piena di donne e con la cagna che doveva andare in giro con le mutande altrimenti sporcava il pavimento di sangue”. Come a dire “ehi, ti capisco”, ma con davvero poca convinzione, da parte di entrambi. E così finisci anche tu per non prendere la cosa come un affare serio, perché non ti è mai stato spiegato in quei termini. Figuriamoci se lo fanno i maschi intorno a te.

Mi ricordo una volta, sarò stata in prima superiore, la mia migliore amica sgarfa* nella tasca del mio Invicta arancione e viola, all’ingresso di scuola, trova un assorbente interno e, davanti a tutti, mi chiede cosa sia tenendolo in bella mostra. Imbarazzo, risate di quelle che solo le quindicenni sanno e poi ancora imbarazzo. A distanza di quasi trent’anni mi ricordo tutto di questo episodio, ma non ricordo una sola volta in cui mi sia stato spiegato per filo e per segno tutto delle mestruazioni. Cioè di me. Solo “oh, Anna, così è, fattene una ragione”. Poi per forza che i maschi attorno più di tanto non sanno, non vogliono e non possono sapere. E non solo perché le mestruazioni mai le avranno, ma anche perché nessuno gliele ha spiegate nel modo giusto. Un doppio deficit impegnativo ma non impossibile da colmare.

Pensate cominciare a usare una terminologia adeguata nel quotidiano, poi evitare spot con pupazzetti al posto delle vagine, donne con i guantoni e il sorriso forzato e assorbenti sporchi di blu. Blu?! E poi che diamine, immaginatevi un bel discorso sul palco di Sanremo invece dei soliti temini usati come contentino per far sentire accettate donne che si trovano lì solo per liquidare la faccenda delle quote rosa. Ah, che sogno. Una brava dottoressa che spiega in diretta nazionale il perché e il per come delle cose, le donne in sala e a casa che annuiscono e gli uomini che si illuminano come dopo aver aggiustato una lavatrice da soli. Utopia? Forse. Nel frattempo, io mi lavo per la quarta volta, poi cerco un cucchiaino da affogare nel barattolo di nutella e subito dopo un cavatappi per aprirmi una birra e magari un tubetto di pasta d’acciughe da spararmi direttamente in bocca. In fondo,  “domani è un altro giorno”. Sì, il terzo. 

*Forma dialettica del Friuli Venezia Giulia. Significato: cercare con frenesia e in maniera caotica un oggetto.

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