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Giovedì, 25 Aprile 2024

Andrea Maggiolo

Giornalista

Roberto Mancini non sa quello che dice

Un buon centravanti, proprio quel che ci voleva. Tutti gli occhi sono puntati su Mateo Retegui, classe 1999, del Tigre, da San Fernando, Argentina, soprannominato "El Androide": è l'oriundo convocato da Roberto Mancini in nazionale. Due gol in due partite. "Ha sbloccato questa sfida, è stato fondamentale - ha detto il commissario tecnico azzurro dopo la vittoria a Malta -. Ma, come ho già detto, ha bisogno di tempo, deve ancora conoscere bene il calcio europeo. Ma è un goleador, e non è poco. E' ciò che avevamo visto quando l'abbiamo seguito. Ha bisogno di tempo, è come un alunno in una scuola nuova: deve imparare tutto. Ma fa gol ed è una qualità importante". Poco ma sicuro.

Mancini chiamerà altri oriundi in nazionale? "Sì, è una possibilità - risponde secco il ct -, perché abbiamo una percentuale minima di giocatori in serie A. Nella Svizzera 15 su 20 sono oriundi. Il Belgio uguale. Francia, Germania, Inghilterra pescano tra gli oriundi. Noi fino a un tot di anni fa avevamo giocatori forti e non ne avevamo bisogno. Le altre hanno fatto così con noi, spesso ci hanno tolto giocatori che abbiamo cresciuto e lo faremo anche noi". Già si fanno altri nomi, come il talentino Gianluca Prestianni, 17 anni, del Velez Sarsfield.

Bè, semplicemente non è vero quel che dice Mancini. Nemmeno un po'. Gli oriundi sono persone di nazionalità straniera ma di lontana origine italiana: discendenti degli emigrati italiani che nel corso dei secoli sono espatriati all'estero senza fare più ritorno in Italia. Si stima che il loro numero nel mondo sia compreso tra i 60 e gli 80 milioni. Sono equiparati nella normativa sportiva ai cittadini della penisola e perciò ammessi a far parte della nazionale. Nella "seconda patria", quella d'origine degli avi, in alcuni casi non ci sono mai nemmeno stati, o ci sono arrivati solo da adulti. Alcuni di loro hanno fatto la storia della nazionale, da Mumo Orsi a Camoranesi, da Sivori a Libonatti. Ma stiamo all'oggi. Le cose all'estero, in realtà, sono molto diverse da come le racconta Mancini. Prendiamo le nazionali citate dall'allenatore jesino (c'è un bel thread su Twitter in merito).

In Svizzera si diventa cittadini elvetici tramite "ius sanguinis" (uno dei genitori deve avere la cittadinanza), è prevista comunque una naturalizzazione agevolata. Ma tutti i convocati della nazionale svizzera tranne Embolo sono nati in Svizzera. Dunque oriundi non ce ne sono. Chi nasce in Belgio diventa cittadino di quel Paese a tutti gli effetti quando compie 18 anni, o a 12 anni se i genitori sono residenti da almeno 10 anni. Non ci sono oriundi in nazionale, solo uno è nato all'estero ma è un prodotto del calcio belga (Onana).

Tutti i giocatori della nazionale tedesca sono nati e cresciuti in Germania: nessun oriundo. In Francia, la nazionale più forte in Europa al momento (per distacco), si prende il passaporto da maggiorenni se si dimostra la propria residenza abituale nei 5 anni precedenti. Chi nasce in Francia da almeno un genitore straniero, a sua volta nato nel Paese, è cittadino francese dalla nascita. Sono tantissimi i francesi naturalizzati o di seconda generazione. Ma gli oriundi per come li intendiamo noi in nazionale sono zero. In Inghilterra è cittadino britannico chi nasce nel Regno Unito da un genitore lì residente. Tutti i calciatori attualmente in nazionale sono nati nel Regno Unito. Il solo Marc Guehi non è nato sul suolo britannico, ma si è trasferito nel Regno Unito a un anno. 

Nella nazionale italiana di oriundi al momento ce ne sono tre: Retegui, Emerson Palmieri, Jorginho, Tutti eccellenti giocatori che rappresentano l'Italia grazie a lontani discendenti. Nati all'estero, da genitori non italiani, e arrivati nel nostro Paese in età adulta. Retegui, per dire, fino alla scorsa settimana in Italia non ci era nemmeno mai stato. Dunque Mancini fa benissimo a convocare oriundi, se lo ritiene utile, visto che i regolamenti lo permettono. Ma non è vero che altre grandi nazionali siano "più furbe" e lo stiano facendo da tempo. Non facciamo confusione. Le altre nazionali convocano calciatori cresciuti spesso e volentieri nei loro vivai, espressione dei settori giovanili, che magari devono attendere i 18 anni per avere la cittadinanza ma che sono già in tutto e per tutto e si sentono svizzeri, inglesi e francesi sin da bambini. Se dobbiamo convocare oriundi per rendere competitiva la nazionale, benvengano. Ovvio. Ma è segno che il nostro sistema calcio ha difficoltà enormi nel far crescere talenti. La maglia azzurra non deve essere un ripiego per chi non riesce a conquistare un posto nel Paese che sente più suo: ma questo è un altro discorso.

Ciò che più balza agli occhi, oggi, è il paragone con quello che un grande allenatore diceva nel 2015. "La nazionale italiana deve essere italiana", diceva uno dei più noti tecnici italiani, che prendeva una posizione netta contro la convocazione degli oriundi in azzurro. L'allora ct Antonio Conte aveva chiamato Vazquez e Eder per il doppio impegno con Bulgaria e Inghilterra, ma prima di loro c'erano stati altri esempi, da Camoranesi, campione del mondo 2006, a Paletta, chiamato per Brasile 2014, passando per Thiago Motta, Amauri e lo stesso Osvaldo. "Io so che la nazionale italiana deve essere italiana - diceva il famoso allenatore - . Magari ci troviamo in nazionale un giocatore che non è italiano ma che ha solo dei parenti qui. Ma questa è solo la mia opinione". E a chi faceva notare che la Germania aveva vinto l'ultimo Mondiale anche grazie agli oriundi, Mancini rispondeva: "Ma i loro giocatori sono nati in Germania... Io penso che un giocatore italiano meriti di giocare in nazionale, mentre chi non è nato in Italia, anche se ha dei parenti, credo non lo meriti. Se le regole sono queste Conte fa bene ad applicarle, ma io resto della mia opinione". 

Sapete chi era a parlare così? Roberto Mancini.

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