rotate-mobile
Domenica, 24 Settembre 2023

La riflessione

Marco Esposito

Vi spiego perché uno così a Roma non l'abbiamo mai avuto

C’è un momento specifico che caratterizza le partite allo Stadio Olimpico della Roma. Quando lo speaker giallorosso annuncia il nome dell’allenatore dei capitolini, il pubblico tutto insieme urla a squarciagola il nome di “José Mourinho”. Nessun giocatore viene salutato così dai tifosi. È l’acme della presentazione della squadra, il momento più atteso dalla tifoseria. È lo stesso urlo potente che era riservato una volta a Francesco Totti o a Daniele Rossi, e oggi è riservato al mago di Setubal.

In molti, dopo la sconfitta nella finale di Europa League contro il Siviglia, e la mancata qualificazione in Champions League, hanno messo in discussione Mourinho e il suo lavoro alla Roma. Alcuni osservatori fanno fatica a capire perché un allenatore che per due volte consecutive arriva al sesto posto sia entrato in maniera così prepotente nel cuore della stragrande maggioranza dei tifosi della Roma. Soprattutto dopo una stagione da “zero tituli”, come la definirebbe lo stesso allenatore portoghese.

Mourinho incarna il sogno della vittoria

Si potrebbe banalmente rispondere a queste perplessità dicendo che Mourinho – dopo 14 anni senza trofei – ha finalmente riportato la Roma a vincere. Lo scorso anno a Tirana, infatti, il capitano della Roma Lorenzo Pellegrini ha alzato il primo trofeo Uefa della storia della società giallorossa. I capitolini non vincevano un trofeo europeo dal 1961, quando la Roma vinse l’allora coppa delle Fiere. Generazioni e generazioni di tifosi non avevano mai visto nel corso della loro vita incidere il nome della Roma su un trofeo internazionale. Un evento festeggiato invadendo le strade della capitale inseguendo il pullman scoperto con tutti i giocatori della Roma accolti come eroi.

Mourinho – per una tifoseria che ha collezionato più delusioni che gioie – incarna letteralmente il sogno della vittoria. Il calcio – in un momento storico che definire complesso è uno slancio di ottimismo – rappresenta una fuga dalla realtà per molti. Il “pallone” è quel momento in cui ci concediamo la l’azzardo di sognare, di immaginare un altrove di riscatto, di andare oltre i limiti in cui la nostra quotidianità ci ingabbia.

L’allenatore portoghese è amato proprio per questo: è l’anello di congiunzione tra il sogno di vincere e la possibilità concreta di alzare un trofeo. È l’uomo arrivato per invertire la storia di un club la cui tifoseria è abituata a veder svanire le proprie ambizioni. Nell’immaginario collettivo giallorosso Mourinho rappresenta l’uomo che può liberale la Roma dal suo destino di sconfitta. Il condottiero che le consente non solo di vincere un trofeo europeo, ma che dodici mesi dopo ha riportato i tifosi giallorossi in una finale ancora più prestigiosa, portandoli a undici metri dall’Europa League.

Mourinho contro il sistema

Ma non solo. Mourinho rappresenta anche il “nemico del sistema” per antonomasia. Quando l’allenatore portoghese urla e si agita dalla panchina contro l’arbitro – esattamente come all’Inter faceva l’iconico gesto delle manette – incarna lo spirito del tifoso giallorosso che dal sistema si sente da sempre perseguitato. Chi è tifoso giallorosso è stato cresciuto a pane e “gol di Turone”, ha affrontato il primo trauma calcistico della vita – Roma-Liverpool – invocando per anni la “carica su Tancredi” sul primo gol degli inglesi. Episodi tramandati di padre in figlio come si tramandano le tradizioni di famiglia. Mourinho sotto questo punto di vista, in un momento in cui sul campo mancano simboli del calibro di Totti o De Rossi, incarna in maniera perfetta lo spirito del supporter giallorosso esattamente come Zeman, con le sue denunce contro la Juventus, lo incarnò per alcuni mesi negli anni ’90.

Leader emozionale

José Mourinho ha disputato la sua prima finale da allenatore nel 2003, quando condusse il Porto alla vittoria della coppa Uefa. Dopo venti anni esatti ha disputato un’altra finale europea, la sesta, a Budapest, perdendo solo ai calci di rigore. Ma la cosa che sorprende di Mourinho, oltre alla sua longevità ad alti livelli, è quello di essere ancora un leader moderno. Un leader emotivo, perfetto per la passione che i tifosi della Roma riversano sulla propria squadra del cuore, ma anche in linea con i tempi. Nell’era dei social network in cui l’emotività è il motore delle azioni e dei sentimenti di molti, José è ancora il numero uno: tutti i suoi giocatori lo seguono fedelmente, i tifosi riempiono lo stadio ogni domenica, e tutti remano nella stessa direzione. A Roma, è già un piccolo miracolo.

Continua a leggere su Today.it...

Si parla di
Sullo stesso argomento

Vi spiego perché uno così a Roma non l'abbiamo mai avuto

Today è in caricamento