Con la Rai di Giorgia Meloni a rimetterci siamo noi
Ricorderete certamente il ritornello di La vita è tutta un quiz, la sigla di Indietro tutta di Renzo Arbore. Il programma era una parodia dei giochi a premi e come tutte le trasmissioni ben riuscite mischiava alto e basso, leggerezza e spirito critico. E infatti a leggere il testo di quel motivetto c’è una frase che racchiude non solo il senso del programma di Arbore, ma fa anche da monito per chiunque abbia fatto della televisione il proprio mestiere. Nel pezzo c’è un papà che guarda un quiz in tv e a un certo punto, mosso da chissà quale illuminazione, si volta verso il figlio e gli dice: “Senti un po’, solo un consiglio è quello che ti do: tu nella vita comandi fino a quando c'hai stretto in mano il tuo telecomando”.
Chiunque lavori a contatto col pubblico, dall’amministratore delegato di una grande azienda fino all’addetto alle vendite di un negozio di calzature, sa che anche la più raffinata strategia di marketing e di vendita, a un certo punto deve avere un riscontro in termini di gradimento. Vale per chiunque, specialmente per chi lavora nell’intrattenimento, anche per chi fa televisione con i soldi del canone che, si sa, da soli non bastano a mandare avanti quel carrozzone chiamato Rai. Per questo ogni mattina intorno alle dieci arrivano i dati Auditel sulla scrivania - fisica o virtuale - di tutti gli addetti ai lavori, dai conduttori ai giornalisti passando per i dirigenti. Davanti alla freddezza dei numeri c’è poco da chiacchierare: pubblico sovrano ha parlato, evviva il pubblico sovrano!
Ma mentre i sondaggi stanno premiando l’operato del governo, lo stesso non si può dire per le scelte che proprio il governo ha fatto in materia di televisione.
Il tanto strombazzato ritorno di Pino Insegno, melograno della prima ora, in Rai per ora si è rivelato un flop: Il mercante in fiera fa registrare una media di circa mezzo milione di spettatrici e spettatori, numeri molto bassi considerato l’investimento (si stima che ogni puntata costi 30mila euro) e la collocazione nel pre-serale di Rai Due. Risultati del genere di solito porterebbero a una chiusura anticipata, ma il discorso non vale per Insegno. L’amministratore delegato Roberto Sergio è arrivato in soccorso al conduttore smentendo le voci di una prossima chiusura del suo programma: “Voglio dare una notizia: Il Mercante In Fiera non viene chiuso, vari blog (qui Sergio si riferisce al pezzo di Giuseppe Candela su Dagospia ) amplificano notizie false e questo è inaccettabile. Sono indignato per la violenza mediatica e preventiva nei confronti di Pino Insegno e del suo programma”. Lo stesso Insegno si era detto molto amareggiato dalle critiche: “Ci soffro moltissimo – ha dichiarato durante un’intervista a Pierluigi Diaco – perché le critiche non sono logiche, non sono mirate. Uno inizia un programma e si aspetta vada male, a priori”.
Se Atene piange, Sparta non ride e infatti anche gli altri programmi del nuovo corso della Rai hanno deluso le aspettative: il pubblico non ha premiato il ritorno di Caterina Balivo, non ha gradito il ricollocamento di Serena Bortone su Rai Tre e nemmeno il nuovo talk di Nunzia De Girolamo. Ascolti bassi, critici perplessi, social impietosi, la nuova Rai di Meloni non piace al pubblico e qualcuno potrebbe fare anche spallucce se non fosse che parliamo di soldi pubblici, soldi nostri.
Vietato criticare Pino Insegno
Chi invece gongola è Fabio Fazio
Chi invece gongola è Fabio Fazio che con il suo Che Tempo che fa ha fatto centro sul Nove. Per dirla come il Principe di Salina ne Il Gattopardo, tutto è cambiato affinché nulla cambiasse: lo studio è rimasto lo stesso, Filippa Lagerback è al suo posto e Luciana Littizzetto ha sfoderato il solito repertorio; stessi ospiti, stessa scenografia, stessa linea editoriale; stesso divertentissimo tavolo, con quel fritto misto à la Quelli che il calcio degli anni d’oro che diverte con gusto e intelligenza. La tv di Fazio sempre uguale a se stessa è quella che il suo pubblico vuole, ama e che a quanto pare è pronta a seguire ovunque. Al di là della facile ironia (per non dire facilona) le interviste a David Grossman e alla senatrice Liliana Segre sarebbero ciò che ci si aspetterebbe dal servizio pubblico, specie in un momento in cui si sente fortissimo il bisogno di chiarezza e di riflessioni serie e ragionate sul conflitto tra Israele e Palestina. Che ci piaccia o meno, sono due i fattori oggettivi da tenere in considerazione: negli anni, Fabio Fazio e la sua squadra di autrici e autori ha costruito una credibilità tale da permettergli di avere ospiti di fama internazionale e di prestigio, come appunto la senatrice Segre che da Fazio dimostrato di sentirsi di casa; e che la Rai, cioè la tv di Stato, con l’addio a Che tempo che fa sta perdendo milioni di introiti pubblicitari. Non solo quel programma è andato ad arricchire un emittente privato internazionale (evidentemente la tutela del Made in Italy vale solo quando si parla di salsicce) ma fa perdere ascolti alla Rai facendole concorrenza: e infatti Report, trasmissione sgradita al governo, ha fatto registrare un dato ben al di sotto della media.
Il boom di Fazio certifica il flop della Rai versione "Tele Meloni"
Troppo presto per emettere sentenze? Forse, ma difficile pensare che un programma come quello di Fabio Fazio possa scendere sotto una certa soglia. Il pubblico va conquistato e poi tocca farlo affezionare ai volti, ai ritmi, alle liturgie. Per questo è difficile che un volto calato dall’alto possa subito avere presa e fare grandi numeri; Meloni questo lo sa e ha tempo fino alle prossime elezioni europee - che guarda caso coincideranno con le prossime nomine in Rai - per convincere chi possiede un telecomando a non cambiare canale.