Promettevano zero sbarchi: stanno creando un caos senza precedenti
"Siamo sull'orlo del tracollo": così, appena quindici giorni fa, l'associazione dei comuni italiani (Anci) riassumeva l'emergenza dell'accoglienza nell'estate degli sbarchi record. I sindaci rimproverano al governo di essere lasciati soli nella gestione di un flusso senza precedenti che poi si ripercuote sui territori. A Padova si utilizzano le palestre scolastiche per accogliere i migranti a pochi giorni dalla riapertura delle scuole. In molti altri centri, come Trieste, nelle ultime settimane sono stati centinaia i profughi costretti a dormire all'addiaccio, con il ministro dell'interno Matteo Piantedosi costretto a recarsi di persona nel capoluogo friulano per rassicurare sull'emergenza. E se da Nord a Sud si moltiplicano i mal di pancia per una gestione del fenomeno demandata sostanzialmente alle amministrazioni locali, l'evidenza è semplice: al boom di arrivi non si è risposto con nessun tipo di preparazione.
Dalla politica "zero sbarchi" alla realtà
Una situazione abbastanza paradossale per una maggioranza di governo salita al potere promettendo "zero sbarchi" e accusando opposizione e ong di favorire l'afflusso di migranti sulle nostre coste. Un flusso che imbarazza non di poco chi, fino a ieri, parlava di "pull factor" e "blocco navale", perché i numeri sono difficilmente contestabili: da quando il governo Meloni si è insediato il numero di sbarchi in Italia ha ripreso a crescere esponenzialmente.
A oggi sulle nostre coste sono sbarcati il doppio dei migranti rispetto al 2022 e più del triplo rispetto al 2021. Cifre che smontano nettamente la retorica elettorale sovranista. E che ci dimostrano qualcosa di banale, ma che va ribadito: il mondo è, purtroppo o per fortuna, più vasto e complesso delle nostre beghe politiche interne e a nessuno dei disperati che sbarca sulle nostre coste importa se in carica ci sia un governo di destra o di sinistra.
La fabbrica degli invisibili: perché non siamo pronti alla nuova ondata di sbarchi
Ma se le migrazioni sono un fenomeno strutturale ed epocale, e se la destabilizzazione del Nord Africa e il deteriorarsi della situazione politica ed economica di paesi come la Tunisia è da tempo sotto gli occhi di tutti, perché non è si è fatto nulla per prevedere questo afflusso? La risposta è politica ed è sostanzialmente univoca: il governo degli "sbarchi zero" non poteva predisporre una realistica politica di accoglienza. E il prezzo lo pagano oggi tutti: dai comuni ai migranti.
Se esiste solo l'emergenza
La parola d'ordine è sempre la stessa: emergenza. All'aumentare del flusso migratorio proliferano i centri di accoglienza straordinaria (Cas). Si tratta di strutture sicuramente essenziali in un momento di boom di sbarchi come questo, ma il punto è che rimangono ancora il fulcro del sistema di accoglienza italiano. Con il governo Meloni questa dinamica è divenuta ancora più sistematica. Eppure non dovrebbe essere così: per legge richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale dovrebbero essere redistribuiti sul territorio in strutture capaci di integrarli. E su questo modello si sono sviluppati anche esempi virtuosi, come quello di un gruppo di comuni della Val Camonica capaci di creare un sistema di accoglienza diffusa che ha avuto ricadute anche positive sul territorio.
Un modello che è stato di fatto abbandonato con il cosiddetto decreto Cutro, approvato a marzo 2023, in cui si sono eliminati dai centri governativi di accoglienza i servizi di assistenza psicologica, i corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio che rimangono ad appannaggio dei soli titolari di protezione internazionale. Una disposizione che ha di fatto allontanato molti professionisti del terzo settore nella gestione dell'accoglienza (favorendo paradossalmente il business e la speculazione) ed escluso i richiedenti asilo dalla rete Sai, il sistema di accoglienza integrata predisposto dagli enti locali.
Riassumendo: non solo non si è lavorato a una rete territoriale in grado di assorbire e integrare il flusso di profughi che stava aumentando esponenzialmente, ma si è anche smantellato per ideologia quello che era stato faticosamente costruito negli anni passati.
È il caso, ad esempio, della lotta della destra contro la cosiddetta "protezione speciale", una forma giuridica volta espressamente a riconoscere lo status di rifugiato anche a chi non ha gli standard per richiedere la protezione internazionale. Uno strumento sostenuto da motivazioni tanto umanitarie, quanto pragmatiche: sono circa mezzo milione gli irregolari in Italia e per rimpatriarli tutti ci vorrebbe oltre un secolo. E la politica del "tutti a casa loro" è buona per ottenere voti, ma non per governare un fenomeno complesso. La risultante del creare irregolari è solo quella di creare maggiore insicurezza sulle nostre strade, con buona pace dei vari "decreti sicurezza" e della cosiddetta "tolleranza zero".
Il problema dei minori che sbarcano sulle nostre coste
L'ultimo paradosso si registra con il boom di minori non accompagnati arrivati sulle nostre coste. Lo scorso 6 settembre, quasi la metà dei minori presenti nell'hotspot di Lampedusa non era maggiorenne e non era accompagnato da genitori o parenti. Per la legge questi bambini e ragazzi hanno diritto di essere accompagnati nel loro percorso di integrazione da un adulto di riferimento, essere curati e ascoltati. Eppure sono molti i Comuni a dichiarare di non essere in condizione strutturale di gestirne l'afflusso e la gestione. Un problema che per chi, come la nostra premier e il nostro vicepremier, tende con tono paternalista in ogni occasione a sottolineare di essere anche "madre" e "padre", dovrebbe essere prioritario. I fatti dimostrano che non è così.
E ancora una volta il grido di allarme dei sindaci, che ammettono di non riuscire più a fornire né alloggi, né percorsi di integrazione adeguati, sembra rimanere inascoltato. Il punto è che i posti previsti per i minori dal Sai (il sistema di accoglienza territoriale degli enti locali) sono ormai saturi. La palla passa spesso alle prefetture che pubblicano bandi per la gestione di nuovi centri di accoglienza per minori che non di rado vanno deserti per mancanza di offerte. I fondi stanziati non sono spesso sufficienti per farsi carico di un sistema sottoposto a standard rigorosi che vanno dall'insegnamento dell'italiano all'assistenza sanitaria, solo per citare due aspetti prioritari. E il rischio è quello di trovarsi di fronte a ragazzi, provenienti da situazioni difficilissime, abbandonati a loro stessi.
Una dinamica che, ancora una volta, poteva essere prevista, ma che si è preferito non guardare per demagogia. Per quegli stessi slogan che, se urlati, garantiscono magari qualche punto percentuale in più durante le tornate elettorali, ma che non hanno mai risolto nessun problema. Il grido di aiuto di sindaci e degli amministratori locali sulla gestione dell'accoglienza ne è solo l'ennesima dimostrazione.