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Venerdì, 19 Aprile 2024

Riflessioni

Donatella Polito

Giornalista

Quelli che parlano "molto banalmente"

Quando è moda è moda, si sa e non certo da oggi. Non è roba di social che agevolano la socializzazione e quindi l’emulazione, di influencer che influenzano o di generazioni Y e Z che padri e nonni non comprendono. Che “quando è moda è moda” si dice da sempre, Giorgio Gaber lo cantò pure in un brano formidabile, tra i più insolenti, ficcanti della musica italiana.

“E siete anche originali/basta ascoltare qualche vostra frase/piena di nuove parole/sempre più acculturate sempre più disgustose” osservava a un certo punto il sempre troppo poco ricordato Signor G, citato ora che pure si riflette su quanto certi vocaboli della lingua italiana abbiano preso la deriva di un abusivismo lessicale che inizia a risuonare stucchevole. Come fossero diventati di moda, appunto, alla stregua di una griffe sponsorizzata #adv o di un balletto da imparare per il reel del momento. Memorizzati per bene e sciorinati appena possibile, ci sono termini che non si capisce quando e perché hanno inziato a essere infilati in ogni sorta di conversazione, sui social come al bar o in tv, con una cadenza tanto ripetitiva da renderla ormai parte del gergo abituale. E più si ascoltano, più si inseriscono nei discorsi a cui basterebbe anche un altro sinonimo per funzionare lo stesso, più si alimenta la percezione che si pronuncino con il preciso intento di impressionare l’interlocutore, di dimostrarsi affrancati dallo status di povertà linguistica che dilaga disgraziatamente ma non intacca chi sa attingere da un proprio, sedicente, notabile glossario.  

"Banalmente", "narrazione", "tossico": la lista dei termini alla moda 

In cima alla frequenza di questa interessante fonologia si colloca di prepotenza “banalmente”, ormai immancabile tra i modi di dire di chi snobba, ma con una certa classe. Solitamente pronunciato con il tono bonario di chi accompagna l’altro verso la comprensione di concetti oscuri, l’avverbio precede sempre una spiegazione più terra terra che, a quel punto, non si capisce perché non sia stata detta direttamente prima, dato che poi, non “banalmente”, ma molto più semplicemente, bastavano meno giri di parole per risultare più chiari anche a se stessi. 

Con altrettanta prepotenza anche la parola “narrazione” si fa sentire spesso, gradita da chi l’ha considerata  un’aulica alternativa di “racconto”, “storia”, “tradizione” e ha preso a infilarla un po' ovunque, anche in frasi a caso. Oggi tutto è parte di una “narrazione”, da “sfatare”, “smitizzare”, “demolire” con lo spirito innovatore della “inclusività” che accoglie e sovverte. Da qualche settimana a questa parte una qualche “narrazione” si ascolta o si legge almeno una volta ogni 24 ore e forte è il disagio di chi, iniziando a non tollerarla più per quel suono così sincopato che fa tanto letterati da pianerottolo, avverte il timore di cadere pure lui nell’accidenti di pronunciarla e si arrabatta nella ricerca di valide alternative. 

“Tossico” e “tossicita”, poi, non ne parliamo. Anzi sì, parliamone, perché oggi non c’è nulla che sia pericoloso, letale, dannoso senza essere “tossico”. È tossico l’amore, l’ambiente, l’amicizia. L’aria è tossica, quel modo di pensare è tossico, la gente è tossica. E chi non dice “tossico” è perché ha scarsa dimestichezza con la profondità del pensiero analitico della psiche umana che esamina, riflette e ha “fatto un gran lavoro su se stesso”, mica niente. Poi serve pure avere “contezza” prima di parlare, prima di “stigmatizzare” qualcosa o qualcuno e serve - oppure no - anche “normalizzare” (altro grande classicone) pure se alla fine tutto è “super-qualcosa” (super-bello, super-carino, super-interessante, super-simpatico) e “straordinaria” diventa la regola che deve enfatizzare per forza anche quando qualcosa è solo appena appena gradevole. 

“Per uno normale/per uno di onesti sentimenti/quando ve le sente in bocca/avrebbe una gran voglia/che vi saltassero i denti”, cantava Gaber a proposito di “parole/sempre più acculturate sempre più disgustose”. Allora era il 1978. Ma “quando è moda è moda”, vale sempre. 

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