Possiamo anche non dargliela la mano a Sgarbi
Si legge spesso che la politica sia sempre più simile al calcio, con i suoi giocatori, i suoi dirigenti e soprattutto con le sue rumorose curve. Sia chiaro, non è una cosa edificante e molti dei problemi del Paese dipendono da questa involuzione di chi avrebbe il compito di guidarlo. Quello che è accaduto a Viterbo nel giorno della Liberazione, con il Sottosegretario alla Cultura, Vittorio Sgarbi, che ha prima subito una rumorosa contestazione e poi si è visto negare una stretta di mano dal Presidente locale dell’Anpi, Enrico Mezzetti, potrebbe tranquillamente ricordare un concitato post partita di un finale di stagione in serie A. Indugiando sulla metafora calcistica, molti esponenti della destra e praticamente tutti i commentatori fedeli a quell’area politica ricordano quei giocatori che dopo aver riempito di calci, pugni e sputi gli avversari per novanta minuti (lontani dagli occhi dell’arbitro e possibilmente anche dalle inquadrature delle telecamere…), si rotolano a terra in area di rigore in pieno recupero, sperando di ottenere un calcio di rigore e vincere il match.
Non stringere la mano a Vittorio Sgarbi non è un gesto antidemocratico
Ci chiediamo spesso se nell’attuale Governo si nascondano ancora nostalgici del ventennio, se la matrice (termine caro alla premier…) di chi oggi si definisce sovranista sia qualcosa di bandito dalla nostra Costituzione: in realtà il collante “ideologico” che sembra unire tutte le anime della maggioranza sembra essere un altro, qualcosa di decisamente più terra terra: il vittimismo. Mezzetti, che grazie a chi ci ha liberato da un regime totalitario è libero di non stringere la mano a un “potente” senza finire in una cella dopo aver subito delle torture, viene oggi dipinto come un antidemocratico; in realtà, come ha poi spiegato in un’intervista, si è rifiutato perché non ha stima di Vittorio Sgarbi. Quello che stupisce è che ci si stupisca che un rappresentante della principale associazione antifascista non stimi un politico che ormai da decenni pronuncia frasi come “il male assoluto è il comunismo, non il fascismo”, “il fascismo ha fatto anche qualcosa di buono”, “Benito Mussolini e tutti i ministri fascisti erano meglio di Luigi Di Maio”, “Quelle del 2000 sono tutte tutte tro*e” (off topic, ma neanche troppo…). Qualcuno potrebbe obiettare che oggi Vittorio Sgarbi rappresenti le istituzioni e che un certo “garbo democratico” dovrebbe imporre a tutti, anche a chi è al suo opposto, di omaggiarlo in nome del ruolo che ricopre. Per respingere al mittente la debole obiezione, basterebbe replicare con uno dei tanti show offeriti dall’attuale Sottosegretario alla Cultura durante lo svolgimento delle sue (tante) funzioni pubbliche. Si potrebbe iniziare citando proprio il suo comportamento poco dopo l’episodio della stretta di mano: mentre veniva intonato l’inno di Mameli era impegnato a scrivere al cellulare. Si potrebbero mostrare i suoi interventi nell’aula di Montecitorio durante la pandemia o mostrare quella foto in cui viene portato via di peso dai commessi, in una posa che ha ricordato a tutti la Deposizione di Raffaello. Si potrebbe mostrare uno di quei video da lui pubblicati sui social network in cui “parla di politica” completamente nudo, mentre defeca. La lista sarebbe lunga e le istituzioni ne uscirebbero assai più disonorate rispetto a una stretta di mano negata. Ormai quello della destra sembra essere uno schema fisso: utilizzare il vittimismo per coprire questioni più importanti, per distrarre il pubblico e far passare suoi esponenti da “carnefici” a “vittime”. I recenti fatti che hanno coinvolto il ministro - cognato Lollobrigida, ricalcano proprio lo schema: per far dimenticare in fretta le frasi inaccettabili sulla “sostituzione etnica”, si è utilizzata una vignetta di Natangelo pubblicata sul Fatto quotidiano, mettendo sullo stesso piano teorie del complotto promosse da gruppi neonazisti e satira.
L’antifascismo non è un optional, è il fondamento della nostra democrazia
Sgarbi a parte, per il primo Governo guidato da una “figlia” del Movimento Sociale Italiano, quella del 25 aprile 2023 sarebbe dovuta essere un data storica, il giorno della definitiva legittimazione della destra di Governo di fronte a tutto il Paese. Anche di fronte a chi il fascismo, in tutte le sue molteplici espressioni, ha continuato a combatterlo dopo il 1945 e continua a combatterlo ancora oggi. Così non è stato, perché per molti esponenti dell’attuale maggioranza, a cominciare dalla seconda carica dello Stato, il sentimento dominante è stato quello della rivalsa, un sussurrato “siamo tornati” al posto di un gridato “siamo cambiati”. Un’ennesima occasione mancata per una destra ancora immatura che continua a guardare al passato; una destra che non a caso prende a modello una democrazia debole come l’Ungheria, Paese che nega diritti fondamentali delle persone e discrimina le minoranze. Gravissime le continue esternazioni dal tono nostalgico di Ignazio La Russa, che prima della “fuga” a Praga in occasione della ricorrenza è arrivato a negare le basi della Costituzione sulla quale ha giurato; gravissimo che molti esponenti del Governo, il giorno della Liberazione, abbiano preferito eclissarsi invece che celebrare chi ha posto le fondamenta della Repubblica democratica che consente loro di occupare quei posti; gravissimo che la parola “antifascismo” non sia accettata da chiunque ricopra una carica pubblica. Riguardando al VAR il 25 aprile del 2023, fioccherebbero le reti annullate e i cartellini gialli per continue simulazioni di falli in area di rigore.