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Giovedì, 28 Marzo 2024

L'analisi

Luca Romano

Divulgatore Scientifico

Il nucleare? Oggi no, domani forse, dopodomani sicuro

Sono state discusse alla Camera una serie di mozioni parlamentari relative all'ambito energetico, che per la prima volta dopo un po' di tempo hanno riportato il tema del nucleare all'attenzione dei parlamentari. La più importante di queste mozioni, presentata dalla capogruppo di Azione alla Camera, Daniela Ruffino, e approvata col voto delle forze di maggioranza (ad eccezione del capoverso 5), si rifà, nelle premesse, direttamente alle analisi del gruppo di ricerca del prof. Zollino dell'Università di Padova - oggi membro di Azione e responsabile della segreteria tematica ambiente ed energia, ma lo studio in questione risale a prima del suo ingresso in politica.

Lo studio in questione va a modellizzare il carico elettrico al 2050 e analizza la domanda lungo l'arco dell'anno ora per ora, in modo da avere chiare le necessità in termini di produzione di energia rinnovabile, necessità di sistemi di accumulo e di fonti modulabili che integrino la produzione di energia da fonti intermittenti. Il risultato è abbastanza scontato: coprire la parte fissa del carico di rete con una fonte stabile low-carbon (attualmente l'unica disponibile in assenza di idroelettrico è la fissione nucleare) diminuisce la necessità di overbuild e stoccaggio, riducendo drasticamente l'impatto ambientale, il consumo di suolo, la quantità di materie prime richiesta e i costi del sistema; inoltre, riduce drasticamente la quantità di energia che andrebbe sprecata (curtailment) nelle fasi in cui le rinnovabili producono più di quanto sia possibile accumulare e/o esportare.

La mozione parlamentare, pertanto, impegna il governo a valutare l’introduzione nel mix energetico del nucleare, con la migliore tecnologia oggi disponibile (quindi, la terza generazione avanzata); contestualmente si impegna anche il governo ad accelerare l’iter per la costruzione del deposito nazionale per i rifiuti radioattivi e a favorire la ricerca sul nucleare di quarta generazione e sui reattori modulari, promuovendo al contempo delle campagne informative per il pubblico generalista. L’ultimo paragrafo chiedeva l’ingresso formale dell’Italia nell’alleanza pro-nucleare di 13 paesi europei, ma questo punto non è stato approvato.

È stata approvata anche una seconda mozione, presentata dalla maggioranza (nello specifico, Forza Italia, primo firmatario Cattaneo), dove si menziona il nucleare di “nuova generazione” (non è chiaro a quale si riferiscano) e i reattori SMR (Small Modular Reactors) e MMR (Micro Modular Reactors - questi ultimi in Italia sarebbero del tutto inutili, giacché sono pensati per dare energia a comunità molto piccole e molto isolate). Nell’ultimo paragrafo di questa mozione si parla esplicitamente di individuare i paesi esteri che possano più facilmente ospitare impianti nucleari utili a soddisfare anche il fabbisogno italiano, aprendo dunque alla possibilità di una partecipazione italiana alla costruzione di nuove centrali in Francia o in Slovenia (potenzialmente anche in Svizzera, ma il fatto che sia fuori dall’UE complica la faccenda).

Questi i fatti. Ma in concreto, cosa cambia? Per il momento, purtroppo, nulla. Le mozioni approvate per il momento contengono solo generici impegni a valutazioni della materia nucleare senza pregiudizi: non vi sono iniziative concrete (ad esempio, un primo studio di fattibilità), né tempistiche di alcun genere, che sarebbero state desiderabili, per lo meno per quanto riguarda la realizzazione del Deposito Nazionale per i rifiuti radioattivi.

Se però in concreto la situazione energetica italiana resta la stessa di ieri, in astratto qualcosa cambia: il fatto che vi sia una convergenza politica maggioritaria oggi sulla questione nucleare apre senza dubbio una porta - quanto grande, resta da stabilire - a possibili iniziative successive.

Torneremo ad avere il nucleare in Italia? A lungo termine, non c’è dubbio, anche perché non c’è alternativa. Ma per avere un reale progresso da questo punto di vista serve un cambiamento strutturale del modo di pensare la politica: il grosso problema del nucleare in Italia oggi è legato ai tempi e alle modalità del dialogo politico. Costruire una centrale nucleare richiede 6-7 anni; se è la prima di un programma nucleare, prima di poter iniziare i lavori occorrono 4-5 anni di iter burocratico-autorizzativo: si tratta di tempi perfettamente compatibili con quelli degli obiettivi climatici al 2050, ma decisamente poco compatibili con quelli della politica italiana, che è notoriamente instabile (l’Italia ha cambiato 68 governi in 75 anni) e quindi tende a favorire iniziative che possano restituire consenso in tempi brevi.

Il cambiamento del clima politico attorno al nucleare, però, resta una buona notizia anche e soprattutto per quanto riguarda l’Europa, dove un’Italia pro-nucleare (anche se solo formalmente) può far pendere l’ago della bilancia dalla parte dei paesi del blocco atomico (Francia, Olanda, Svezia, Finlandia, Polonia, Cechia, Slovacchia, Slovenia, Croazia, Romania, Estonia, Ungheria), lasciando il blocco anti-nucleare sempre più isolato (attualmente Germania, Austria, Lussemburgo e Danimarca, con Spagna e Portogallo incerti).

La facilità di accesso ai finanziamenti e lo snellimento dei processi burocratici sarà la chiave del successo del nucleare nei prossimi decenni in Europa, e per questo anche solo un posizionamento formale dell’Italia dalla parte dell’atomo può incidere moltissimo.

Nel frattempo, in casa nostra, resta moltissimo lavoro da fare per convincere le opposizioni che l’atomo non è una questione ideologica e che si può (e si deve) trovare una convergenza parlamentare per approvare un programma energetico che guardi al lungo termine, e che possa essere portato avanti a prescindere dai cambi di governo, nell’interesse di tutti.

Oggi è stato messo un primo tassello di questo puzzle. Vedremo come continuerà.

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