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Venerdì, 19 Aprile 2024

Fabio Salamida

Giornalista

Bidella e rider non sono eroi, ma fotografia di un Paese arretrato

La giovane bidella pendolare che dichiara di passare otto ore al giorno su un treno alta velocità, viaggiando da Napoli a Milano perché nel capoluogo lombardo gli affitti sono troppo cari; il rider che percorre 20 chilometri in bicicletta per consegnare un panino e scrive su Facebook che rifiuterebbe un posto da impiegato perché non ce la farebbe a stare otto ore in un ufficio in silenzio, ristoratori che si lamentano perché non trovano personale per colpa del reddito di cittadinanza (importo medio erogato a livello nazionale: 552 euro); l’imprenditrice di successo che invita i giovani a “fare gavetta” perché prima di diventare milionaria faceva la cameriera, omettendo che quella “gavetta” è durata pochi mesi, che grazie ai soldi di mamma e di papà ha potuto laurearsi alla Cattolica, che si è potuta permettere una vacanza “per schiarirsi le idee” nella West Coast americana e soprattutto che al suo ritorno ha trovato l’amico “ex bocconiano ed ex Merrill Lynch” pronto a sostenere il suo progetto imprenditoriale.

Parmigiano Reggiano: Renatino che lavora 365 giorni all'anno

E come non ricordare quel surreale spot del Parmigiano Reggiano in cui il povero Renatino raccontava a un gruppo di figli di papà in vacanza quanto fosse felice di lavorare 365 giorni l’anno, dentro un caseificio, dall’età di diciotto anni? Ormai da tempo siano quotidianamente bombardati da una narrazione tossica, una narrazione che esalta un’idea di lavoro come doveroso sacrificio creando una sorta di “mito dello sfruttamento” e colpevolizzando di fatto chi, alla fine di un colloquio, osa chiedere le condizioni economiche dell’offerta, il tipo di contratto, gli orari e tutte quelle informazioni basilari che nei paesi civili non vengono neanche discusse perché sono elencate all’inizio di ogni annuncio. 

I ragazzi sempre pigri

Storie di grandi lavoratori che tutti dovremmo prendere ad esempio, invece di continuare ad inseguire capricci immorali come lo stipendio; storie che speso si rivelano notizie false o raccontate in maniera molto parziale, notizie lanciate in pompa magna sui siti dei giornali dei grandi gruppi editoriali, quei giornali proprietà di editori “impuri” che siedono in prima fila alle assemblee di Confindustria. Coincidenze. Le vittime sacrificali della narrazione tossica sono principalmente i giovani, quei giovani che prima di pretendere addirittura del denaro dovrebbero imparare un mestiere, versando sangue e sudore; quei giovani che nell’immaginario dei loro padri e dei loro nonni (le generazioni che hanno goduto di baby pensioni e altre forme di assistenza oggi estinte…) sono dei pigri nullafacenti che non vogliono darsi da fare e pretendono tutto e subito; quei giovani che appena possono salutano i loro padri e i loro nonni con un affettuoso bacio sulla fronte e prendono il primo volo low cost di sola andata per andare a fare la loro gavetta in Paesi dove è ben retribuita, in Paesi dove i padri e i nonni sanno dare il giusto valore al lavoro, in Paesi non a caso più ricchi, dove la qualità della vita è nettamente superiore e il tessuto imprenditoriale è molto più solido.

Un Paese arretrato

Secondo un rapporto della Fondazione Migrantes, gli italiani tra i 18 e i 34 anni residenti all’estero e iscritti all’Aire sono 1,2 milioni, ovvero il 36,3% dei quasi 6 milioni di nostri connazionali emigrati. Sullo stesso rapporto si legge che i cosiddetti “giovani adulti”, quelli che vanno dai 35 ai 49 anni, sono il 23,2% del totale. Numeri in costante crescita che fanno il paio con quelli di un’indagine pubblicata da da Odm Consulting: in Italia, a parità di inquadramento, un impiegato trentenne guadagna il 34% in meno rispetto a un sessantenne, producendo quello che viene definito “generational pay gap”. Insomma, mentre folle di pensionati applaudono alla bidella che vive in treno o al nuovo Gianni Bugno che vince la Verona - Bussolengo, storica tappa della Cheeseburger Cup, un Paese sempre più vecchio perde pezzi pregiati: perché un lavoratore sfruttato non è un eroe da imitare, non è un esempio da seguire; un lavoratore sfruttato è la fotografia di un Paese arretrato.

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