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Venerdì, 29 Marzo 2024
Salute

Coronavirus: effetto lockdown su future mamme, crollate nascite prematuri

Lo confermano dati irlandesi e danesi, ma anche neonatologi di varie parti del mondo


Roma, 23 lug (Adnkronos Salute) - Fra le tante conseguenze negative dell'epidemia di Covid-19, sembra essercene una positiva legata al lockdown che ha costretto a casa diverse centinaia di milioni di persone nel mondo: si è assistito in alcuni Paesi europei, e non solo, ad un vero e proprio crollo delle nascite di bambini prematuri. A testimoniarlo, dati alla mano, è uno studio condotto in Irlanda, al momento in pre-pubblicazione su MedRxiv, che ha registrato una riduzione drastica, pari a ben il 73%, del numero di neonati venuti alla luce con peso molto basso (meno di 1,5 kg) ed estremamente basso (meno di 1 kg).


L'Irlanda ha disposto il lockdown dal 12 marzo al 18 maggio. I medici, autori dello studio, hanno esaminato le statistiche dell'ospedale universitario di Limerick, l'unico ospedale materno-infantile per una popolazione di 473.000 persone nelle contee di Limerick, Clare e North Tipperary. Il risultato è stato più che evidente: prendendo in considerazione il periodo da gennaio al 30 aprile 2020, il numero di bambini con peso inferiore a 1,5 kg e sotto 1 kg (peso che classifica la prematurità) è diminuito del 73% rispetto alla media dei 20 anni precedenti (su un totale di circa 30.000 nascite in 50 anni). Non solo. Durante questi 20 anni la media era di 8,18 prematuri ogni 1.000 nascite; da qui lo stupore nel registrare, durante il periodo di 'confinamento', un tasso di 2,17 ogni 1.000 nati per i bambini sotto 1,5 kg, e addirittura zero nascite sotto 1 kg.


A confermare il dato irlandese - sicuramente eclatante, anche se su un numero assoluto di bambini non molto alto - è il risultato ancora più evidente di un altro studio, danese, anch'esso in pre-pubblicazione su MedRxiv, in cui si registra un calo di nascite pretermine diminuito del 90% rispetto ai 5 anni precedenti.


E ancora: un articolo del 'New York Times', che riporta le testimonianze di medici in Australia, Canada, Paesi Bassi e Stati Uniti, suggerisce che si tratta di un fenomeno diffuso, almeno in Paesi economicamente e socialmente simili. Al punto da innescare tweet da medici, sorpresi da questa evoluzione, che chiedono ai loro colleghi se osservano lo stesso fenomeno. In realtà questi risultati non dovrebbero sorprendere più di tanto i neonatologi, ma anche gli stessi sindacalisti perché è molto frequente che donne incinte al lavoro debbano stare in piedi, o anche sedute, per molto tempo, svolgere lavori manuali, spostarsi con auto o mezzi pubblici per raggiungere uffici o aziende, a cui si aggiunge spesso tutto il carico di mansioni domestiche.


Dunque durante il lockdown, se è vero che alcune donne incinte, impiegate prevalentemente in servizi essenziali (dalle cassiere dei supermercati alle operatrici sanitarie o del trasporto pubblico), hanno continuato la loro attività, molte altre - osservano gli autori degli studi - hanno smesso di lavorare o lo hanno fatto in smartworking, hanno potuto beneficiare di più ore di sonno e di riposo, dell'aiuto del coniuge o di altri figli, non si sono spostate per raggiungere il lavoro, ad esempio con i mezzi pubblici, riducendo così anche il rischio di esposizione a infezioni. A questo si aggiunge il crollo dell'inquinamento atmosferico in città, verificatosi durante la quarantena. Cause note, queste insieme ad altre, di rischio per le nascite premature.


In conclusione - tenuto conto del carico familiare e del costo sociale che comporta la prematurità - una delle lezioni, impreviste ma molto chiare, di Covid-19, secondo gli esperti, è che è urgente decidere un adeguamento delle condizioni e degli orari di lavoro delle donne incinte il più presto possibile, oltre che rivedere i tempi del congedo di maternità.


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