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Giovedì, 28 Marzo 2024

Fernando D'Aniello

Collaboratore

Anche a Berlino si discute (male) del reddito di cittadinanza

Reddito di cittadinanza sotto attacco anche in Germania? Si e no. I termini della questione sono molto simili a quelli italiani: in sostanza il reddito premierebbe i fannulloni o, quantomeno, sarebbe un incentivo a non lavorare. Il contesto, però, è certamente diverso. Ma come si è arrivati a questa discussione anche in Germania?

Cominciamo col dire che la misura nota in Italia come reddito di cittadinanza esiste in Germania da quasi vent’anni, introdotta dal cancelliere Gerhard Schröder ai primi anni duemila. Allora fu molto contestata perché si trattava di una diminuzione – un taglio netto – delle ricche misure dello Stato sociale tedesco, che il cancelliere socialdemocratico sottopose a una radicale cura dimagrante. Nacque così l’ALG II, nome tecnico, che significa secondo sussidio per la disoccupazione, perché spetta anche a chi non ha versato, lavorando, i contributi per la disoccupazione. Chi lavora, infatti, se si ritrova disoccupato ha diritto per un periodo determinato (che ancora Schröder ridusse) al primo sussidio (ALG I). Comunemente l’ALG II è noto anche come Hartz IV perché Peter Hartz era a capo della commissione che elaborò le riforme.

Con gli anni sono venute fuori tutte le storture di questo sistema: non si tratta solo di lamentele dei cittadini, anche il Tribunale costituzionale federale ha definito incostituzionali alcune misure, perché lesive della dignità delle persone. Contestate sono soprattutto le sanzioni, che consistono in tagli del sussidio, persino nel suo annullamento, se non si rispettano le regole. Detta così suona accettabile, in realtà il sistema delle sanzioni ha finito per costruire una enorme, spesso del tutto inutile, burocrazia, che col tempo è diventata il vero incubo di chi è costretto a chiedere il sussidio. Imparagonabile, ad esempio, il numero di addetti in Germania a seguire queste pratiche con gli analoghi italiani.

Dove sta, allora, il problema? Immaginate di festeggiare il compleanno e i parenti o gli amici vi regalano una bicicletta. O meglio, i soldi per comprarne una. Il mese dopo il Jobcenter, che supervisiona l’erogazione del contributo e controlla i conti correnti, vi comunica che la cifra usata per pagare la bici vi sarà decurtata dalla prossima mensilità. Oppure, per il Jobcenter la vostra casa è troppo grande (il sussidio copre anche le spese di affitto, che vanno però specificate insieme alla quadratura della casa) e vi obbliga a traslocare altrimenti non verrà più erogato il contributo. Traslocare potrebbe significare andare dall’altro capo della città e, ad esempio, per i bambini dover cambiare scuola. E molto altro ancora. Tutto questo è gestito da una burocrazia enorme, che manda costantemente lettere e notifiche, che chiede informazioni e che ha accesso ai conti correnti. Se non si risponde in tempo, scatta una sanzione, una diminuzione fino alla perdita totale del sussidio. Era solo una questione di tempo perché il Tribunale costituzionale intervenisse.

La Spd ha provato a cambiare questo sistema. A partire dal nome: non è più ALG II ma Bürgergeld, reddito (contributo) del cittadino. Il sussidio si fa più consistente (un aumento di cinquanta euro) e la logica delle sanzioni, ovviamente, resta. Ma viene, per così dire, ammorbidita: per sei mesi non possono essere erogate sanzioni – se non in casi gravi – per due anni l’appartamento non è oggetto di valutazione, i risparmi sotto una certa soglia non devono essere immediatamente utilizzati. Si tratta di provvedimenti di civiltà e che, insieme alla digitalizzazione, consentirebbero anche di risparmiare. Invece di assumere “controllori”, veri e propri poliziotti dello Stato sociale che studiano i conti correnti o che misurano gli appartamenti per trovare qualche furbetto, il ruolo del Jobcenter sarebbe davvero di fornire personale preparato ad aiutare disoccupati di lungo corso, a garantire una riqualificazione professionale, a progettare una nuova vita. Persone formate a fare questo e in possesso anche di più competenze linguistiche, perché il mercato del lavoro è ormai globale. La riforma è un correttivo della linea di Schröder di inizio anni duemila e non un suo superamento, come pure si afferma: la sua struttura fondamentale, fatta di aiuti ma anche di una richiesta precisa di impegno da parte dei beneficiari dei sussidi, resta in piedi.

Il problema è che ci si è messa la politica. I conservatori sono riusciti ad avviare una mobilitazione contro “furbetti” e “fannulloni che preferiscono poltrire sul divano” e alla fine la riforma, che era passata al Bundestag, è stata bocciata dal Senato federale, dove siedono i Länder. Adesso una commissione dei due organi ha definito un compromesso e la riforma può partire. Ancora più annacquata rispetto agli intenti originari.

Tutto bene? No. Conservatori e maggioranza hanno scherzato con il fuoco, mettendo in scena una sfida su provvedimenti sui quali sarebbe stato necessario trovare da subito un compromesso. Così, invece, per un calcolo elettoralistico (sbagliato, per chi scrive) della SPD e una eccessiva foga dei conservatori, si apre un dibattito pubblico che divide ulteriormente il paese tra chi lavora (e paga le tasse!) e chi sta sul divano ad aspettare il reddito. Il principio base della riforma Schröder resta in piedi: da un lato ti aiuto, dall’altro devi attivarti per trovare un nuovo lavoro. Ma viene realizzato in modo più razionale e con maggiore attenzione per la dignità di chi percepisce il sussidio. I conservatori potevano risparmiarsi questa opposizione tanto dura, d'altro canto la Spd poteva evitare di dare l’impressione che con il Bürgergeld si passasse davvero a un sistema in cui si “vive senza lavorare”. Visto che, almeno così si ripete, a costituire la base elettorale del partito restano i lavoratori. Ne avrebbe tratto beneficio tutto il paese.

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