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Giovedì, 28 Settembre 2023
Inchiesta esclusiva

Così lo Stato regala 900 mila euro alle spiagge dei Vip

Canoni d'affitto in svendita e sentenze ignorate. Il demanio incassa meno dell'uno per cento sul fatturato degli stabilimenti balneari: il record in Sardegna con lo 0,03, ma ai commercianti nessuno sconto

Sulle concessioni agli stabilimenti balneari, il confronto è tutto qui. Un giovane imprenditore che vuole aprire un ristorante a Forte dei Marmi, ma potrebbe essere qualsiasi altro paese affacciato sul nostro bellissimo mare, deve cominciare col prendere in affitto i locali. Meglio l'affitto, perché l'acquisto richiederebbe investimenti ancor più onerosi. Proprio in questi giorni, nell'elegante località toscana, un ristorante di duecento metri quadri su due piani da ristrutturare viene offerto a 12 mila 500 euro al mese. Questi sono i prezzi nel libero mercato per una posizione di prestigio.

Se il nostro imprenditore volesse invece aprire la sua trattoria o il suo bistrot sulla spiaggia, non potrebbe: lì infatti le concessioni demaniali si tramandano direttamente per generazioni e bisognerebbe attendere l'improbabile eventualità che qualcuno vi rinunci. Oppure avere così tanti milioni a disposizione da rilevare tutta l'attività, come hanno fatto alcuni russi in Versilia negli anni recenti. Quindi al giovane imprenditore non resta che l'affitto da 12 mila 500 euro al mese, 150 mila euro l'anno (foto sotto).

L'annuncio per l'affitto di un ristorante a 12.500 euro al mese

C'è però un'ulteriore condizione che lo penalizza. Il suo concorrente in riva al mare, per almeno quattro mesi, può contare su tutto l'indotto che attira i clienti: la spiaggia, il panorama e le attività a pagamento, dal bar alle tariffe di tende e lettini. Ma soprattutto il concorrente, che ha il posto fisso assicurato, paga allo Stato un affitto di circa millecinquecento euro al mese, intorno ai 18 mila euro all'anno. Otto volte di meno, garantendosi così margini di profitto ben superiori.

Concessioni in svendita

In altre località prestigiose frequentate dai Vip, dove l'ingresso costa duecento euro a persona e si fanno utili milionari, il canone mensile a carico dei gestori scende addirittura a 281 euro e 40 centesimi, 3.377 euro l'anno. Lo Stato insomma, come un giocatore avventato alla roulette, ci perde sempre.

È questo che abbiamo scoperto nella nostra inchiesta di Ferragosto. Il turismo in Italia segue due economie: quella libera, esposta a rischi e rincari, e quella favorita dai governi in carica, con canoni da casa popolare non proporzionali al fatturato e con concessioni assegnate senza gara. Ed è l'errore che l'Unione Europea ha chiesto all'Italia di correggere: non soltanto alla pemier Giorgia Meloni, anche ai precedenti governi a guida Pd, che nel migliore dei casi hanno fatto finta di nulla.

Cosa succede nel lido amato da Chiara Ferragni - L'inchiesta di F. Gatti, C. Treccarichi

Tre articoli della nostra Costituzione confermano i rimproveri di Bruxelles. Articolo 3: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge. Articolo 41: l'iniziativa economica privata è libera. Articolo 97: i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Ci sono poi le norme comunitarie da rispettare. A cominciare dalla direttiva Bolkenstein del 2006, che promuove la libera circolazione dei servizi all'interno dell'Unione e la parità di professionisti e imprese nell'accesso ai mercati europei. Rinunciare da parte dello Stato e in modo preferenziale a decine di milioni di euro (la differenza tra gli affitti a prezzi di mercato e i bassi canoni di concessione riscossi) è quindi una violazione dei principi che regolano la libera concorrenza e il rapporto tra le persone e la burocrazia.

La sentenza ignorata

Secondo gli ultimi dati diffusi dalla Corte dei conti, nel 2020 lo Stato ha infatti riscosso appena 92,5 milioni dai 12.166 concessionari di spiagge. Si tratta di una media annuale di 7.603 euro a canone, 633 euro al mese. La norma europea non si applica nel caso esista una sovrabbondanza del bene dato in concessione. Ed è questa la probabile soluzione tampone che sceglierà l'attuale governo, prima di decidere l'assegnazione delle spiagge attraverso gare pubbliche aperte a tutti i concorrenti europei. Ma i margini sono molto limitati. Se dividiamo i 7.500 chilometri di coste italiane per il numero di concessionari, ciascuno di loro ottiene in teoria una media di 616 metri di fronte mare. Ma se togliamo le aree urbane, i porti, le zone non balneabili e i tratti impervi, non restano altre vie di fuga.

La mappa della concessione al Twiga di Flavio Briatore (foto mit.gov.it)

Il Consiglio di Stato già nell'autunno del 2021 ha stabilito con una sentenza che le concessioni balneari devono essere riassegnate tramite aste pubbliche entro un massimo di due anni. Quindi ogni estensione al 2033 sarebbe illegittima e il governo dovrebbe avviare le procedure di gara entro la scadenza del 31 dicembre 2023. Allo stesso tempo bisogna evitare che la rivoluzione del settore sia la scusa per ulteriori aumenti dei prezzi, come abbiamo già visto questa estate. Ma anche che gli imprenditori che hanno costruito ristoranti, piscine, strutture mobili, ovviamente se in regola con le norme urbanistiche, perdano il valore del loro investimento.

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Chi ha agito alla luce del sole, con le dovute autorizzazioni demaniali e la fatturazione dei lavori svolti, ha dalla sua l'obbligo dell'eventuale nuovo concessionario di riconoscere e compensare le opere realizzate. Quanti hanno invece costruito resort senza permessi e con imprese fai da te, avranno sicuramente qualche problema. Ed è proprio lì che la protesta si fa più sonora.

Il rapporto canone-fatturato

Un metro di misura, per capire chi ha ragione, può essere il peso dell'affitto versato allo Stato sul totale del fatturato. Un imprenditore con un'attività commerciale di solito paga come locazione una quota che varia tra il 10 e il 15 per cento del fatturato previsto. Per il Twiga il canone annuo di 23.984 euro sull'incasso di 8,2 milioni del 2022 corrisponde ad appena lo 0,29 per cento. E anche l'aumento a 100 mila euro di concessione ipotizzato da Flavio Briatore per il suo resort sarebbe un regalo da parte dello Stato: l'eventuale nuovo affitto infatti equivale all'1,2 per cento del fatturato.

Il Papeete Beach lanciato nell'estate 2019 da Matteo Salvini, allora ministro dell'Interno (il primo a sinistra, nella foto sopra il titolo), si ferma allo 0,33 per cento: è il rapporto tra i 10.061 euro di canone annuo versato allo Stato e i tre milioni di incasso del 2022. A Capalbio, il borgo toscano che piace tanto agli esponenti di sinistra, non si va oltre l'uno per cento. Nel Salento si scende allo 0,28 per cento. Ma il record dei record è stato battuto in Sardegna: in uno dei resort per Vip della Costa Smeralda la percentuale tra il canone annuo di 3.377 euro e il fatturato di dieci milioni precipita al microscopico 0,03 per cento. Se vale la regola economica del decimo del fatturato per calcolare un congruo canone di locazione, in questo caso – così come in moltissimi altri – lo Stato ha regalato ai gestori la bellezza di 996.623 euro.

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