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Sabato, 2 Dicembre 2023

La brutta sorpresa

Fabrizio Gatti

Direttore editoriale per gli approfondimenti

Troppi bonus, Giorgia Meloni taglia due miliardi a ospedali e sanità

Mi aspettavo di leggere in questi mesi, almeno tra le notizie di gossip sui membri del governo e della maggioranza in età fertile, l'annuncio dell'imminente nascita di decine di fratellini e sorelline d'Italia. Questo avevo inteso la scorsa primavera, quando avevo ascoltato il videosaluto agli Stati generali della natalità del ministro leghista dell'Economia, Giancarlo Giorgetti: “Io credo che vada ribadito con forza che il sistema economico è strettamente correlato al fenomeno della natalità – ha ricordato Giorgetti (foto sotto) –. C'è anche la possibilità di quantificare in qualche modo quello che è l'impatto: da qui al 2042, con gli attuali tassi di fecondità, il nostro Paese rischia di perdere per strada percentuali del Pil impressionanti, pari al 18 per cento”.

Basterebbe il metodo Giorgetti? Anche dandosi da fare adesso, quanti nasceranno tra nove mesi avranno soltanto diciotto anni nel 2042 e molto probabilmente non saranno in grado, così giovani, di garantire da soli il mantenimento del 18 per cento del prodotto interno lordo attuale. Se comunque l'unica cura scelta dalla squadra di Giorgia Meloni, per salvare l'Italia dal naufragio demografico, è la natalità speriamo che almeno i più giovani tra i membri del governo, della maggioranza del Parlamento e i loro elettori si siano già dedicati alla biblica conoscenza del proprio partner. Altrimenti, per la scadenza del 2042, sarebbe già troppo tardi.

La previsione di Giancarlo Giorgetti

C'è poco da scherzare. La nota di aggiornamento del documento di programmazione della finanza pubblica (Nadef), da poco presentata dal ministro dell'Economia, rivela un Paese sempre più prigioniero delle scelte irresponsabili delle sue ultime maggioranze. Passate e attuale.

Il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti (foto LaPresse)

Gli esempi non mancano. Abbiamo infatti speso e stiamo tuttora spendendo una fortuna per finanziare ogni sorta di bonus. Il portale online della Confcommercio ne conta almeno 22. Dal cappotto ai palazzi, quando avremmo potuto destinare quel centinaio di miliardi alla ricerca industriale e alla costruzione di impianti per produrre energia fotovoltaica. Fino agli incentivi destinati a vacanze, terme e perfino all'acquisto di tv, anche se quella sostituita e buttata in discarica funzionava ancora bene. E adesso arriva il bonus frigorifero

Abbiamo dato fuoco a un pannello del Superbonus - di Cesare Treccarichi

Un primo conto di questa politica da cicale è stato presentato proprio in questi giorni. Il governo non ne parla apertamente. Ma uno dei tagli più netti alle spese del prossimo anno, nascosto tra le tabelle della Nadef, riguarda la nostra salute: un miliardo e 788 milioni di costi e servizi da eliminare nel 2024, l'1,32 per cento rispetto alla spesa sanitaria del 2023. Si scende così da un budget attuale di 134,73 miliardi ai 132,94 miliardi programmati per il prossimo anno. Per poi risalire a 136,70 nel 2025 e a 138,97 l'anno successivo.

Quasi due miliardi in meno in un anno nelle mani delle Regioni significa, probabilmente, chiusura di ospedali, taglio di assunzioni di medici e infermieri (che tra l'altro sono introvabili), riduzione degli straordinari, liste d'attesa che si allungano, mancata prevenzione, pazienti che si aggravano o muoiono prima di ricevere le cure. L'esatto contrario di quello che si era detto nei mesi di retorica da lockdown durante la pandemia.

Quando è esplosa la spesa sanitaria

Se confrontiamo la manovra di Giorgetti con la programmazione di due anni fa del governo di Mario Draghi, la spesa sanitaria nazionale è esplosa di oltre dieci miliardi rispetto alle previsioni di allora: i conteggi si fermavano infatti a 123,55 miliardi per il 2023 e 124,42 per il 2024.

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Prima della pandemia, non eravamo così malandati. Nel 2018 la spesa per la sanità pubblica ammontava a 118 miliardi: quasi diciassette miliardi in meno di oggi. Le conseguenze nel tempo del covid e dell'interruzione dei servizi sanitari ordinari hanno il loro costo. Ma conta anche il progressivo invecchiamento della popolazione, che incide sulla qualità della salute. Nel frattempo la spesa per le pensioni passerà, secondo le previsioni della squadra del ministro leghista, dai 317 miliardi attuali ai 361 del 2026.

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I cittadini, oggi ancora bambini, che alla fatidica data del 2042 avranno tra i 19 e i 28 anni e saranno la fascia più giovane di contribuenti, sono soltanto 4 milioni e 666 mila, il 7,9 per cento della popolazione attuale. Mentre, sempre nel 2042 secondo le proiezioni Istat, le persone con più di 65 anni saranno il 34 per cento degli italiani.

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Come spiegano i grafici pubblicati nel 2018 dal governo di Paolo Gentiloni e quelli pressoché identici dei tecnici di Giorgia Meloni (qui l'articolo), questo squilibrio demografico – se non verrà corretto con nuovi abitanti – avrà due conseguenze: l'esplosione del debito pubblico, per la riduzione delle entrate fiscali e l'aumento della spesa sociale, oppure il conseguente dissesto dei sistemi sanitario e previdenziale, con ricadute drammatiche sulle aspettative di vita e la posizione dell'Italia tra le democrazie industriali (figura sotto).

Dal piano Mattei al piano Matteo

Ma se nemmeno i membri della maggioranza rispondono attivamente agli inviti alla natalità, lanciati la scorsa primavera dal ministro Giorgetti e dal collega di governo, Francesco Lollobrigida, cosa si può fare per evitare il naufragio dell'Italia? L'attuale premier, Giorgia Meloni, non ha ovviamente colpe per i periodi in cui la destra non era al governo. Ma oltre a non aver chiuso la politica sui bonus, di responsabilità ne ha almeno una: avere per ora archiviato il piano Mattei, che privilegiava i rapporti con alcuni Paesi d'origine dei flussi, ed essersi già arresa al piano Matteo.

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Il ministro Matteo Salvini è infatti riuscito a imporre nuovamente a tutto il governo la sua visione (inconcludente da vent'anni) del fenomeno migratorio: nuovi campi di detenzione per stranieri, nuovi tempi di reclusione prolungati a diciotto mesi, nuovi reati, nuove polemiche con la Germania, alle prese con gli stessi nostri problemi. Provvedimenti costosi e scenografici che, come in passato, non cambieranno di una virgola la realtà. Servirebbero invece proposte. Cosa si intende fare per impedire il naufragio demografico dell'Italia e mantenere il prodotto interno lordo a livelli almeno attuali? Che soluzione si vuole dare alla mancanza di operai, medici, infermieri, camerieri, tecnici specializzati, ingegneri, autisti di autobus e così via? Come intervenire per fermare lo spopolamento delle nostre province rurali?

Perché nessuno si ferma in Italia

Il 3 ottobre e l'11 ottobre, in occasione dell'anniversario dei tragici naufragi avvenuti nel mare di Lampedusa nel 2013, si ricordano le vittime del Mediterraneo e i sopravvissuti che hanno perso i loro cari. Abbiamo pubblicato la lettera di uno di loro, Mazen Dahhan, 46 anni, un neurochirurgo siriano (foto sotto) che per la guerra era dovuto fuggire con la sua famiglia da Aleppo. Sul suo peschereccio, affondato con la moglie e i suoi tre bambini, c'erano anche medici, professori universitari, ingegneri.

La lettera: "Così l'Italia ha lasciato annegare i miei bambini" - di Mazen Dahhan 

Mazen Dahhan, 36, la moglie Reem Shehade, 30, e i bimbi Tarek, 4, e Mohamed, 8, in Libia (© Riproduzione riservata)

Nessuno dei sopravvissuti si è però fermato in Italia. Sono arrivati in Svizzera, Germania, Svezia dove, non essendoci alcun piano Matteo ma leggi pragmatiche, hanno imparato la lingua e molti di loro continuano a fare i medici, i professori, gli ingegneri. Da noi, grazie alle nostre norme da autogol, al massimo avrebbero consegnato pizze a domicilio. Molte società antiche e contemporanee hanno risolto le crisi demografiche con l'immigrazione. Anche l'Italia l'ha fatto, dal 1998 in poi, con periodiche sanatorie e l'ingresso di quote programmate. Se, giustamente, non va bene che la politica migratoria italiana la decidano gli scafisti, apriamo vie legali adeguate alle necessità. Oppure formiamo, e in fretta, chi è nel frattempo arrivato. Se non facciamo nulla, il declino italiano sarà inevitabile.

Immagino che molti di voi non siano d'accordo, temendo di perdere “quell'appartenenza, a cui molti sono legati, io in particolare con orgoglio, a quella che è la cultura italiana, al nostro ceppo linguistico, al nostro modo di vivere”, come ha detto una volta Francesco Lollobrigida, ministro della Sovranità alimentare. Si potrebbe ottenere lo stesso risultato, insegnando la lingua, la storia e la cultura italiane ai nuovi cittadini e non tagliando i corsi per l'integrazione. Comunque, se la pensate come il ministro, almeno non perdete tempo. E tra nove mesi, portateci la buona novella.

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