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Giovedì, 25 Aprile 2024

Il commento

Luca Romano

Divulgatore Scientifico

Tutte le balle di Milena Gabanelli sul nucleare

Sul Corriere della Sera è uscito un articolo per la rubrica "Dataroom" di Milena Gabanelli che parla del "nucleare di nuova generazione". Nonostante la competizione agguerrita, posso dire in tutta sincerità che si tratta di una delle più lunghe sequenze di stupidaggini che abbia letto in tempi recenti, con tanti di quegli errori grossolani che sembra effettivamente scritto da un ragazzino delle medie che tenta di assemblare brandelli di informazioni prese da Wikipedia senza capirle fino in fondo.

Il ritorno dell'Italia al nucleare

Per onestà intellettuale si deve dire che nessuna fonte energetica non emette CO2 in una qualche fase della sua vita, quindi si parla di CO2 del ciclo vitale, che poi va spalmata sulla produzione totale di energia. Se nucleare e fotovoltaico non emettono CO2 durante il funzionamento, la fase di costruzione o dismissione dell’impianto produce notevoli quantità di gas serra, che quindi vanno divise per la quantità di energia prodotta. Il nucleare è la fonte che ha le emissioni di CO2 più basse al mondo assieme all’eolico (11g di CO2/kWh). Le emissioni si riducono a 5 g/kWh se si considera solo il nucleare in Europa, dato che molti processi industriali inclusi nel ciclo vitale impiegano un mix energetico più pulito o hanno un’efficienza superiore rispetto al resto del mondo. La discrepanza è però trascurabile: secondo l’IPCC, il fotovoltaico emette fra i 41 e i 48 g/kWh, una centrale a biomasse 230 g/kWh e una a gas naturale 490-650 g/kWh.

"Ma le centrali nucleari sono anche sicure? Come sempre fino a quando non accade un incidente" si legge nell'articolo a firma di Massimo Sideri. 

Questa frase non vuol dire assolutamente nulla, anche perché si potrebbe applicare a qualunque tecnologia esistente. Anche un aereo o una moto sono "sicuri fino a quando non accade un incidente", ma la probabilità che accada con l'uno o con l'altro mezzo di trasporto NON è la stessa, e pertanto andare in moto è molto più rischioso rispetto a prendere l'aereo. Il nucleare è tra le fonti di energia più sicure, sullo stesso livello del solare fotovoltaico, e questo utilizzando le peggiori stime possibili per le vittime del disastro di Chernobyl. I concetti di "rischio" e di "sicurezza" hanno precise definizioni statistiche, non si può attribuire loro un significato mentula canis.

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Le materie prime e il mercato dell'uranio

Cosa cambierà allora con le centrali di quarta generazione? I reattori veloci refrigerati a piombo sono solo una delle varie tipologie di reattori di IV generazione (altre tipologie sono i reattori refrigerati ad elio, a sodio metallico, a sali fusi di cloro o di fluoro e ad acqua supercritica); l'espressione "IV generazione" raggruppa diversi reattori con capacità avanzate, come il poter funzionare ad alta temperatura (potendo quindi di fornire calore direttamente ad applicazioni industriali) o con cicli del combustibile autofertilizzanti. I reattori autofertilizzanti consumano isotopi fissili (come U-235 e Pu-239) sia per produrre energia, che viene utilizzata sul momento, che per convertire gli isotopi fertili (come U-238) in altri isotopi fissili. La chiave del ciclo autofertilizzante è che la quantità di materiale fissile prodotta in questo modo è maggiore di quella consumata e gli isotopi fissili prodotti possono essere separati chimicamente dal combustibile esausto e riformati in nuovi elementi di combustibile, che possono alimentare sia il reattore autofertilizzante stesso che altri reattori (inclusi quelli di II e III generazione).

L’avvio di un reattore autofertilizzante richiede una piccola quantità di uranio arricchito (grado di arricchimento tra il 5 e il 20%), che viene gradualmente rimpiazzato - come accennato prima - dal materiale fissile prodotto dal reattore, senza bisogno di arricchimento. I reattori autofertilizzanti sono anche in grado di accorciare notevolmente i requisiti di lunga durata per i depositi del combustibile esausto (dai 300000 anni dei reattori di II generazione, ai 10.000 anni per il combustibile che subisce il riprocessamento attuale, fino a 300 per il combustibile dei reattori di IV generazione), dato che possono convertire gli isotopi transuranici a lunga emivita e radiotossicità in isotopi che decadono (e quindi diventano innocui) più rapidamente.

I reattori di IV generazione non sono solo alla fase sperimentale o di studio, ma sono già in fase costruttiva o operativa. Per citarne alcuni: la Russia ha il BN-800 a Beloyarsk in funzione dal 2016 e il BREST a Seversk in costruzione da giugno 2021, entrambi reattori autofertilizzanti refrigerati rispettivamente a sodio e a piombo, mentre la Cina ha l’HTR-PM in funzione dal 2021 (reattore a gas ad alta temperatura) e il CFR-600 (reattore autofertilizzante al sodio) in costruzione dal 2017.

Ma quanto costa una centrale nucleare? Nell'esempio scelto dal Corriere della Sera si è presa il caso della centrale di Flamanville 3 Epr di Edf in fase finale di costruzione in Francia che sta costando una cifra monstre: 12,7 miliardi (la stima era di 3,3). Potevano utilizzare uno qualunque dei circa 40 reattori entrati in funzione negli ultimi 5 anni sul pianeta, ma casualmente hanno scelto di usare proprio quello. Peraltro, la Francia ha costruito la maggior parte della sua flotta nucleare tra la fine degli anni ‘70 ed i primi anni ‘90, l’ultimo reattore è stato connesso alla rete elettrica nazionale nel 1999 (Civaux-2). Affermare che i costi e i tempi di realizzazione per l’EPR sono lievitati nonostante la Francia possegga il più elevato know-how tecnologico è un ragionamento fallace, perché l’EPR è un design di reattore nuovo, su cui non si aveva già esperienza pregressa e consolidata. A questo si aggiungono le già rigide normative internazionali che contribuiscono a far lievitare i tempi ed i costi di costruzione, specialmente in Europa, e il fatto che le stesse normative siano state cambiate durante la fase di costruzione in seguito all'incidente di Fukushima, costringendo a riprogettazioni “in corsa” con conseguenti aumenti a cascata di tempi e costi.

Infatti, la lentezza di realizzazione dei reattori EPR europei non si riscontra in Cina, dove sono operativi già due reattori dello stesso tipo, entrambi costruiti in meno di 10 anni (Taishan-1 e Taishan-2). Anche gli EPR di Hinkley Point C, nel Regno Unito, hanno subito ritardi principalmente a causa della pandemia. Essendo quindi un prototipo di una tecnologia, è accompagnato da tutti i problemi del caso (non esiste prototipo di alta tecnologia che non abbia avuto problemi di extracosti e di ritardi: esempi in altri ambiti sono il James Webb Telescope, il progetto ARTEMIS e lo stesso esperimento ITER, che hanno avuto tutti ritardi e costi lievitati molto oltre il preventito) e non riflette la capacità reale di implementazione delle tecnologie nucleari oggi.

A latere bene evidenziare che l'EPR è un reattore di terza generazione avanzata, quindi non si capisce perché infilarlo in un articolo in cui, stando all'introduzione, si tenta di spiegare cosa sono i reattori di quarta generazione.

Tuttavia la componente che domina il costo di un reattore non sono i costi di costruzione, bensì i tassi di interesse, e questi sono maggiori in quegli Stati dove le instabilità politiche non permettono un investimento sicuro a lungo termine, come evidenziava già il MIT in un suo studio del 2003. Per risolvere questo problema si potrebbe adottare la stessa ricetta che si usa per le rinnovabili, dove lo Stato finanzia la costruzione dei reattori a tassi di interesse bassi, o addirittura nulli, quasi dimezzando il prezzo finale dell’elettricità prodotta. Una volta ammortizzato l'investimento iniziale, in ogni caso, il nucleare resta la fonte di energia più economica di tutte. Peraltro, definire l'energia nucleare più costosa di quella prodotta dai combustibili fossili dopo un anno in cui l'elettricità da gas ha toccato i 600 euro/MWh è di una disonestà intellettuale imbarazzante.

C’è un altro tema cruciale: per costruire delle centrali nucleari a scopo civile servono tante materie prime rare, come quelle per controllare lo xenon, un gas che può diventare un «veleno nucleare», e per ridurre le scorie della fissione e stabilizzare il processo (per inciso il primo fornitore al mondo è l’Ucraina).

Questa è probabilmente la frase più sconnessa dalla realtà dell'intero articolo. Lo xenon non ha bisogno di essere controllato con materie prime rare, e quello che lo xenon avvelena sono i reattori (abbassandone la potenza in certe condizioni), non le persone. Questa però è una versione già modificata dell'articolo, il cui testo originale conteneva delle assurdità ancora peggiori: lo xenon veniva infatti definito una materia prima necessaria nei reattori per "stabilizzare il processo" e "ridurre le scorie della fissione". Peccato che lo xenon-135, quello che agisce da assorbitore neutronico, NON ESISTA IN NATURA, e sia invece prodotto all'interno del reattore proprio dalle fissioni nucleari (che non vengono stabilizzate, ma inibite, infatti occorre evitare che lo xenon si accumuli). Sileri e Gabanelli però si sbilanciano anche a dirci quale sarebbe il primo produttore mondiale. Andiamo benissimo.

Ma non c’è dubbio che la materia prima imprescindibile in ogni caso sia l’uranio, anche se parliamo di centrali cosiddette di quarta generazione. In ogni caso anche in queste nuove centrali, una volta risolti i problemi tecnologici, si potrà usare il prodotto della concentrazione dei minerali che contengono l’uranio (generalmente lo yellowcake, che si vende sul mercato, U3O8) al posto dell’uranio arricchito che usiamo ora (U235 che nell’uranio naturale rappresenta solo lo 0,72% e che con il processo di arricchimento deve essere portato al 3-5%). L’uranio in poche parole resterà la chiave di volta del nucleare.

Qui siamo al nonsense: la yellowcake non è mai stata né mai sarà impiegata come combustibile, perché non ha le proprietà giuste (ad esempio, ha un punto di fusione troppo basso), e questo è vero A PRESCINDERE dalla concentrazione di U235. La lega più usata oggi come combustibile è il diossido di uranio (UO2), mentre tra quelle proposte ci sono il mononitruro di uranio (UN) e l'ossicarburo di uranio (UCO). È vero che alcuni reattori autofertilizzanti una volta avviati utilizzerebbero uranio “naturale”, ma l'aggettivo va inteso dal punto di vista dell’arricchimento (e quindi della concentrazione di U235), non della composizione chimica. Il fatto che gli autori non capiscano questa differenza basilare è molto eloquente circa la loro preparazione sull'argomento. 

L'articolo pone inoltre il tema della scarsità di Uranio sottolineando come "già oggi i 450 reattori presenti in tutto il mondo e collegati alla rete consumano tutta la produzione annuale di uranio (48 mila tonnellate) per produrre 396 GWe (gigawatt equivalenti). Si tratta di circa il 10% del fabbisogno di energia del mondo."

La ristretta cerchia di operatori delle miniere di uranio è una situazione comune nel mondo dell’estrazione (inclusa quella delle terre rare per l’industria delle rinnovabili), questo perché i costi di avvio di una miniera sono molto elevati e i tempi di ritorno lunghi: solo i grandi operatori prosperano.
Il sottotesto per cui questo potrebbe condurre a monopoli pericolosi, si smentisce facilmente considerando che tutto il mercato mondiale di uranio (considerando la domanda di uranio mondiale a 61.000t circa nel 2021) vale oggi meno di 6 miliardi. Per fare un raffronto, la Russia nel 2022 vendeva idrocarburi alla sola Europa per un controvalore di circa 800 milioni AL GIORNO.

Ma il Corriere sbaglia: i 396 GWe non sono gigawatt "equivalenti", sono gigawatt ELETTRICI, perché ovviamente le centrali nucleari producono inizialmente calore (e infatti si parla di GWt, gigawatt termici), che poi viene convertito in elettricità, con un'efficienza attorno al 32-35% (il secondo principio della termodinamica non fa sconti). L'espressione "gigawatt equivalenti" non ha alcun significato fisico. Se anche lo avesse, comunque, il Watt MISURA LA POTENZA, NON L'ENERGIA.

Quanto alla produzione di armi nucleari, a differenza di quanto sostenuto nell'articolo non risulta in aumento nel mondo, anche tenendo in considerazione il programma militare iraniano.

L'ultimo dei problemi

L'articolo sostiene inoltre che chi dovesse entrare oggi nel mercato si troverebbe in fondo alla fila, con altissimi costi e prospettive di dover buttare tutto tra un secolo. È innanzitutto necessario distinguere tra risorse e riserve: le risorse indicano una stima del materiale estraibile con profitto, mentre le riserve sono un sottoinsieme delle risorse per cui l’estrazione è economicamente fattibile allo stato attuale delle cose. L’uranio è in realtà uno dei materiali con le riserve accertate più ampie rispetto al consumo, con una riserva temporale di 120 anni, rispetto ad esempio ai circa 40 del rame. Inoltre, l’Australia detiene il 28% dell’uranio PREZZATO a meno di 130$/kg con alto margine di certezza (risorse IDENTIFIED), ma ci sono poi nel mondo altri 6 milioni di tonnellate fra RARR (Reasonably assured recoverable resources) e IRR (Inferred recoverable resources). Il punto è che non sta scritto da nessuna parte che il costo dell'Uranio debba restare fermo a 130$/kg: il fatto che sia rimasto basso fino ad oggi dipende dal fatto che la domanda è rimasta abbastanza statica. Portando il costo dell’uranio a 260$/kw i 6 milioni di tonnellate diventerebbero 16 (gli altri 10 milioni sono frutto di stime: potrebbero diminuire, ma anche aumentare). Occorre qui notare che se il costo dell'Uranio salisse a 260$ non vi sarebbe alcuna conseguenza percepibile sul consumatore: si passerebbe infatti da 4,6 a 9 €/MWh per la componente COMBUSTIBILE dell’energia elettrica, dove oggi il prezzo del kWh italiano è di 530 €/MWh, con la sola componente energia a 416 €/MWh.

In tutto questo discorso manca poi una postilla espressa a pagina 14 del rapporto Uranium 2020 dell’Iaea, la International Atomic Energy Agency e cioè che tutte queste considerazioni che portano ad una disponibilità di uranio a 135 anni (non 120 anni) si basano sulla tecnologia e sui consumi odierni, cioè non si prevede alcun miglioramento né delle tecniche estrattive né nei consumi. Per quanto riguarda i consumi, i reattori autofertilizzanti hanno come obiettivo quello di consumare tutto l’uranio (e non solo lo 0,7% di U235), convertendo anche la parte fertile (U-238) in combustibile. Cina, India e Russia hanno importanti programmi di sviluppo di reattori autofertilizzanti, con alcuni reattori addirittura già in funzione. Solo questo consentirebbe di aumentare di un fattore 100 la durata delle riserve di uranio. A questo dobbiamo poi aggiungere l’uranio che si può ricavare come sottoprodotto minerario da altre estrazioni (ad esempio i fosfati, da cui il solo Marocco potrebbe estrarre circa 6 milioni di tonnellate, come evidenziato a pagina 34 del rapporto) o dall’estrazione dall’acqua marina (da 4 a 6 miliardi di tonnellate a seconda delle stime).

L’orizzonte temporale di esaurimento della materia prima è quindi l’ultimo dei problemi. Bisogna poi considerare anche l'evoluzione delle tecniche esplorative: le risorse sono catalogate a quei prezzi perché OGGI sappiamo estrarre uranio a quel prezzo. Per fare un paragone, a fine ‘800 potevamo estrarre petrolio solamente da pozzi superficiali, mentre oggi possiamo estrarlo dai fondali oceanici. Le sabbie bituminose sono conosciute come depositi di petrolio da moltissimo tempo, ma solo negli ultimi decenni si è riusciti a creare tecniche di estrazione che hanno reso queste risorse estraibili economicamente su vasta scala. Discorso analogo per lo shale gas, il cui sfruttamento commerciale ha avuto luogo solo da inizio XXI secolo, perché solo allora la tecnologia ha consentito di estrarre da determinati giacimenti. Ricordiamo infine che, con gli stessi postulati, il litio durerebbe per molto meno tempo: ai ritmi attuali di estrazione, vi sono risorse per 200 anni, ma già entro il 2030 le quantità estratte dovranno quadruplicare per far fronte alla crescente domanda di autoveicoli elettrici e batterie.

"Si aggiunga che ora sta emergendo il rischio tangibile legato alla cybersecurity: secondo un rapporto datato settembre 2022 dell’Us Government Accountability Office la maggior parte delle centrali atomiche americane non rispettano gli standard di sicurezza informatica, usando spesso come software quello della Microsoft, come in un ufficio qualunque."

Eppure nel documento a cui si fa riferimento le centrali nucleari vengono menzionate esattamente ZERO volte. Un dettaglio da nulla. Il documento parla infatti dei mancati provvedimenti in ambito di cybersecurity da parte dell’agenzia statunitense che si occupa della gestione e sviluppo di armamenti nucleari, la NNSA. E infatti il titolo del documento recita: “NUCLEAR WEAPONS CYBERSECURITY. NNSA Should Fully Implement Foundational Cybersecurity Risk Management Practices”. Al contrario, un rapporto del 2020 della Cybersecurity and Infrastructure Security Agency (brance del Department of Homeland Security) sottolineava invece lo storico incoraggiante del parco centrali nucleari statunitense in termini di cybersicurezza e di cooperazione e standardizzazione delle buone pratiche.

Il caso dell'Italia

Quanto al caso Italia l'articolo sostiene che si debbano prima smantellare le vecchie centrali nucleari di Trino (VC), Caorso (PC), Latina e Garigliano (CE) e mettere in il materiale radioattivo presente negli impianti legati al ciclo del combustibile nucleare di Eurex di Saluggia (VC), ITREC di Rotondella (MT), Ipu e Opec a Casaccia (RM) e FN di Bosco Marengo (AL).

Ma non è necessario smantellare centrali vecchie prima di costruire quelle nuove: gli impianti possono coesistere. Sono state smantellate altre centrali nel mondo (come Yankee Rowe, impianto gemello di Trino Vercellese) come prova di fattibilità, ma molti Paesi (UK, USA, Francia, Russia, Ucraina) hanno contemporaneamente impianti in costruzione, operativi e in corso di smantellamento. Lo smantellamento degli impianti e delle infrastrutture nucleari in Italia è condizionato dalla realizzazione del deposito nazionale, che ha subito una opposizione feroce e riconducibile con certezza alla disinformazione. La centrale di Yankee Rowe è stata smantellata con successo non perché gli statunitensi abbiano iniziato prima (la centrale è stata chiusa a fine 1991, mentre Trino fu chiusa ufficialmente nel 1990), ma perché avevano già a disposizione dei depositi per il materiale: Texas Compact facility vicino al confine col New Mexico e gestita dal Waste Control Specialists; Barnwell in South Carolina, Clive in Utah e Oak Ridge in Tennessee gestite da Energy Solutions, ed a Richland a Washington gestita dalla American Ecology Corporation.

La Sogin nel 2015 ha consegnato al Ministero dell'Ambiente la CNAPI (Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee), che è stata prontamente secretata e tenuta nascosta nei cassetti del ministero per cinque anni (e quattro differenti governi). Quando finalmente è stata pubblicata, a gennaio 2021 (uno degli ultimi atti del ministro Costa, quando ormai era chiaro che il secondo governo Conte sarebbe caduto), Sogin ha potuto finalmente svolgere le consultazioni coi comuni interessati (ovviamente tutti contrari), che si sono regolarmente concluse a novembre 2021. A quel punto Sogin avrebbe dovuto compilare la CNAI e inviarla al MITE, il quale avrebbe dovuto pubblicarla, aggiungendo eventualmente le sue valutazioni: indovinate un po' quale delle due cose non è avvenuta? La CNAI è stata trasmessa da Sogin al ministero ad aprile dell'anno scorso: da allora non se ne è più saputo nulla, e nel frattempo sono cambiati sia il ministero che il ministro.

"Promettente invece la sperimentazione della fusione nucleare (che non c’entra nulla con la fissione), di cui si parla molto, e che è attesa se va bene entro una trentina d’anni. Il dato certo è che comunque non potrà coprire il fabbisogno energetico globale ed è pensata come uno stabilizzatore delle risorse rinnovabili, ma non costanti (sole, vento, acqua)" si legge ancora nell'articolo.

Ovviamente 120 anni di risorse uranifere sono troppo pochi, mentre una tecnologia basata su un combustibile che non esiste in natura (il Trizio) è "promettente".

"Ha senso dunque spingere sulle politiche di risparmio energetico, su maggiori investimenti nelle rinnovabili e sulla ricerca, proprio perché il progresso tecnologico può rendere possibile quello che oggi ancora non lo è."

Ad esempio, un giornale italiano che pubblica un articolo sul nucleare che non sia farcito di fake news, mistificazioni e scemenze. Ma forse per quello non bisogna tanto sperare nel progresso tecnologico, quanto in un miracolo.

Si parla di

Tutte le balle di Milena Gabanelli sul nucleare

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