rotate-mobile
Sabato, 20 Aprile 2024

Marianna Ciarlante

Giornalista

Perché Nomadland non si merita di vincere l'Oscar

Non basta il volto affranto di Frances McDormand, la colonna sonora di Ludovico Einaudi, le lunghe riprese dei paesaggi incontaminati, un furgone, tutto il brutto della vita vera (che in alcune scene, come quella della diarrea, ci saremmo risparmiati benissimo), l'elogio del nomadismo o una regista donna per far sì che Nomadland sia un film meritevole di Oscar. Questo film, infatti, che tutte le caratteristiche appena citate le ha, non si merita affatto il premio più ambito del mondo del cinema, così come non meritava il Leone d'Oro a Venezia o il Golden Globe come miglior film. Perchè? Perchè è una pellicola che fa del cliché il suo punto di forza e che gioca, furbescamente, con tutti quegli elementi cinematogratifici necessari per piacere al pubblico. Nomadland, mettendo insieme tutto ciò che dovrebbe andare di moda (l'inclusione, la parità dei sessi, le diversità sociali, la ricerca dell'equilibrio interiore e l'elogio della libertà) diventa l'emblema del film "fatto per piacere" ma che di innovativo, emozionante, diverso, interessante non ha proprio nulla.

Ma, per chi non l'avesse ancora visto, addentriamoci un po' di più nella trama per capire bene di cosa parla e perché non funziona il film di Chloé Zhao candidato a ben 6 premi Oscar (Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Attrice Protagonista, Miglior Sceneggiatura Non Originale, Miglior Montaggio, Miglior Fotografia). Tratto dal libro del 2017 della giornalista Jessica Bruder, "Nomadland - Un racconto d'inchiesta, il film racconta la storia di una donna di sessant'anni che, dopo aver perso sia il marito che il lavoro decide di lasciare la città dove vive nel Nevada per attraversare gli Stati Uniti con un furgone e intraprendere la vita "da nomade" fuori da ogni tipo di convenzione sociale e senza accogliere l'aiuto di nessuno, neanche della sua stessa famiglia. Ok, l'idea può starci nella teoria, dopotutto scegliere di rivoluzionare la propria vita a sessant'anni non è cosa da tutti ma puntare solo ed esclusivamente sulla vita di strada, sulla solitudine, sulla crudezza della realtà e sul fatto che le esperienze vere sarebbero solo quelle estreme non convince molto, così come non convincono le continue inquadrature dei bei paesaggi che sembrano quasi fungere da riempi-trama laddove non c'è molto altro da raccontare, il costante rimando alla ricerca di equilibrio interiore, o il dover far vedere per forza che al cinema non si deve mostrare solo la finzione ma anche il brutto della realtà (che si può fare benissimo nei film ma con intelligenza, come ad esempio avviene in Pieces of a Woman, il film candidato all'Oscar per la straordinaria interpretazione di Vanessa Kirby che il premio se lo merita tutto! (qui la recensione). Non convince neanche la stessa Frances McDormand che veste i panni di un personaggio che vuole essere a tutti i costi una donna libera (ma non basta la vita da nomade a rendere liberi) che si distacca da tutto e tutti mostrandosi quasi superiore per le sue scelte di vita e con cui diventa davvero difficile empatizzare, da pubblico. 

Nomadland, quindi, nonostante la sua "furbizia", arranca, la storia non porta da nessuna parte, gli insegnamenti che ci lascia la trama sono inconsistenti e, come detto all'inizio, non basta puntare sul volto di Frances McDormand o suoi silenzi o lo sguardo afflitto per dare quel qualcosa di più al pubblico.

Il cinema da Oscar deve colpire le corde più profonde dell'animo umano, che sia nella semplicità o nella complicatezza, e Nomadland, se pur vincitore già di diversi premi, non l'ha fatto.

Si parla di

Perché Nomadland non si merita di vincere l'Oscar

Today è in caricamento