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Giovedì, 18 Aprile 2024
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Redazione

I compiti delle vacanze per il ministro Valditara

Immaginate accoltellare una professoressa per un voto. Immaginate pensarlo, premeditarlo, organizzarlo, metterlo in atto. Immaginate le urla, il dolore, le minacce, il terrore. Immaginate se un numero diventa più importante che commettere un crimine. Immaginate se una cifra rossa su uno schermo digitale fa sopportare grida di dolore e paura, se può provocare minacce, se può far sopportare la vista del sangue e il rumore di una ferita che si apre.

È quello che è successo al liceo Emilio Alessandrini di Milano, nello specifico a Abbiategrasso, durante la prima ora di lezione di lunedì 29 maggio. Un ragazzo di quasi diciassette anni ha deciso di vendicarsi di un’interrogazione finita male e di un possibile debito estivo aggredendo la sua insegnante di italiano, ferendola con un coltello di 20 centimetri e minacciando l’intera classe con una pistola ad aria compressa. Nel paese europeo per maggior numero di Neet (giovani che non studiano o lavorano), con un numero di laureati che continua ad abbassarsi e con un tasso di abbandono scolastico che si alza di anno, basterà questo avvenimento per far ammettere a politica e istituzioni che c’è un problema? Cerchiamo di dare dei compiti a casa al ministro dell'Istruzione Valditara. 

Follia a scuola: studente accoltella la professoressa

Un sistema che non regge più

Gli ultimi fatti successi a Milano raccontano molte cose. Ma soprattutto, raccontano delle cose che spesso e volentieri non si vogliono dire. Un problema difficile da affrontare, enorme da risolvere, impopolare di cui parlare. L’ultima aggressione parla di un sistema scolastico che non regge più, di persone che stanno sempre peggio e di soluzioni che da parte di chi decide - da anni a oggi - non hanno avuto gli effetti che si speravano.

Ansiosi, depressi e in competizione: non è più una scuola per studenti 

Perché se un voto spinge un ragazzo giovanissimo a fare un gesto tanto estremo è il sistema che ha fallito. Tutto. Dalla scuola, alla società, alla famiglia, agli aiuti, allo Stato. Un numero non può essere movente di tanta rabbia, la scuola non può causare tanta frustrazione e ansia. Lo abbiamo già raccontato: i nostri studenti stanno male, è un fatto. I motivi sono tanti, diversi: competizione, stress, sistema di valutazione, poche prospettive future, tre anni di incertezze e distanze. A loro, e di questo non ne abbiamo parlato, si aggiungono gli insegnanti e le aggressioni contro di loro - più spesso da parte di genitori che di studenti - come quest’ultima avvenuta e sfociata in una violenza folle e insensata. Si chiude un ultimo anno scolastico sotto il segno del sangue e si spera che quest’ultimo gesto non sia che un epilogo di una tendenza spiacevole.

Valditara finalmente si è convinto

"A scuola serve la figura dello psicologo". Lo ha detto il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara dopo aver fatto visita all’insegnante aggredita Elisabetta C. al liceo Emilio Alessandrini, spiegando chiaramente come ora sia più che mai necessario introdurre una forma di tutela per studenti e insegnati. La responsabilità più grande dell’aumento di questi casi di violenza e stress nelle scuole - secondo il ministro - l’ha portata la pandemia. E se da una parte ha assolutamente ragione, dall’altra è una sottovalutazione notevole del problema. 

"Serve lo psicologo a scuola": dopo l'ultima aggressione si convince anche il ministro Valditara

Ho 24 anni, ho finito la scuola nel (lontanissimo) 2018. Sono stato uno degli ultimi a svolgere la maturità nella maniera più "classica" possibile (prima che l'esame cambiasse modalità ogni anno, come se fosse un gioco, per capirci): prima, seconda e terza prova, orale e tesina. La scuola tutto sommato l’ho vissuta bene, ma spesso e volentieri sono stato in difficoltà a gestire stress, ansia e competizione secondo delle aspettative che professori e futuro lavorativo avevano verso di me. E come io, altri milioni di ragazzi avranno vissuto le stesse emozioni e preoccupazioni. La differenza con oggi, è che allora non se ne parlava, non c’era la pandemia, la salute mentale era qualcosa che non importava (così tanto, almeno) né alla politica né in generale al paese e - soprattutto - la concezione di scuola è cambiata, si è evoluta. "Problemi moderni richiedono soluzioni moderne" cita un famoso meme.

Ripartiamo a settembre, sul serio

Al momento l’unica soluzione che il ministro Valditara ha introdotto per risolvere le cose è stata l’introduzione del "docente tutor" a partire dal prossimo anno scolastico: si tratta di un professore che seguirà chi ne avrà bisogno attraverso attività specifiche e mirate e altre iniziative di coinvolgimento anche extra scolastiche. Con tutta probabilità, la nuova figura creerà ulteriori differenze aggiungendo altro stress e competizione all'interno delle aule. Non è scontato che in seguito a quanto successo a Milano si lavorerà per introdurre altre soluzioni, almeno per capire fino in fondo i problemi che stanno sorgendo dietro ai banchi scolastici. Fino a questo punto il governo non sembrava aver capito la gravità della situazione, ma da un mese a questa parte è partita una ricerca per raccogliere dati sugli ultimi tre anni di pandemia e su come questi abbiano intaccato le menti dei più giovani. 

Ma se la politica si ferma qui, non lo fanno i licei. Alcuni hanno deciso di attivare percorsi di valutazione che rimuovono i numeri in favore di giudizi più personali. Altri, invece, mantengono i voti ma li accompagnano con dei brevi commenti. In alcune scuole si sono aboliti i test standardizzati favorendo le verifiche e interrogazioni che diano più spazio a ragionamenti o alle capacità dei singoli studenti in modo da far attivare loro la mente invece che continuare con l'approccio di mera assimilazione. Nonostante questi passi avanti, si tratta di alcuni esempi isolati che spesso fungono da esperimenti per altre scuole con il fine di valutare l’impatto sulla salute degli studenti, non di metodi diversi.

Basterebbe l'introduzione di uno psicologo per risolvere le cose? È difficile da dire, ma potrebbe rappresentare un passo avanti da parte del governo. A questo, si potrebbe pensare all'introduzione di supporti psicologici per bullismo, disturbi alimentari e ansia, oltre che per lo stress. Ma anche una giusta informazione sul tema della salute mentale, oltre che - ad esempio - un coordinamento con le strutture sanitarie locali in modo da avere supporto anche dagli specialisti del Sistema sanitario nazionale. Ma non solo: l'abolizione dei voti, un allungamento dell'orario affinché copra anche il pomeriggio, laboratori creativi, una seria ed efficace Alternanza scuola-lavoro, una scuola che ti insegna a ragionare e non solo a imparare (a memoria) quello che serve davvero. Insomma, tanti cambiamenti di un sistema che per ora non fa altro che trasformare persone in numeri, medie, arrotondamenti, recuperi. E si dimentica di insegnare. 

Il dibattito è acceso, attuale e importante, ma estremamente divisivo e lento. Nonché spesso impopolare e settoriale: all'Italia spesso piace parlare dei giovani solo dipingendoli con aggettivi negativi come "fannulloni", "scansafatiche" o "nullafacenti": lo dimostrano la marea di commenti sui social e i nostri siti scritti nelle scorse ore. Una marea di "ai miei tempi" seguiti da pseudo soluzione in una guerra continua tra vecchie e nuove generazioni che fa solo da ostacolo a miglioramenti concreti del sistema scolastico e a discussioni serie e nel merito. La riforma scolastica è una legge che l’Italia si porta avanti da anni, ma che ancora ora fa fatica a vedere la luce. In generale serve tempo per portare soluzioni che possano veramente risolvere le cose. Ma ora, dopo un ultimo fatto agghiacciante, è imperativo che si cominci a parlare sul serio di questo tema. La politica ha questo da fare come principale compito per le vacanze estive. L’obiettivo, così come a scuola, resta quello di non rimandare.

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