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Sabato, 20 Aprile 2024

I ricchi migranti che non vogliono pagare le tasse

Due notizie dall’estero riportano d’attualità il tema delle interdipendenze tra stati e territori nel disegno della tassazione. In Scozia, dove la tassazione è devoluta in virtù di un accordo costituzionale entro il Regno Unito, il bilancio 2023 preparato dallo Scottish National Party prevede l’adeguamento da aprile alla nuova soglia di reddito britannica oltre la quale scatta l’aliquota massima dell’imposta sui redditi: 125.000 sterline anziché 150.000.

Ma Edimburgo va oltre, e aumenta di un punto percentuale le aliquote dei due scaglioni più elevati. La massima, ad esempio, sarà del 47%, contro il 45% del Regno Unito. A questo punto si riaccende un antico dibattito: questo differenziale di tassazione indurrà gli scozzesi a maggior reddito a spostarsi di là dal confine, sottraendo quindi gettito alle casse locali? E quale sarà il segno netto per l’erario di Edimburgo, tra deflussi e aumento di gettito?

Su tutto, è utile sapere che i percettori di reddito scozzesi nello scaglione più elevato sono pochi, e anche la riduzione della soglia in cui ricadono i “ricchi” non pare produrre numeri eclatanti. Secondo uno studio, il gettito aggiuntivo di tale riduzione di soglia sarebbe dell’ordine di 40 (quaranta) milioni di sterline. Vedremo i consuntivi ma è certamente un interessante esperimento fiscale.

Nel frattempo apprendiamo che, nell’ultimo anno, trenta tra milionari e miliardari norvegesi si sono spostati in Svizzera. Incluso il più ricco tra loro, Kjell Inge Røkke, i cui interessi economici spaziano dalla pesca al petrolio. Ma ci sono anche startupper e cripto-imprenditori, malgrado quel settore non si senta benissimo. I trenta esuli hanno pagato allo stato norvegese imposte patrimoniali per 550 milioni di corone, su una base imponibile di 29 miliardi di corone.

Il punto del contendere, e l’innesco della migrazione fiscale, pare essere l’imposta patrimoniale di Oslo, che grava sui beni di controvalore superiore a 1,7 milioni di corone. Che sono circa 170 mila dollari. Molti imprenditori norvegesi lamentano di non avere la liquidità per pagare l’imposta. Problematica antica ma reale.

Il governo socialdemocratico del premier Jonas Gahr Støre quest’anno ha aumentato la tassazione dei dividendi e ridotto la franchigia sulla valutazione dei beni aziendali. Secondo alcuni imprenditori, queste misure avrebbero raddoppiato la pressione fiscale patrimoniale sugli attivi d’impresa, e del 50% sulla distribuzione di utili.

Gli imprenditori che non dispongono di sufficiente liquidità per pagare la patrimoniale sostengono di essere costretti a chiedere alle proprie aziende di pagare dividendi (tassati) anche in misura superiore alla crescita degli utili. In pratica, a indebitarsi per pagare le tasse. Altri si trovano costretti a cedere parte degli attivi aziendali.

Anche in Svizzera esiste una patrimoniale, ma per gli stranieri ci sono agevolazioni. Il governo di Oslo, per contrastare la tendenza, sta valutando di introdurre una exit tax.

Solo due esempi di cosa è la competizione fiscale, sul suolo europeo e addirittura entro uno stesso paese, e degli effetti non previsti (si fa per dire) della tassazione. Nulla di inedito, ma qualcosa su cui riflettere, mentre i governi studiano indefessamente la forma “migliore” di tassazione. Sapendo che è impossibile sfuggire ai trade-off, e che la concorrenza fiscale fa parte del paesaggio, da sempre. Ma più che “impoverire il tuo vicino“, qui c’è chi tenta di impoverire se stesso.

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